Come si allena da casa al tempo del Corona Virus un numero 1 come il re del tennis, Novak Djokovic, in attesa di un rientro che si posticipa di mese in mese? Lo abbiamo chiesto al suo preparatore atletico, Marco Panichi. Che è italiano come il manager, Dodo Artaldi e la compagna con cui lavora in tandem, Elena Cappellaro.
Come si allena Novak I da Serbia, campione di 17 Slam, l’ultimi a gennaio agli Australian Open?
“E’ un’esperienza nuova per tutti. La tecnologia ci aiuta ad evitare i rischi di errori. Skype è la prima linea di comunicazione di questo lungo periodo che somiglia molto alla pre-season, ma è ancora più lungo di quella fase in cui si carica di benzina il serbatoio in vista di una stagione come quella del tennis che, in teoria, non prevede altri stop.
Nole è diligente ed esperto, segue un programma, che sviluppa nella palestra e sul campo da tennis che ha in casa. Anche se ovviamente, come tutti, speriamo di ritrovarci presto e di lavorare da vicino ed aumentare anche quelle 3-4 ore al giorni di lavoro che Nole fa adesso senza un obiettivo certissimo, perché ancora non esiste un’idea sulla data del ritorno alle gare”.
Strada facendo avete già cambiato programma: la stagione della terra è stata cancellata, o almeno posticipata.
“Si rivede qualcosa nello specifico, ma gli esercizi per tener viva forza e resistenza sono sempre quelli, con lavori aerobici e potenziamento muscolare, anche specifici su anche, spalle, ginocchia. I lavori a circuito sono perfetti da fare a casa”.
Quant’è difficile far bene un allenamento a distanza?
“Beh, intanto, un super-professionista come Djokovic è talmente dedicato, attento e coscienzioso, e talmente allenato anche ad eseguire bene gli esercizi, che il problema non si pone. E poi c’è appunto Skype per correggere eventuali errori, e coordinarsi meglio, e ci sono gli sms che ci scambiano quotidianamente, anche più volte al giorno”.
C’è il problema della noia.
“Certo, gli esercizi devono essere vari e stimolanti ma, come sempre, la motivazione e la serietà sono decisivi: gli atleti adesso più che mai devono prendere ancor più coscienza di chi sono, di quel che vogliono e devono migliorare. E sfruttare questa forzata sosta per ripresentarsi meglio che mai alla ripresa dei tornei”.
C’è il problema del lavoro da soli.
“Anche sotto questo aspetto quest’esperienza è importantissima per la loro maturità, per diventare ancor di più gli artefici delle proprie fortune. Io e gli altri elementi del team, dall’allenatore al fisioterapista allo psicologo, possiamo fornire gli strumenti, possiamo verificare che gli atleti li utilizzino al meglio, ma mai come adesso loro sono autonomi.
Djokovic è un esempio: la sua forza è l’attitudine mentale che si lega ed esalta le qualità fisiche e tecniche, con elasticità, mobilita e forza naturali che cerchiamo di mantenere e migliorare”.
Panichi lavora anche con altri tennisti “minori”, come Nicola Khun ed Angelique Kerber, e sfrutta anche la passata esperienza da pioniere in Cina. Ma lei personalmente come passa il tempo, a casa?
“Quel mondo e il nostro sono molti diversi, ma anche noi, in Italia, abbiamo preso coscienza della situazione e abbiamo reagito. Sono stato per la prima volta in Cina nel 2006/2007, ci sono tornato l’anno dopo a contratto e ci sono rimasto per quattro anni, avviando Li Na, Peng Shuai e le altre ragazze, e portando avanti il movimento femminile in generale. In Cina ci sono cose straordinarie sotto il profilo umano, per cui non sono rimasto stupito dalla generosità dimostrata verso di noi con l’invio di medici e di materiale sanitario, dimostrando un atteggiamento bello e civico. Ma hanno anche problemi, come lo smog, che era talmente elevato da spingermi, all’epoca, a spostare il centro olimpico al sud. Seguo anche altri atleti, ma soprattutto sfrutto questi insoliti momenti senza valigia per stare un po’ in famiglia, per rimettere a posto l’archivio di documenti e filmati,studiare, ripensare allenamenti e programmi”.
Il suo primo sport è stato l’atletica, quindi può capire ancor di più di altri il rinvio di un anno dell’Olimpiade estiva di Tokyo.
“Non sarebbe stata una vera Olimpiade, con staff dimezzati, qualificazioni ridotte, paure continue di una nuova e gigantesca pandemia, a fronte di una situazione davvero incontrollabile, dagli atleti, al pubblico, agli addetti ai lavori. E’ un peccato, ma la salute dell’uomo va messa al primo posto”.
- Intervista pubblicata su www.primaonline.it