Bloooog!
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IL TABU’ DELLE DIMISSIONI DI MANCINI
E’ una parola tabù. Si ipotizzano, si vagheggiano, si immaginano. Ma in realtà in Italia raramente ci si dimette. Anche e soprattutto nel calcio dove ballano soldi niente male: Mancini ha un contratto fino al 2026 a circa 4 milioni l’anno, più una notevole libertà di movimento sui suoi innumerevoli contratti pubblicitari, sotto varie forme di partecipazione (Lidl, Paul & Shark, Regione Marche, Poste Italiane.…). Non è detto che in un club ottenga qualcosa di altrettanto remunerativo e confortevole.
Nessuno ufficialmente chiede la testa di Roberto Mancini, anzi c’è un movimento generalizzato affinché resti – ed è giusto, visto il traguardo raggiunto con l’Europeo – ma è anche anomalo che non ci sia un’assunzione di responsabilità in questo senso.
Mancini ha lasciato una porta aperta alle dimissioni, ma non si è dimesso, sta evidentemente aspettando che qualcuno gli dica: noooo, non lo fare, resta con noi. In due parole: farsi pregare, ed essere sicuro che le sue dimissioni siano respinte…
IL TABU’ DELLE DIMISSIONI DI GRAVINA
Molte considerazioni che abbiamo fatto per Mancini valgono anche per Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio (dal 2018) che ha riportato un titolo europeo per nazionali in Italia dopo 53 anni. E’ un dirigente che è riuscito ad appendersi uno stemmino vistoso al classico blazer blu.
E’ vero però che in altre situazioni presidenti che lo hanno preceduto si sono dimessi, Abete nel 2014 (campionati mondiali in Brasile) e Tavecchio nel 2018 (mancata qualificazione ai Mondiali in Russia nel 2018).
Gabriele Gravina è la sintesi del calcio come è organizzato e concepito oggi. E’ un calcio dove ci si lamenta spesso dello strapotere dei club e della loro politica unicamente economico commerciale, di controllo arrogante del sistema, ma di fatto tutti assecondano l’andazzo.
I club hanno acquisto sempre più potere perché di fatto se lo sono comprato, e perché Abete, Tavecchio o Gravina, che ne sono emanazione, non si oppongono a tutto questo, perché loro stessi sono funzionali al sistema così come è concepito oggi. Lamentarsi degli ostacoli cui ci si trova davanti è soprattutto una confessione di impotenza, e dunque di responsabilità. Se la Nazionale è qualcosa di ingestibile è perché i Gravina e tutti quelli che lo hanno preceduto hanno le loro colpe.
CHI AL POSTO DI MANCINI?
Sentito Cannavaro con Lippi dt, oppure Ranieri ct. Mi sembra un festival dell’assurdo e del surreale. Anche un po’ sparare nomi a casaccio per farci dire, beh, no allora teniamoci Mancini. In questo momento siamo alla presentazione degli ospiti al Maurizio Costanzo Show: “Vittorio Sgarbi!”, “Valeria Marini!”, “Walter Nudo!”, “Platinette!”, “il Divino Otelma!”. Sigla.
TUTTA COLPA DEGLI STRANIERI…
Quando l’Italia fu eliminata dalla Corea del Nord ai Mondiali del 1966, si chiusero le frontiere agli stranieri (per riaprirle poi lentamente nel 1980). Dunque pensate quanto certi argomenti siano antichi e di fatto irrisolti, oppure endemici. Oppure ancora potremmo addirittura considerarli falsi problemi, presupponendo che certi giocatori italiani per sfondare debbano superare i migliori al mondo. Anche se non è vero, spesso in serie A arrivano giocatori stranieri impresentabili.
Gli stranieri in Serie A occupano il 64% del minutaggio totale di gioco, contro il 59,5% della Premier League, il 54,5% della Bundesliga, il 41,5% della Liga spagnola e il 39,4% della Ligue 1.
Le domande che bisogna farsi sono tre. 1) E’ un indice questo che giustifica una doppia esclusione della Nazionale italiana dai Mondiali e una crisi che va avanti da una dozzina d’anni, Europeo di Wembley a parte? 2) Chi impedisce che i nostri migliori calciatori giochino nei principali campionati europei, di fatto riequilibrando la bilancia dell’import-export azzurro? 3) Perché il Brasile ha vinto 5 campionati dal mondo, di fatto con pochissimi calciatori impiegati nei suoi campionati, ma sparsi invece per tutto il globo?
QUESTA L’HO GIA’ SENTITA…
Senza andare troppo indietro nel tempo. E’ almeno la terza volta, dai Mondiali in Brasile del 2014 (la quarta se ci mettiamo anche il fallimento del Mondiale in Sud Africa nel 2010) che attraversiamo sempre la stessa crisi, e che chiediamo sempre le stesse cose. Nell’ordine: 1) Più considerazione e più spazi per la Nazionale. 2) Meno stranieri in Serie A, perché tolgono spazio agli azzurri. 3) Riduzione della Serie A a 18 squadre, se non addirittura a 16, per avere più spazi di tempo e maggiore competitività dei club stessi. 4) Obbligo di investire cifre più considerevoli nei vivai e nei settori giovanili e una generale riorganizzazione del calcio giovanile, strutture comprese. 5) Maggior coinvolgimento dei rappresentanti di calciatori e allenatori nella gestione del calcio per non finalizzarlo unicamente all’aspetto economico-commerciale.
Ebbene non si è fatto niente di tutto questo, per cui è evidente che continuiamo a mettere sul piatto sempre lo stesso disco rigato.