Ha lasciato nel cuore un po’ di tristezza vedere quelle tribune vuote nel piccolo stadio di Villeneuve d’Asq, in Francia a due passi da Lilla. Evidentemente i campionati Europei a squadre non riescono a scaldare la passione, oppure sono mal organizzati e pubblicizzati. Curve coperte con eleganti teli azzurri, la tribuna principale vuota nella prima delle tre giornate di gara, quella opposta che ha visto qualche ospite solo nella terza e ultima. E pensare che la mamma di questa manifestazione, la Coppa Europa ideata alla fine degli anni Sessanta da Bruno Zauli, era affascinante. Regalava la prima competizione a squadre in una disciplina prettamente individuale ed aveva quel dono dell’immediatezza che poteva attirare anche i profani.
FORMULA OTTUSA – Allora si sfidavano otto squadre, un atleta/gara per ognuna e i campioni c’erano tutti. Qui invece le stelle del Vecchio Continente (e i loro manager) hanno preferito tenere in serbo i muscoli per i remunerativi meeting. Non bastasse questo, è la formula ad essere diventata cervellotica. Quella precedente era immediata, ora, per allargare la “serie A” a 12 squadre (11 nell’occasione considerando che la Russia è squalificata per le note vicende doping) si è costruito un sistema macchinoso, con qualificazioni per le gare in
corsia che hanno regalato una prima giornata da sonni profondi. Ma il vero capolavoro è stato realizzato nei concorsi: solo tre tentativi per atleta, un quarto
alla fine per i primi quattro della classifica provvisoria. Nell’alto si tocca il massimo del peggio con un saltatore eliminato al quarto errore non alla stessa misura. Così a Villeneuve d’Asq. La logica conseguenza è vedere il vincitore maschile a quota 2.22, abbastanza bassino diremmo. Formula che, seppur già testata e fallita, continua ad essere riproposta dalla Federazione Europea. Incredibile.
LA TELEVISIONE – Così si costruisce un’atletica che interessa solo per pochi, e l’atletica, la mamma di tutto gli sport, non può e non deve accontentarsi di un’élite di appassionati. A questo si aggiunge la lentezza del programma ed una regia televisiva da prendere a pedate. Domenica il confronto davanti alla Tv con gli adrenalitici gran premi di moto GP e Formula 1 è stato imbarazzante.
LA CRISI – Eppure il movimento europeo avrebbe bisogno di una grande manifestazione per rilanciarsi. Certo, il resto del mondo è cresciuto. E’ arrivata l’Africa che monopolizza le corse di resistenza, sono cresciute Asia e Oceania. Ma l’Europa non è rimasta ferma, ha fatto passi indietro. Lo si vede nei bilanci mondiali, nelle corse ormai è una comparsa. Ormai quasi tutti i paesi fanno larghissimo uso di immigrati di prima, seconda e terza generazione, nazionali come quelle britannica e francese sono in gran parte composte dai frutti e gli eredi delle loro ex colonie. Cosa succede agli autoctoni? Troppa concorrenza delle altre discipline? Troppo faticosa e poco remunerativa l’atletica?
L’ITALIA – Pure noi ci stiamo adeguando anche se il sangue fresco non riesce a risolvere i nostri problemi ormai cronici. I maggiori sono la quasi assenza di sport nella scuola, la morte dei vecchi Giochi della Gioventù ed una cultura che non ama la fatica. La cultura… Quanti genitori al giorno d’oggi sono in grado di dire al proprio figlio come si esegue un salto in alto o in lungo? Le risposte non vanno cercate nei Massimi Sistemi, ma nel nostro quotidiano. La squadra azzurra a questi Europei sperava in un quinto posto e si è ritrovata settima. Ancora al sicuro da una retrocessione in First League (la serie B), ma non può e non deve bastare accontentarsi della salvezza. Paesi come Francia e Spagna con cui battagliavamo ora sono spanne sopra di noi. Pensiamoci. Ma è tutta l’atletica europea che deve fare una profonda riflessione. La decadenza fa male anche nello sport.
Pierangelo Molinaro