*articolo ripreso da www.eurosport.it (qui l’articolo originale)
Ottantuno gol e diciannove assist in 103 presenze con la maglia della Juventus. Se siete seguaci dei numeri, se per voi il calcio è soprattutto statistica, chiudete pure e passate ad altro. Il rapporto matematico del rendimento è semplicemente incontestabile: Cristiano Ronaldo ha reso quanto e forse anche di più ci si potesse aspettare.
Se come chi vi scrive questo articolo però crederete che il pallone – e il peso specifico di infinite dinamiche che si porta appresso – sia qualcosina di più complicato che la mera sciorinatura del bollettino della domenica, allora ciò che segue potrebbe fare al caso vostro. O per lo meno portarvi a porre la stessa domanda che si è posto chi vi scrive queste righe: ma la Juventus ci ha guadagnato davvero con Cristiano Ronaldo?
E no, non è una questione di marketing. Dal quel punto di vista, senza nemmeno entrare nei dettagli dei dati specifici, che Ronaldo abbia portato alla Juve un beneficio in termine di immagine è francamente innegabile. Non tanto nella famosa ‘vendita della maglietta’, argomento per altro ormai a metà tra lo scientifico e la credenza popolare quando arriva un grande giocatore, quanto nella globalizzazione del brand juventino. L’arrivo di Ronaldo è stato un boost per la ‘J’ torinese, che, specialmente nel mondo dei social, parametro ormai tanto importante quasi quanto i risultati sul campo – almeno per chi al tavolo dei giganti del football vuole continuare a rimanere seduto – quella di Cristiano Ronaldo è stata il tipo di operazione di cui i bianconeri avevano probabilmente bisogno in questo determinato periodo storico.
CAMPIONI SÌ, MA IL COLLETTIVO COME FILO CONDUTTORE STORICO
Se è vero però che il motto aziendale stampato dentro il colletto delle divise resta ‘vincere è l’unica cosa che conta’, un’analisi un po’ più ampia del ciclone Ronaldo catapultato dentro la realtà bianconera è necessario farla. Se non altro perché tra gli obiettivi e i risultati ottenuti, tanto per tornare ai numeri, a oggi c’è una piccola ma evidente discrepanza.
Se analizziamo infatti la gestione di Andrea Agnelli dall’arrivo di Antonio Conte – momento fondamentale per la svolta nella storia recente della Juventus – a quello di Cristiano Ronaldo, in termini di palmares non cambia un granché: la Juventus vinceva prima e ha vinto fino ad oggi. Casomai cambia il ‘come’. Nei 7 anni di vittorie senza CR7, tre a guida Antonio Conte e quattro a guida Massimiliano Allegri, la Juventus ha portato via sette Scudetti su sette e 4 Coppe Italia consecutive (tutte vinte da Allegri). E in quest’arco temporale, ad eccezione della prima stagione di Conte e della penultima di Allegri – vinta in volata sul Napoli di Sarri – tra domini totali, campionati chiusi ad aprile e libri dei record riscritti come se fosse la Settimana Enigmistica, non c’è n’è stato sostanzialmente per nessuno. Sette anni fatti di squadre che hanno saputo anche mostrare un ottimo livello di gioco – la seconda della gestione Conte, la prima della gestione Allegri – ma contraddistinte sempre da un denominatore comune: l’essere Squadra. La ‘S’ maiuscola non è un refuso di battitura, ma l’accezione più semplice di un periodo storico in cui i bianconeri hanno registrato innumerevole mutazioni – tecniche, tattiche, di organico – ma in cui non hanno mai perso il proprio spirito: la forza del collettivo.
BIGGER THAN THE CLUB
Ecco, l’arrivo di un ‘accentratore’ di attenzioni, di un catalizzatore di palloni, di un pianeta calcistico a sé stante come Cristiano Ronaldo, il cui magnetismo attrae inevitabilmente tutto intorno a sé, come una sorta di buco nero a cui non è possibile opporre resistenza ma che risucchia tutto e tutti, ha in qualche modo mutato lo spirito centenario collettivista anche di una società come la Juventus. Una squadra che nella sua storia ha visto passare leggende del gioco, ma dove nessuna di questa è stata mai più importante della squadra. Bigger than the club, per dirla all’americana, alla Juventus non lo è stato mai nessuno: né Boniperti, né Sivori né Charles, né Bettega né Zoff, né Platini né Baggio; né Del Piero né Buffon. Ecco, la sensazione dall’arrivo di Ronaldo, ritradotta anche in ciò che potrebbe essere un indicatore interessante come il cambio di 3 guide tecniche negli ultimi 2 anni, pare aver dato l’impressione che dal collettivismo si sia passati al culto del singolo. E con quali risultati?
Beh, sul campo, piuttosto scadenti. L’ultima Juventus di Allegri – nonché la prima di Ronaldo – è stata la peggiore dal punto di vista del gioco e la più scadente nel suo cammino europeo; oltre che eliminata in Coppa Italia – non a caso – da chi del collettivo ne stava fondando un’arte, l’Atalanta di Gasperini. E quella di Sarri, che per filosofia proprio sull’esaltazione del collettivo avrebbe voluto fondarsi, ne è stata impossibilitata. La presenza del calcisticamente anarchico Ronaldo non ne ha praticamente nemmeno permesso la costruzione delle fondamenta. Certo, in cambio, qui dentro, Ronaldo ha segnato. Tanto. E la Juventus ha vinto comunque. Meno però rispetto al passato (mancano le Coppe Italia) e facendo più fatica. E del salto di qualità “promesso” in Europa nemmeno l’ombra.
E DUNQUE?
Quanto, allora, davvero, al netto di tutto, ha guadagnato la Juventus dalla scelta CR7? Una scelta che ha “imposto” di passare da una struttura collettivista a una struttura volta all’esaltazione del singolo. E per quanto il singolo resti un unicum mondiale, la transizione da squadra che gioca per segnare a squadra che gioca in funzione del far segnare Ronaldo, ha probabilmente ridotto la forza complessiva della Juventus, che numeri alla mano ha prodotto meno di prima e si produce in maggiori difficoltà anche dentro quei confini nazionali che prima dominava più facilmente. Non è ovviamente solo una questione legata a Ronaldo – generale indebolimento della rosa, acquisti dal valore discutibile e invecchiamento di alcune figure chiave sono variabili che certamente stanno influendo – ma nella scelta di passare per mille ragioni anche extra-campo dal noi all’io, nella transizione obbligata in un certo qual modo anche da un mondo contemporaneo più influenzato dall’individuo che dal collettivo – i social il termometro più evidente – in tanti paiono essersi dimenticati il concetto invece immutato nella centenaria storia del calcio; e che resta alla base per il successo in questa nobile arte: il pallone resta e resterà sempre un gioco di squadra. E un singolo non sarà mai più forte del collettivo. Nemmeno Ronaldo.
Simone Eterno, www.eurosport.it