Candid camera in un’aula scolastica. Tre bambini, uno alla volta, seduti su una seggiolina davanti a un tavolino, interrogati su Ali. Intanto lui, Ali, dietro di loro, senza farsi sentire, si spogliava fino a rimanere soltanto con i pantaloncini. Poi appariva, spaventoso, si sedeva, monumentale, faceva domande, ad alta voce, pretendeva risposte, immediate, e li sfidava.
Ali volava e pungeva, sinistro e destro, danzava e colpiva, montante e diretto, schivava e provocava, smorfie e sguardi, incassava e tramortiva, uno-due e uno-due, soprattutto giocava e soprattutto con i bambini. Giocava con le gambe, con le braccia, con il busto. Giocava con la sorte e forse perfino con la morte. Giocava con se stesso e gli avversari. Giocava a volte facendo terribilmente sul serio. E con i bambini giocava per sensibilità, semplicità, purezza. Anche per magia, istinto, leggerezza.
Quello con i bambini è uno dei doni di Ali, forse il più sorprendente. Gli altri doni sono alla boxe, allo spettacolo, alla famiglia, quella di sangue (quattro moglie e nove figli) e quella di sudore (intorno al ring), al linguaggio, agli ultimi e alla dignità, sua, della sua gente e del suo popolo, una dignità che lo ha sempre guidato e accompagnato. E’ questo il senso della prima grande mostra fotografica su Ali, fino al 16 giugno al Pan di Napoli: i doni di un uomo vero, di un uomo che si è sempre schierato, di un uomo che ci ha sempre messo la faccia, non solo sul ring, ma nella vita di tutti i giorni, quella politica e quella sociale, senza mai chiedere sconti o permessi, senza cercare scorciatoie o palcoscenici, capace di tornare sulla strada dove era nato e cresciuto. Un centinaio di immagini selezionate negli archivi del quotidiano «New York Post», dall’agenzia fotografica Sygma e dal mensile «Life» (orari: lunedì-domenica, 9.30-19.30; martedì chiuso. Biglietti: 10 euro interi, 8 ridotti, 5 scuole. Informazioni: tel. 081/3630018. Catalogo: Skira). Ma anche uno schermo con quei tre episodi di candid camera, un altro schermo con un filmato sulla sua vita, un ring usato come schermo con una selezione del meglio pugilistico, e ancora manifesti e giornali. La cura della mostra – un onore – è spettata a Giorgio Terruzzi e a me. Scegliere il materiale non è stato facile, perché in ciascuno scatto Ali folgora, giganteggia, immortala, e perché ciascuna immagine potrebbe essere tema, argomento, materia di una singola mostra. E’ stato più facile scrivere i testi: Ali è una fonte di ispirazione anche poetica.
Ali, il più conosciuto, è quello dei 61 match e dei 548 round da professionista, dal 1960 al 1981. Più facile ricordare le sconfitte (cinque, di cui tre negli ultimi quattro incontri) che non le vittorie (56, di cui 37 per KO, il 61 per cento). La prima sconfitta contro Joe Frazier(poi battuto nei due successivi match): l’8 marzo 1971, ai punti in 15 riprese. Era il trentaduesimo incontro di Ali, che aveva smesso di combattere (vantava un record di 29 vittorie e zero sconfitte), squalificato per renitenza alla leva militare, dal marzo 1967 all’ottobre 1970. La seconda sconfitta contro Ken Norton nel 1973 (poi battuto nella rivincita), la terza contro Leon Spinks nel 1978 (poi battuto nella rivincita), la quarta contro Larry Holmes nel 1980, la quinta e ultima nell’ultimo match della carriera contro Trevor Berbick nel 1981. Ali è l’unico massimo nella storia ad avere conquistato il titolo mondiale tre volte: la prima il 25 febbraio 1964 contro Sonny Liston, la seconda il 30 ottobre 1974 contro George Foreman, la terza il 15 settembre 1978 contro Leon Spinks. In tutto, Ali ha sostenuto 34 combattimenti con il titolo mondiale in palio.
Ali, il più ricordato, è quello delle sue citazioni. Improvvisava, esagerava, entrava nella storia. “Io sono il più grande. L’ho detto perfino prima di sapere di esserlo”, con la spiegazione “Difficile essere umili quando si è grandi”. Ali, il più ammirato, è quello delle sue posizioni. Decideva, fissava, spaccava la storia. “Perché mai dovrebbero chiedermi di mettermi una divisa e andare quindicimila chilometri lontano da casa a sparare bombe e proiettili sulla gente di colore del Vietnam, mentre i cosiddetti negri di Louisville vengono trattati come cani?”. Ali, il più emozionante, è quello che accese la fiamma olimpica ad Atlanta nel 1996, già invaso e scosso dal morbo di Parkinson. Ali, il più commovente, è forse quello del suo testamento: “Vorrei essere ricordato come un uomo che ha vinto tre volte il titolo dei pesi massimi, che era spiritoso e che trattava tutti con giustizia. Vorrei essere ricordato come un uomo che non disprezzava quelli facevano riferimento a lui, che difendeva le cose in cui credeva, che ha cercato di unire tutta l’umanità attraverso la fede e l’amore… E poi vorrei anche essere ricordato per quanto ero carino”. Proprio così: carino.