Abbiamo tifato per Roberta prima del match, perché non dev’essere stato facile gestire la vigilia così piena di polemiche per la wild card concessa all’ex numero 1 del mondo, così piena di curiosità da parte dei media e di pressione per chi aveva tutto da perdere e poco da guadagnare: vincendo contro un’avversaria tanto arruginita e senza classifica, avrebbe fatto soltanto il proprio dovere, perdendo, avrebbe riaperto le porte alla fiducia e avrebbe steso un tappeto rosso alla russa allevata da Nick Bollettieri in Florida.
Abbiamo tifato per la finalista della storica finale tutta italiana degli Us Open 2015, per la castigatrice di Serena Williams in quelle incredibili semifinali di New York, per la ex numero 1 del mondo di doppio, per il delizioso rovescio a una sola mano, per l’unica italiana capace di eseguire con continuità servizio-volée. Insomma, per la Vinci che restituisce dimensioni umane a questo tennis sempre più muscolare e ripetitivo, col suo sorriso dolce. E abbiamo sofferto per lei e insieme a lei, all’inizio, che è stato delicatissimo, anche perché lo ha affrontato con una tensione mostruosa, ma che ha superato alla grande, fino al 2-0. Finché l’avversaria non ha rotto il fiato e ha ritrovato il ritmo partita, salendole sopra come un panzer, con tutta la sua maggiore potenza ed aggressività. Abbiamo sofferto con lei, mentre arrancava alla ricerca di una risposta al servizio sempre più efficace della Sharapova e, soprattutto, mentre smarriva la prima di servizio. Soprattutto, abbiamo patito le sue stesse frustrazioni, mentre perdeva prestissimo fiducia ed attitudine offensiva, e si esponeva sempre più impotente alle bordate da fondo di Masha. Quasi irretita dai famosi gemiti che, negli anni belli, facevano da sottofondo alla grande guerriera. E che sono risuonati nell’arena di Stoccarda come un leitmotiv, vecchio, ma non fuori moda. A dispetto dei 30 anni della russa che, a 17 anni, vinceva già Wimbledon e, dopo due gravi infortuni, ha interrotto la carriera per la terza volta per questo stop doping.
Quando Roberta ha perso il primo set e, in scia, subito, anche il servizio d’acchito del secondo parziale, abbiamo sofferto ancor di più. Perché, a dispetto delle bonarie sgridate di coach Francesco Cinà – “Devi spingere, l’ultima volta l’hai fatto sul 5-4 del primo set!” -, la Vinci non faceva gioco, lo subiva, non evitava gli angoli, ci cascava dentro immancabilmente, come una mosca nella tela del ragno, non sprizzava mai fantasia, varietà, e intelligenza tattica. Cioè le armi con le quali ha rilanciato imperiosamente la carriera di singolarità, salendo anche al numero 7 del mondo, ad aprile dell’anno scorso. Aveva un atteggiamento remissivo, negativo, perdente.
Ecco, quello che più ci ha fatto male è stata la mancanza di lucidità e vitalità della piccola-grande Roberta, peraltro contro una Sharapova che ha servito e risposto a livelli altissimi. E, sicuramente ha dentro di sé una carica nervosa enorme, ravvivata dalla lunga attesa ai box e delle malignità di colleghe e colleghi a proposito degli aiutini che le vengono concessi in virtù del suo passato. Vedremo al prossimo test di Maria – nel derby contro quella pazzariella della mancina russa Ekaterina Makarova – se Roberta non ha trovato le risposte perché non c’erano, perché l’avversaria è davvero già tanto tirata a lucido fisicamente e tanto motivata (39 vincenti, con 11 ace), quanto implacabile nell’uno-due servizio-risposta col quale ha caratterizzato la rivalità al vertice con Serena Williams. Oppure, anche lei, che s’è aggregata a chi ha contestato le wild card alla Sharapova, in fondo non ha contribuito a darle un altro aiutino con il proprio atteggiamento, agevolando il gioco rapido che tanto piace alla numero 1 del mondo del marketing dello sport al femminile tutto, non solo quello tennistico. Sharapova che, comunque, su questo campo di Stoccarda, ha vinto tre titoli di fila (costruendo le basi per i primi più importanti successi sulla terra rossa per Roma e Parigi), e aveva già battuto due volte su due la Vinci.
Una cosa è già sicura: con Serena Williams fuori gioco tutta la stagione per maternità, e le secondo della classe così altalenanti e poco credibili a livello più alto, il tennis donne può tirare un bel sospiro di sollievo riabbracciando una Sharapova già così in palla e motivata. E noi con lui. In fondo, quando non gioca contro un’italiana, e soprattutto contro un’atleta che merita tutto il nostro rispetto e la nostra riconoscenza come Roberta Vinci, forse riusciremo anche ad apprezzare appieno la combattività e l’intelligenza tattica della divina Maria. Un esempio, comunque, di volontà e di amore per uno sport che le ha già dato fama e ricchezza, ma per il quale ha ancora tanta voglia di sacrificarsi, per conquistarsi altre soddisfazioni. Anche se lei, con tutta la sua esperienza, recita: “La cosa davvero importante per me non è l’avversario, ma i game, i set, le partite che devo assolutamente giocare”. E, quindi, bentornata, Sharapova. Dobbiamo ammettere che ci sei mancata. Con tutta la tua grande personalità, e il tuo orgoglio di grande guerriera. Sembra di rileggere la stessa favola di Roger Federer che rientra come se niente fosse. Anzi, anche più forte di prima, a dispetto di tutto e di tutti. Ora bisogna solo vedere se Maria ha quelle stesse capacità di fermare il tempo.
Vincenzo Martucci
(foto di Ray Giubilo. Vietata la riproduzione senza previa autorizzazione)