“Noi o-dia-mo il calcio moder-no!” è un coro degli ultras di molte squadre italiane. Quello che i tifosi detestano è l’attenzione sbilanciata verso il calcio in tv a discapito di quello da stadio, un orientamento che nei fatti si traduce, tra le altre cose, nel campionato spezzatino e nella delocalizzazione araba della Supercoppa italiana. Da anni ormai assistiamo a turni di campionato che partono il venerdì e finiscono il martedì dopo, con la domenica pomeriggio svuotata d’impegni. Da anni la coppa che mette di fronte vincitori del campionato e vincitori della Coppa Italia si gioca lontano – molto lontano – dal Belpaese. E ogni anno queste abitudini aumentano: perché accontentarsi del Monday Night quando possiamo giocare anche il martedì? Perché limitare la Supercoppa ad una sola partita quando possiamo farne una final four che comprenda anche la seconda della Serie A e la finalista della Coppa Italia? Un bel torneo con l’eccellenza italiana che ha luogo… negli Emirati Arabi o in Arabia Saudita.
Che cosa determina tutto questo? Perché non possiamo goderci la domenica pomeriggio allo stadio o in tv e la Supercoppa araba – anzi no, italiana… – in una delle nostre città?
Per il vil danaro, naturalmente. Gira e rigira si finisce sempre lì. Cosa garantisce alti guadagni? Il tifoso che va allo stadio a seguire una partita o quello che in tv, col campionato spalmato su tutto il week-end e oltre, può guardarsele quasi tutte? Di fatto, il primo paga quella partita mentre il secondo, appunto, quasi tutte. Pecunia non olet e allora anche i dollari sauditi vengono molto apprezzati. Pazienza se provengono da un paese che nega i diritti civili, pazienza se i tifosi italici non possono seguire la loro squadra nella semifinale della Supercoppa, se la guardino TV e già che ci sono si guardino magari anche l’altra semifinale e poi la finale.
Del resto, i vertici della Serie A non stanno facendo niente di diverso dall’organizzazione mondiale di cui fanno parte. I Mondiali in Qatar resteranno per sempre il fiore all’occhiello della FIFA di Infantino, con gli stadi costruiti col sangue degli operai in letterali cattedrali nel deserto.
Ora, senza tirare in ballo diritti civili e sicurezza sul lavoro, tra la tradizione di sostenere la propria squadra in casa e in trasferta e la scelta di seguire tutto dove arrivano più soldi, non c’è partita. Business batte Tradizione 4-0. Brutto, ingiusto, ma inevitabile. Golia batte Davide, questa è la realtà ed è così ovunque.
No, non dovunque. La Germania ha detto no.
Come riportato da ilpost.it, i tifosi tedeschi hanno messo in campo diverse forme di protesta coordinate per impedire l’ingresso nelle società di fondi d’investimento stranieri, come l’americano Blackstone e il britannico CVC. La DFL (la Lega Calcio tedesca) aveva previsto un accordo in base al quale avrebbe ceduto l’8% dei ricavi futuri da sponsorizzazioni e diritti televisivi per un ventennio a fronte della disponibilità immediata di liquidi per un miliardo di euro. Il tifo organizzato si è messo di traverso, temendo un incremento dei costi dei biglietti, lo spostamento di partite all’estero e la distribuzione su diverse giornate dei turni di campionato. Esattamente quello che succede nella nostra Serie A.
Come hanno potuto fermare l’accordo? Partendo da una posizione di forza che non ha eguali negli altri campionati europei. La regola del “50+1” prevede che le quote di maggioranza di ciascun club non possano essere detenute da un singolo soggetto, ma da più soci tra cui i tifosi stessi. Oltre alla presenza nelle proprietà dei club, i supporter sono poi organizzati a livello sindacale in “Unsere Kurve” (La nostra curva”), un sistema che permette di coordinare le forme di protesta mirate a far sospendere le partite. Una manovra illegale ma per nulla violenta. Gli strumenti di lotta sono il lancio di palline da tennis e di monete di cioccolata (sì, proprio come quelle che si trovano nelle calze della Befana), al massimo l’utilizzo di macchinine telecomandate munite di fumogeno. Nessun razzo, nessuna bomba carta, ma espedienti utili a ritardare l’inizio delle partite fino alla sospensione. I fondi d’investimento hanno visto una potenziale perdita di credibilità del prodotto televisivo e hanno così rinunciato all’accordo. Davide ha battuto Golia, la tradizione ha respinto il business, senza alcuna violenza. Perché da noi non succede mai?
*foto ripresa da https://communityfootball.it/