Credete nella forza dei nomi? Nel caso di Isaiah Thomas l’assonanza è diventata qualcosa di più. Il piccolo play, ma proprio piccolo visto che in altezza è quotato 1.75 e gli americani misurano i giocatori con le scarpe, che ha portato i Boston Celtics al n.1 dell’Est ha solo una vocale di differenza rispetto ad Isiah Thomas, il leggendario piccolo grande uomo dei Detroit Pistons campioni Nba alla fine degli anni Ottanta, i famosi Bad Boys, cattivi come la peste. E Isiah, in quanto a durezza, non era secondo a nessuno anche se poi illuminava il suo gioco con un talento unico. Isaiah non è suo parente, ma il suo nome deriva proprio da li: il padre, tifoso dei Lakers, scommise che Los Angeles, dopo aver battuto i Pistons nella finale del 1988, ci sarebbe riuscita anche l’anno successivo. O, nel caso contrario, avrebbe chiamato il figlio che stava aspettando Isiah. Il nome, però, cominciò a piacergli a prescindere, così quando il 7 febbraio del 1989, ben prima delle finali vinte 4-0 da Detroit, venne alla luce il figlio venne battezzato Isaiah, con una a in più come il profeta biblico, perché la madre lo pretese senza condizioni. Da allora, la vita del piccolo Thomas, cresciuto a Tacoma nello stato di Washington dove il padre era un tecnico della Boeing, è stata legata al grande Isiah: Isaiah è diventato un suo fan, ne portava le magliette, guardava i video dei suoi highlights fino a quando si sono conosciuti davvero. Oggi sono continuamente in contatto, uno felice di aver ispirato col suo gioco un grande giocatore, l’altro di aver avuto nella sua lunga e difficile strada verso l’affermazione un mentore così famoso. Tanto, che in moltissimi palazzetti, ancora oggi che Isaiah è un atleta conosciuto, molti continuano a credere che sia il figlio di Isiah e, ovviamente, lo insultano. Perché il presunto padre è stato uno dei giocatori più odiati dai tifosi avversari.
Nella grande corsa per il titolo di Mvp della stagione tra Russell Westbrook e James Harden, credo che nessuno meriterebbe il premio di miglior giocatore, o meglio, di giocatore che ha contribuito maggiormente al successo della sua squadra, come Isaiah Thomas. I Celtics hanno vinto la Eastern Conference superando i Cavs di LeBron James strafavoriti e il piccolo play ha chiuso la stagione come terzo realizzatore della Nba a 28.9 di media solo di un soffio alle spalle proprio di Westbrook e Harden. Certo, non è un re degli assist o delle triple doppie come i due dominatori dell’anno, ma bisogna anche capire che vedere il mondo della Nba da 175 centimetri di altezza è davvero un’impresa titanica, ogni dannata sera. Come quando, da piccolo, doveva giocare con i grandi perché a Tacoma non trovava pari età abbastanza forti con i quali misurarsi. E’ stato sottovalutato per buona parte della sua carriera, scelto all’ultimo posto disponibile (il numero 60) nel draft del 2011, scambiato dai Sacramento Kings, con i quali aveva disputato i suoi primi tre anni di Nba in continua ascesa, perché non ritenuto in grado di poter guidare una squadra ai playoff, preso da Boston nel febbraio del 2015 mentre languiva a Phoenix, per poi esplodere definitivamente. E oggi la storia potrebbe ripetersi: Isaiah guadagna “pochissimo”, poco più di 6 milioni lordi a stagione, meno di un quarto di Westbrook e Harden, e il suo contratto scadrà nel 2018. Boston gli offrirà il massimo per trattenerlo o, ancora una volta, il fatto che sia alto 1.75 diventerà un fattore negativo su cui ponderare?
Quando lo vedo con la maglia dei Celtics rimasta immutata nel tempo, con quelle entrate mancine quasi immarcabili, più che Isiah dei Pistons mi ricorda Tiny Archibald, un altro piccolo grande giocatore che vinse il titolo con Boston nel 1980. Andate a rinfrescarvi la memoria su Youtube se vi capita… Archibald veniva spacciato per 1.85 ma, in realtà, è alto un paio di centimetri più di Thomas. E arrivò nella Nba più per quello che fece vedere sui campetti del Bronx che per la carriera scolastica. Resta l’unico giocatore ad aver vinto la classifica di miglior realizzatore e degli assist nella stessa stagione. Quest’anno Westbrook e Harden ci sono andati vicini, scambiandosi il primo e secondo posto nelle due classifiche. Ma Oklahoma City e Houston sono spesso degli One Man Team, i Celtics di Stevens, pur tirando moltissimo da tre punti, hanno una concezione del basket differente.
Quello che sta facendo Thomas nei playoff è, ugualmente, incredibile. Alla vigilia del debutto contro i Chicago Bulls, Isaiah ha perso l’adorata sorellina in un incidente d’auto. Un colpo tremendo. I Celtics lo hanno lasciato libero di tornare a casa e non giocare, lui ha voluto scendere in campo lo stesso, sopraffatto dalla commozione e dal dolore. In gara-1 ha segnato 33 punti cercando di dimenticare almeno in campo quello che era accaduto, in gara-2 “solo” 20. Boston, però, non era la stessa che aveva vinto la stagione regolare e ha perso le prime due partite in casa. Solo allora Thomas ha raggiunto la famiglia per ripresentarsi in tempo per gara-3. La vita, anche per i Celtics, andava comunque avanti: due vittorie a Chicago, in gara-4 con una prestazione mostruosa di Isaiah autore di 33 punti ma, soprattutto, dominatore dell’ultimo quarto. E, mercoledì notte, Boston ha ripreso il comando della serie.
Gara-5 non è stata la miglior partita di Thomas, anzi. Ha iniziato male, segnando un solo canestro nel primo tempo. Poi, come aveva già fatto l’anno scorso contro Golden State dopo essere rimasto completamente a secco di punti, ha cambiato le scarpe e la fascia tergi-sudore che veste sempre in campo. E ha realizzato 19 punti nella ripresa battendosi come un leone a rimbalzo. Non sappiamo se la favola dei Celtics, da molti considerati la più debole n. 1 degli ultimi anni, potrà continuare ma è possibile non innamorarsi di storie così? Quanti hanno amato il basket e capito la sua essenza più profonda grazie alla sfida che giocatori come Tiny Archibald, Isiah e Isaiah Thomas lanciano al mondo ogni volta che si allacciano le scarpe per lottare contro i giganti?
Luca Chiabotti