Quello moderno è un mondo che parla, che racconta, che protesta, che denuncia. Il web ha dato voce a tutti, anche in Corea, almeno in quella del Sud. Così le lacrime della campionessa olimpica di short track a Pyeonchang, la 21enne Shim Suk-hee, mentre raccontava davanti alla corte del Tribunale di Seul gli anni di violenze subite dal coach Cho Jae-beom hanno commosso tutto il paese. “Mi ha picchiata sin da quando avevo 7 anni, in una occasione mi ha anche spezzato le dita, lasciandomi profondamente traumatizzata”.
Le violenze del tecnico “sono aumentate” con l’età dell’atleta. “Sempre più spesso mi ha percosso e mi ha aggredita verbalmente, mi ha anche colpita con una mazza da hockey e mi ha tirato delle palle di metallo, rompendomi la mano destra”.
“Credevo di morire”
La situazione è diventata totalmente insostenibile, a poche settimane dall’Olimpiade invernale di Pyeongchang, quando, come ha dichiarato Shim: “Cho mi ha picchiato talmente forte la testa che ho pensato davvero di morire lì, all’istante”. Al punto da svenire per le percosse. Il trauma è stato talmente duro da superare che, alla prima udienza del processo, la ragazza non ha avuto il coraggio di partecipare “per paura di incrociare lo sguardo di Cho”. Anche se poi, ha spiegato: “Ho raccolto tutto il mio coraggio, perché penso che debbo finalmente raccontare tutta la verità su questa storia”.
La beniamina del pubblico
Shim, che insieme alla compagna di squadra Choi Min-jeong, ha dominato lo short track delle ultime stagioni, è stata la beniamina del pubblico perché nativa di Gangneung, nel circondario della sede delle prove. Forse anche per questo ha trovato il coraggio necessario.
Un clamoroso precedente nel 2004, quando sei delle otto componenti della nazionale di short track coreana avevano abbandonato per protesta il raduno per le ripetute aggressioni da parte dell’allenatore. Che poi si era dimesso.
Una società competitiva, una lunga storia di abusi
La Corea del Sud è l’unico paese asiatico, insieme al Giappone, ad aver organizzato sia i Giochi olimpici estivi (Seul ’88) che invernali, piazzandosi sempre fra le prime dieci nazioni al mondo del medagliere. E quindi, in una società già fortemente competitiva, c’è una enorme spinta a vincere è tutto anche nella comunità sportiva: basti guardare l’enorme successo delle ragazze del golf nel campionato pro LPGA dove uno dei genitori resta in patria a gestire gli altri figli e l’attività di famiglia e l’altro segue ovunque nei tornei la figlia atleta come allenatore-manager. Per cui, gli allenatori esercitano un’immensa influenza sulla carriera degli atleti, gli abusi fisici e verbali sono noti e diffusi, e chi parla è suscettibile a essere emarginato e castigato, col marchio infamante di traditore.
Due giorni di ospedale e poi di nuovo in gara
Anche Shim ha subito questo ricatto da parte del suo allenatore: “Mi ha minacciato di farmi abbandonare i miei sogni sportivi, mi ha inculcato un’enorme paura e una forte ansia, mi ha soggiogato per una vita. Ho avuto bisogno dello psicologo per depressione, ansia, problemi di insonnia e di stress post-traumatico”.
Secondo la ragazza, le percosse al Jincheon National Training Center nell’immediata vigilia dell’Olimpiade avrebbero pregiudicato le sue prestazioni a Pyeongchng, dove si è fermata all’oro della staffetta e non è riuscita a eguagliare il bottino da Sochi, che includeva anche l’argento nei 1500m e il bronzo nei 1000. Anche se in realtà, subito dopo l’ultima intemperanza del tecnico, Cho era stato allontanato dalla Federazione sci nordico coreana e sostituito da Park Se-woo, ex capo allenatore ai Giochi di Torino 2006. Cosicché Shim aveva accettato di rientrare al raduno dopo due giorni in ospedale.
#Metoo sulla neve
Chissà come si svilupperanno la carriera agonistica e la vita della coraggiosa ragazza coreana. Di certo, il suo aguzzino ha ammesso davanti agli organi di polizia di aver picchiato anche altre tre atlete nel periodo di preparazione pre-olimpica “per migliorare le loro prestazioni”. E stato condannato a dieci mesi di detenzione, ha ricorso in appello, ma in scia anche le ragazze della nazionale di curling – un’altra realtà di successo di Pyeongchang, con l’inatteso argento della prova a squadre – hanno denunciato le violenze verbali e lo sfruttamento subito dagli allenatori.
Le ragazze del curling erano state davvero una rivelazione, erano salute alla ribalta col nomignolo di “Garlic Girls” e la loro storia ha fatto ancor più effetto. Le ragazze hanno accusato i dirigenti di aver loro vietato di parlare con altri atleti, di non averle tenuto all’oscuro di come venivano divisi i premi e i contributi, e di aver censurato persino i regali e le lettere che hanno loro spedito i tifosi.