Tutto è bene quel che finisce bene. Chi vince ha sempre ragione. E’ giusto perciò che la Francia esulti per la decima coppa Davis vinta davanti ai 25mila spettatori sciovinisti dello stadio di Lille adattato al tennis, ma questa “decima” ha ben altro sapore rispetto a quella di Rafa Nadal al Roland Garros. Ha vinto da favorita ma, per farcela, ha dovuto riportare in panchina da capitano non giocatore l’ingombrante (e costoso) mito Yannick Noah, è stata comunque costretta sul 2-2 dal fantastico David Goffin – quello he battuto Nadal e Federer al Masters e, come numero 7 del mondo, era il più alto in classifica dei giocatori a Lille – ed ha avuto bisogno dell’ultimo singolare, dominato da Pouille su un irriconoscibile Darcis (che aveva vinto i cinque match decisivi di Coppa sul 2-2….).
Ce l’ha fatta, la Francia, praticamente senza i “nuovi Moschettieri”, perché Monfils non c’era, Simon è in parabola discendente e Gasquet è stato ripescato in extremis e solo per il doppio. Per cui dei quattro talenti di casa di questa generazione era presente il solo Jo Wilfred Tsonga – il più simile a capitan Noah, di fisico, temperamento e gioco – , che ha portato il punto più facile, contro il numero 2 ospite, Darcis, ma non è mai uscito dalla ragnatela da fondocampo di Goffin. Ce l’ha fatta, anche se ha lasciato molte perplessità la scelta di Noah di rompere la coppia tradizionale Mahut-Herbert creandone una inedita, Gasquet-Herbert, e rischiando fortemente coi belgi Bemelmans-De Loore, che hanno servito sul 5-3 per andare avanti due set a uno e ipotecare il doppio, creando così una situazione di autentico terrore fra i padroni di casa. Ce l’ha fatta, anche se, sul 2-2, forse sarebbe stato più saggio schierare il più esperto Gasquet invece di confermare Pouille, che pure è il futuro più concreto della Francia tennistica ma soprattutto è il pupillo di Noah.
Tutto è bene quel che finisce bene. Chi vince ha sempre ragione. La Francia, come organizzazione, come teatro del Roland Garros, come fucina di buoni giocatori, come storia, meritava di cancellare le batoste 2002 e 2010, quando perse la finale da 2-1, entrando nel guinness dei primati negativi da quando esiste il tabellone mondiale (nel 1981): a Parigi Bercy, perché, dopo aver battuto Safin e Kafelnikov, sul 2-2, Mathieu si sciolse contro Youzhny, e perché poi, a Belgrado, aggirò super-Djokovic, ma Forget sbagliò a schierare Llodra e non Simon sul 2-2, pensando di ritrovare in campo Tipsarevic, mentre giocò Troicki. Meritava anche di sfatare il tabù, dopo sedici anni, e la vittoria in Australia del 2001. Ce l’ha fatta. Ma con tanta fatica. Troppa. E sicuramente la sua grandeur è molto più piccola del grande Goffin che, stremato, con un ginocchio scricchiolante, praticamente da solo, ha tenuto testa a tutti e a tutti. Anche se i suoi due punti non sono bastati. Speriamo almeno che questo successo riporti un po’ di serenità in un ambiente ricco, organizzato, pieno di possibilità, ma anche litigioso e spaccato in più frazioni. E sempre all’infruttuosa ricerca del faro, del giocatore-guida, che manca proprio dagli anni 80 con Yannick Noah. L’ultimo francese ad aggiudicarsi uno Slam, e proprio il Roland Garros, nel 1983.
VINCENZO MARTUCCI