Non si placherà mai il dolore mentre proseguono all’infinito le commemorazioni per la scomparsa del mitico Gigi Riva che non è più fra noi dallo scorso 22 gennaio. Ogni tanto ci sembra ancora di sentire nell’aria il “Rombo di Tuono” con cui il genio di Gianni Brera aveva immortalato con una metafora linguistica il contatto in campo fra cuoio e cuoio, quello della scarpetta e del pallone. Da parte mia, posso aggiungere ben poco all’ondata di ricordi dei miei colleghi che hanno seguito da vicino la carriera del campione lombardo capace di cogliere l’essenza della vita sarda più di qualsiasi abitante locale. Con lo stesso stile Riva ha anche scelto come e quando morire, senza concedere il suo corpo ai dottori per interventi troppo invasivi. La mia conoscenza indiretta del fenomeno Riva si limita in effetti all’occasione che mi fu offerta, in occasione dell’anteprima lombarda del film “Nel cielo un rombo di tuono”, di intervistare per Il Foglio il figlio Nicola che aveva tratteggiato il ritratto di un padre e di un uomo fuori del comune.
“Un film bellissimo – ci aveva detto l’imprenditore aeroportuale cagliaritano mentre il padre era ancora in vita – in cui ho ritrovato pienamente quello che è mio padre. Non poteva essere diversamente visto che papà si è aperto pienamente con il regista Riccardo Milani. Sì, mio padre ha fatto la scelta di isolarsi e non è mai tornato indietro. Se vogliamo, il motivo pratico è che vuole che la gente conservi l’immagine fisica che ha di lui, vuole farsi ricordare per come era e non per come appare oggi. Ma nel suo profondo è evidente che una persona riservata come lui ha sempre sentito il peso della fama e della notorietà. C’è chi così si sente a proprio agio, non Gigi Riva che vorrebbe girare inosservato. Lo capisco, perché anche io sono un po’ come lui. Per me è stato un padre speciale, sempre presente e disponibile, ma il peso della sua immagine, soprattutto in una città come Cagliari, ha rischiato di schiacciare anche me. Anche io ho mosso i primi passi nel calcio e penso che mi sarei preso le mie piccole soddisfazioni se non portassi questo cognome ingombrante. Se ti chiami Riva e vivi a Cagliari l’unica possibilità che hai per vivere in equilibrio è evitare il confronto. Per questo, pur mantenendo qualche incarico giovanile nel calcio, ho scelto di seguire un’altra strada”.
Personalmente posso invece dire qualcosa in più sull’autore del meraviglioso brano ‘Quando Gigi Riva tornerà’ che in questi giorni ha accompagnato i maestosi funerali e che tutti abbiamo ascoltato ripetutamente nei telegiornali. Un giusto tributo a uno degli artisti più prolifici e ispirati del panorama cantautorale italiano Anni 70 con una voce in stile De Gregori e la capacità di scrivere ballate che sarebbe bello venissero ora riscoperte. Parlo di Piero Marras, cantautore di nicchia che ha avuto l’unico torto, forse, di essere sardo e di aver scelto a un certo punto della carriera di barricarsi nella sua isola, proprio come aveva fatto il Gigi nazionale.
‘Quando Gigi Riva tornerà’, incluso anche nel bel film biografico, era stata scritta nell’82 e inserita, oltre al 45 giri, nell’album ‘Marras’ che seguiva Fuori campo e Stazzi Uniti. Album che mantengono intatto il valore evocativo con testi intimisti che toccano anche le problematiche dei rapporti sessuali con una sensibilità antimaschilista ante-litteram. Veri gioielli usciti per una multinazionale (Emi) ma rimasti di nicchia fino a quando Marras (che all’anagrafe si chiama Piero Salis e infatti come autore si firma Pierosalis) si è ritirato nella sua Nuoro dedicandosi ad album tradizionali sardi e a qualche pezzo per i Tazenda.
Queste commemorazioni possono essere un’occasione per riascoltarlo e a riscoprirlo anche se, per quanto ho potuto leggere, nessun giornale nazionale si è preso la briga di andare a intervistare il più riconosciuto cantore del “Rombo di Tuono”.
Fausto Narducci