Se chiedete agli atleti, il Qatar sarebbe fra gli ultimi posti al mondo dove cercare di dare vita alla grande atletica, ma oggi tutto lo sport mondiale va così, contano soltanto i dollari. Lo splendido stadio Khalifa sarà climatizzato, ma le gare esterne, maratona e marcia, già programmate a notte fonda, rischiano di saltare perché il clima di questi ultimi giorni di vigilia è ben più torrido e umido della norma stagionale ed una decisione sarà presa soltanto all’ultimo momento.
Per l’atletica questo mondiale sarà un momento fondamentale per il suo futuro. Questa disciplina, mamma di tutti gli sport, vive un calo di interesse a vantaggio di discipline più facili da capire e ricche di emozioni e paga gli errori del passato. Gli anni d’oro della presidenza di Primo Nebiolo, che diede all’atletica il massimo lustro, sono lontano ormai un ventennio e la concorrenza, soprattutto televisiva, è spietata. Per questo si sono cercate nuove gare, come la staffetta mista. Ma non sembra questa la strada. Questo sport è tradizionalista perché rappresenta i gesti motori fondamentali, correre, saltare, lanciare. Gare come queste frustrano il genere femminile imponendo anche scontri impari che non fanno certo spettacolo.
Ma sono soprattutto gli errori del passato che ora presentano il conto. Nel 2008 è esploso Usain Bolt ed è stato fin troppo comodo puntare tutto su di lui. Una pigrizia anche dei mezzi di comunicazione che è costata carissima e quando nel 2016 ha salutato, Usain ha lasciato un vuoto enorme. In questo lasso di tempo campioni straordinari come il mezzofondista keniano Rudisha o il somalo-britannico Farah sono passati quasi inosservati travolti dalla popolarità del giamaicano. Tutti i titoli erano per lui, un meeting che non lo aveva in cartellone scivolava automaticamente in serie B. Un errore enorme, dimenticando che l’atletica ha proprio nella diversificazione il suo principale valore.
Secondo peccato mortale la caccia ossessiva ai record, con meeting tutti incentrati sulla ricerca dei primati che nel 90 per cento dei casi finiscono con una delusione perché un primato rappresenta il miglioramento dei limiti umani e proprio nella difficoltà sta il suo fascino. Caccia ai primati che ha pure spinto al doping…
Questi Mondiali, se interpretati nel mondo giusto, possono rappresentare un grande punto di ripartenza e serve umiltà. Ma le gare di campionato sono le più belle, senza lepri che impostano ritmi folli e rendono le gare noiose, e riportano al vero senso delle competizioni: la sfida uomo contro uomo. Gustiamoci allora questi 10 giorni di atletica tropicale, se la guarderemo con l’occhio giusto non ci deluderà.
E l’Italia? Veniamo da una bella stagione, soprattutto a livello giovanile. I giovani talenti crescono e molti hanno dimostrato di saper lottare. Sembra che in maglia azzurra tiri una nuova aria, c’è voglia di combattere e si spera di non vedere più gente che aveva come unico obiettivo andare ai Mondiali rimediando poi sul posto figure a volte umilianti. Ma rimaniamo con i piedi per terra, a livello assoluto siamo anche lontani dal vertice.
Qualcuno ha acceso speranze per Filippo Tortu, speranze che rischiano di schiacciarlo e sono tecnicamente lontane dalla realtà. L’obiettivo sarebbe nei 100 metri l’ingresso in finale, ma per riuscirci dovrebbe davvero superarsi esibendo quello che in stagione non è ancora riuscito a fare. E’ lontano dai migliori, solo 10”11 il suo stagionale, risultato centrato a giugno a Oslo, ben lontano dal 9”81 del favorito, lo statunitense Christian Coleman. Meglio di potrebbe fare Marcel Jacobs (10”03 in luglio al Padova), ma per ambedue l’ingresso in finale richiederebbe un deciso miglioramento. I 100 metri sono comunque la specialità più “facile” della velocità maschile, considerando che su 200 e 400 metri saranno in corsia veri fenomeni come Noah Lyles (19”50) e Michael Norman (43”45).
Le altre speranze le coltiviamo nel salto in alto, specialità senza grandi acuti stagionali a livello mondiale, con i campioni acciaccati o rotti. Qui schiereremo il giovane Stefano Sottile (2.33 quest’anno) e Gianmarco Tamberi (2.28). Naturalmente le maggiori aspettative le riponiamo in Tamberi, facendo fede sul suo furore agonistico, ma la sua gara sarà una vera lotteria considerando quanto poco abbia gareggiato quest’anno.
La sorpresa potrebbe arrivare nel 100 ostacoli femminili da Luminosa Bogliolo, l’unica atleta che ha dimostrato di essersi stabilizzata su livelli internazionali, sotto i 13 secondi. La sua grinta potrebbe partorire il miracolo di una finale prestigiosa. Puntavamo molto sulla marcia, soprattutto femminile, sulla Palmisano sulla 20 km e la Giorgi sui 50, ma nelle condizioni climatiche di Doha, tutti i rilievi tecnici saltano per aria. Non conta essere veloci, ma avere la resistenza da cammello nella torrida notte del Golfo Persico. Per giudicare gli altri azzurri ci saranno due soli parametri: la voglia di lottare e la capacità di migliorarsi nell’occasione più importante. Buona fortuna.