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Sfogliando l’album dei ricordi, nella storia della Fiorentina spunta un’immagine che stona. In mezzo a una serie di uomini con il braccio teso verso le tribune, ne spunta uno con lo sguardo corrucciato e gli arti lungo i fianchi. È Bruno Neri, mediano dei viola all’inizio degli Anni Trenta, ma soprattutto partigiano che ha scritto un pezzetto della storia d’Italia.
Nato a Faenza il 12 ottobre 1910, Neri cresce in una famiglia piccolo borghese dove ha modo di ricevere un’educazione molto ampia per l’epoca tanto da appassionarlo ad arte, letteratura e poesia, frequentando lo storico caffè letterario delle Giubbe Rosse in piazza della Repubblica a Firenze dove poteva incontrare autori come Mario Luzi, Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi ed Eugenio Montale.
A colpirlo maggiormente rimane però il gioco del calcio tanto da spingerlo a intraprendere la carriera sportiva fra le fila del Faenza dove esordisce nel 1926 all’età di sedici anni coprendo il ruolo di terzino sinistro. La sua classe non lascia indifferente le grandi squadre a partire dalla Fiorentina che nel 1929 preleva il suo cartellino per 10.000 lire conquistando due anni dopo la promozione in Serie A.
Se l’arte e la cultura rimangono le sue principali passioni tanto da sfruttare il proprio tempo libero per visitare mostre e musei, Neri non disdegna nemmeno l’impegno da imprenditore tanto da utilizzare i proventi provenienti dall’attività calcistica per un’officina meccanica dal tenore faentino Antonio Melandri, rimasta attiva sino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
È proprio nel 1931, per la precisione il 13 settembre, quando la vita di Neri cambia. Il centrocampista della Fiorentina non è un sostenitore del Fascismo che da quasi un decennio impera nella Penisola e non fa nulla per nasconderlo. Quel giorno a Firenze si inaugura lo stadio di Campo di Marte, voluto dal conte Ridolfi e dedicato allo squadrista Giovanni Berta, e i viola giocano un’amichevole con l’Admira Vienna.
Le squadre si presentano al centro del campo per il tradizionale saluto al pubblico e puntualmente arriva il momento del “saluto romano” dedicato a Benito Mussolini. Tutti i giocatori si voltano verso la tribuna delle autorità con il braccio destro teso, tutti tranne Neri che rimane fermo e indifferente. Un’azione di grande peso, che potrebbe avere conseguenze pesanti e che rimane impresso in quell’immagine rimasta per troppo tempo negli archivi della Fiorentina.
La sfida finisce 1-0 per i toscani grazie al gol di Pedro Petrone, però qualcosa è cambiato complice quel gesto di Neri che, passo dopo passo, diventa una bandiera dei viola prima di approdare alla vicina Lucchese nel 1936 quando finisce nel mirino di Vittorio Pozzo. Il commissario tecnico nota il giocatore romagnolo e lo convoca per la sfida di Coppa Internazionale contro la Svizzera in programma il 25 ottobre a San Siro. L’undici che scende in campo richiama in parte la squadra che due anni prima ha vinto il Mondiale casalingo con l’aggiunta di alcuni nuovi perni azzurri come Silvio Piola, bomber della Lazio.
La sfida vede gli uomini di Pozzo in totale controllo tanto da passar in vantaggio al 26’ con Giuseppe Meazza e gestire senza patemi il pareggio quattro minuti dopo di Alfred Bickel prima che si scateni la furia di Piola, in grado di realizzare una doppietta fra il 37’ e il 56’. La quarta rete di Piero Pasinati è solo la conferma di una forza straripante che riesce a contenere la Svizzera nel finale, in rete con Eugen Diebold al 76’ per il definitivo 4-2.
L’Italia vince e convince e con essa anche Bruno Neri che viene confermato due mesi dopo nell’amichevole contro la temibile Cecoslovacchia, sconfitta per 2-0 a Genova grazie alle reti di Pasinati e Giovanni Ferrari. Il romagnolo non è però una prima scelta per Pozzo che lo richiamerà soltanto una terza volta in occasione del ritorno di Coppa Internazionale con la Svizzera il 31 ottobre 1937 con l’Italia che questa volta deve accontentarsi di un pareggio per 2-2.
La carriera di Neri prende nel frattempo una nuova svolta perché, dopo un anno trascorso a Lucca, a chiamarlo è il Torino di Ernő Erbstein che decide di portar con sé il fedelissimo. L’ungherese pone le basi per quella squadra che segnerà record su record spaventando il mondo intero, tuttavia a farla da padrona in quegli anni sono i venti di guerra che soffiano sull’Italia e che portano con sé paura e terrore soprattutto per coloro che professano la religione ebraica come Erbstein, costretto a fuggire in Olanda nel gennaio 1939. Neri continua a giocare ancora per un anno, poi il 26 marzo 1940 scende in campo per l’ultima volta contro l’Ambrosiana Inter prima di passare all’età di trent’anni sulla panchina del Faenza.
In quel periodo si avvicina al cugino Virgilio Neri, notaio milanese in contatto con personalità come don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare Italiano, e Giovanni Gronchi, futuro presidente della Repubblica. Tutti e tre sono membri dell’antifascismo sempre più imperante nei giorni dell’entrata in guerra tanto da spingere Neri a entrare nella Resistenza dopo l’8 settembre 1943, data dell’Armistizio di Cassabile.
Vicecomandante del Battaglione Ravenna con nome di battaglia “Berni”, Neri entra in azione nell’area guidata da Silvio Corbari e dalla Brigata Bianconcini, posta a ridosso della Linea Gotica. Proprio anche con l’obiettivo di cancellare ogni sospetto, il mediano bolognese torna a indossare gli scarpini da calciatore con la maglia dell’amato Faenza nel Campionato Alta Italia 1944 organizzato proprio dalla Repubblica Sociale di Salò con l’obiettivo di far concorrenza a quanto accadeva nell’Italia liberata.
Se il campo è l’occasione giusta per rifuggire per qualche momento dai timori della guerra, in battaglia Neri non si tira mai indietro e si prende anche alcuni pericoli come il 10 luglio 1944 quando, in compagnia di Vittorio Bellenghi (noto come “Nico”, ex ufficiale del Regio Esercito e comandante del Ravenna) si muove verso il Monte Lavane per recuperare un aviolancio alleato. A Marradi, nei pressi dell’eremo di Gamogna, i due uomini cadono in un’imboscata preparata dai nazisti che in uno scontro a fuoco uccidono Neri.
Nonostante il suo nome possa apparire sconosciuto a molti, la storia di Bruno Neri è rimasto impressa nella memoria degli abitanti di Faenza come riportato da una lapide posta sulla casa della famiglia.
“Qui ebbe i natali
BRUNO NERI
comandante partigiano
caduto in combattimento
a Gamogna il 10 luglio 1944
dopo aver primeggiato come atleta
nelle sportive competizioni
rivelò nell’azione clandestina prima
nella guerra guerreggiata poi
magnifiche virtù di combattente e di guida
esempio e monito alle generazioni future”