Le Olimpiadi sono il sogno di ogni atleta che si rispetti, un desiderio che diventa realtà soltanto per un ristretto gruppo di persone. A volte l’impegno è l’impegno a regalare un “giro di giostra” a cinque cerchi, altre il destino come nel caso di Gian Giorgio Trissino dal Vello d’Oro, primo italiano a conquistare una medaglia nella rassegna olimpica.
Per comprendere la storia del cavaliere vicentino è necessario immergersi nel contesto della Belle Époque dove i titoli nobiliari contano più dei meriti accademici e soprattutto dove la carriera militare va di pari passo con quella sportiva. Il conte Gian Giorgio ha infatti origine dalla celebre famiglia che ha dato i natali all’omonimo letterato rinascimentale trascorrendo gran parte della sua giovinezza tra il palazzo di famiglia a corso Eretenio e la villa di campagna a Cricoli con la sorella maggiore Gabriella.
Indirizzato verso la carriera militare, Trissino entra nell’Accademia Reale di Torino dove ottiene il diploma di sottotenente, ma al tempo stesso mostrando una certa predilezione per la cavalleria tanto da essere ammesso nel 1898 alla Scuola di Pinerolo, vera e propria fucina di cavalieri, venendo così assegnato al reggimento Genova Cavalleria.
Apparso fra i migliori del proprio corso, il veneto fa richiesta per l’accesso alla Scuola di Applicazione di Cavalleria di Tor di Quinto (Roma), ma nel frattempo viene a conoscenza dell’organizzazione di una serie di concorsi a Parigi durante l’Esposizione Universale. Si tratta della seconda edizione delle Olimpiadi, ma Gian Giorgio non è probabilmente a conoscenza dell’importanza di quella manifestazione.
Ne parla con il suo maestro Federico Caprilli, noto per aver applicato un nuovo modo di affrontare gli ostacoli, tuttavia l’intenzione è quella di trasferirsi in Francia per testare semplicemente i puro sangue allenati dal collega prima delle gare di estensione ed elevazione. Trissino parte così in compagnia degli stalloni Melopo, Oreste, Montebello e Pomelo oltre che del conte Uberto Visconti di Modrone, iscritto al pari di Caprilli alle competizioni con l’intento di mostrare i nuovi metodi al mondo intero.
Quando tutto sembra apparecchiato per la trasferta transalpina, un imprevisto colpisce Caprilli: l’iniziale licenza concordata dal Ministero della Guerra viene negata e il capitano livornese viene trattenuto a Torino come confermato anche da un trafiletto del Corriere dello Sport dell’epoca. Nessun dramma, l’ufficiale consegna i cavalli al suo sottoposto e gli dà le indicazioni giuste per fare una bella figura sul palcoscenico internazionale.
E Gian Giorgio non delude: nel concorso di salto in lungo cavalca Oreste e atterra a 5,70 metri conquistando la medaglia d’argento alle spalle del belga Constant van Langhendonck, nel salto in alto tocca quota 1,85 metri in sella e conquista la medaglia d’oro a pari merito con il francese Dominique Gardères. Nella stessa gara cavalca anche Melopo e si ferma cinque centimetri più in basso ottenendo così il quarto posto.
Ed è proprio questo risultato che ha indispettito i più dando vita a un’ulteriore leggenda riguardante Caprilli. Secondo questa ricostruzione il comandante del Genova Cavalleria si sarebbe presentato a Parigi sotto mentite spoglie, disubbidendo così agli ordini provenienti del Ministero della Guerra. Avrebbe di conseguenza partecipato alle gare cavalcando Oreste sotto il nome falso di Gian Giorgio Trissino e di conseguenza ottenuto quelle due medaglie che hanno cambiato la storia dello sport italiano concedendo al vicentino soltanto il quarto posto nell’alto.
Una ricostruzione che è stata più volte smentita sia dai biografi di Caprilli che da quell’articolo di giornale che confermava la sua presenza nella città sabauda nei giorni delle Olimpiadi. La logica stessa smentirebbe questa ricostruzione visto che Trissino era un sottoposto di Caprilli e difficilmente si sarebbe tenuto tutti i meriti agli occhi della stampa internazionale.
A sua discolpa c’è anche da dire che in quel momento Trissino non ha modo di accorgersi quale sia il valore delle Olimpiadi tanto da rientrare in Italia senza particolari premi o celebrazioni. Servirà oltre mezzo secolo perché il CONI e il CIO riconoscano quelle gare come parte del programma a cinque cerchi impedendo di fatto al conte Gian Giorgio di godersi la gloria sportiva.
Trissino torna quindi a Torino prima di spostarsi in autunno a Roma dove affronta la Scuola di Applicazione di Cavalleria uscendone con il massimo dei voti. Torino è diventata ormai la sua città, lì sposa l’attrice teatrale Gemma Albini dalla quale ha tre figli, e soprattutto prosegue la carriera sportiva. Nel 1902 partecipa al primo concorso internazionale di Torino con i cavalli Captain Boy e Leighton mettendo in luce ancora una volta il “metodo Caprilli”, nel 1909 conduce l’Italia al secondo posto nella Coppa delle Nazioni in scena all’Olympia di Londra montando nella prova di elevazione il baio Palanca.
Poco prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale lascia però la carriera militare venendo congedato con il grado di capitano e trasferendosi definitivamente a Roma dove fra il 1915 e il 1917 svolgendo il ruolo di attore e regista per sei cortometraggi, “Così è la vita”, “Eroismo di Donna”, “Donne eroiche”, “Amor di Patria”, “Giudice e Padre” e “La Canzone dei fiori”. La passione per il cinema si accompagna a quella di musicista tant’è che la Ricordi gli fa incidere alcuni tango e fox-trot rimanendo al tempo stesso particolarmente legato alla famiglia reale.
Nel 1932 il figlio Ernesto convoglia a nozze con Luisa Marzotto, ma la concessione, nel 1939, da parte del re Vittorio Emanuele III all’industriale Gaetano Marzotto del titolo di conte di Valdagno-Castelvecchio lo fa infuriare così tanto che spinge Gian Giorgio a spedire ai Savoia lettere al vetriolo per contestare la validità dell’operazione.
Conclusa la Seconda Guerra Mondiale, disperso ormai il patrimonio di terre, ville e palazzi, tra cui il palazzo Trissino dal Vello d’Oro a Vicenza, distrutto dai bombardamenti il 2 aprile 1944, Gian Giorgio si ritira con la moglie a Milano, circondato dall’affetto dei famigliari, le nipoti Elena e Paola insieme al figlioletto Giorgio prima di spegnersi il 22 dicembre 1963 dopo una vita piena di soddisfazioni e sorprese.