Crisi politico-economica, crisi d’identità, crisi sportiva, crisi da gigantismo: perché, a dispetto di ingenti introiti, scemano i candidati organizzatori dei Giochi Olimpici? Per avere qualche delucidazione abbiamo intervistato il dirigente sportivo italiano più inserito negli organismi mondiali, Francesco Ricci Bitti.
Che sta succedendo con i candidati ai Giochi?
“Sicuramente i segnali erano negativi già per il 2022, con le candidature di Pechino e il Kazakistan, e sono rimasti tali per il 2024, con Parigi e Los Angeles: erano due segnali visibili da valutare per tempo. Così come il fatto che, da tempo, a candidarsi sono le città asiatiche, da Pyeongchang, nella Corea del Sud (9-25 febbraio 2018), a Tokyo 2020 (22 luglio-9 agosto), appunto a Pechino (che si è aggiudicata i Giochi invernali 2022). Asia vuol, dire un paese dove c’è un controllo della popolazione più forte quando c’è una decisione che viene dall’alto”.
Qual è il male oscuro dell’organizzazione a Cinque Cerchi?
“Il primo motivo è sicuramente dovuto al clima economico-politico mondiale, soprattutto del mondo occidentale, il secondo è legato all’eredità negativa dei Giochi, da Atene in poi, con la voce dei costi che impressiona molti. E tutto ciò a dispetto del fatto che economicamente i Giochi olimpici sono in spolvero come non mai, l’unico modello multi-sport mondiale, con introiti che, considerando il ciclo gli 4 anni, cioè sia l’Olimpiade estiva che quella invernale, come valutiamo noi al Cio, il valore commerciale è 8 miliardi di dollari, compresi i ricavi indotti. Il problema è organizzativo e di marketing, perché bisognerebbe spiegare meglio e più diffusamente alle popolazioni che impatto reale ha, per tutti, un simile avvenimento e renderlo quindi più attrattivo. Inoltre bisognerebbe difendere i più i costi e differenziare bene se, come è stato nel caso di Sochi, in realtà, le spese sono aumentate perché si è sfruttata l’occasione dei Giochi per costruire strade e infrastrutture: i costi puri erano normali, ma sarebbe stato giusto dire di più e dire meglio, alla gente. Oggi quelli che capiscono davvero che business siano i Giochi sono gli sponsor, grazie ala visibilità televisiva. Evidentemente, non basta”.
Il problema dell’eredità resta fondamentale da gestire: gli impianti sportivi diventano troppo spesso le classiche cattedrali nel deserto.
“Non c’è riequilibrio. Anche città che hanno fatto bene, come Londra, hanno risolto più tardi il problema della riutilizzazione dello stadio d’atletica, per esempio, con il calcio, e anche Pechino ha i suoi problemi col famoso Nest, che ora usa anche per altri eventi extra sportivi. Il problema del dopo-Olimpiadi va risolto prima, già nelle pratiche della candidatura dev’essere assolutamente inserito il protocollo di riqualificazione e di gestione degli impianti una volta terminate le gare”.
L’idea di ospitare i Giochi estivi in sede unica, ad Atene, dove sono nati, anche per aiutare la Grecia, è tramontata.
“Va contro la mentalità che lo sport deve andare dappertutto. Ma il problema delle poche candidature non si può risolvere perché, oggi, nel mondo, le città che hanno cultura sportiva sono 20, forse 30, e Rio de Janeiro era al limite. Affidare l’organizzazione di un evento mondiale come un’Olimpiade a città non equipaggiate è un errore: i rischi vanno assolutamente equilibrati, così come le qualità vanno assolutamente valutate e premiate”.
La soluzione quindi qual è?
“I comitati organizzatori dovrebbero essere costituiti dalle varie Federazioni, che sono già equipaggiate ed abituate ad organizzare i loro eventi, e che quindi devono continuare a farlo alle Olimpiadi, ognuno per le sue competenze. Questo, oltre a snellire e qualificare l’organizzazione, aiuterebbe anche ad alleggerire dei costi, perché non si dovrebbe più assoldare ed istruire personale extra, ma si potrebbe sfruttare lo stesso utilizzato nelle altre gare dei singoli sport”.
Questa ipotesi cozza un po’ con la tendenza delle Federazioni di affidare promozione ed organizzazione dei massimi avvenimenti a grandi gruppi manageriali sportivi. Com’è accaduto ultimamente alla Federgolf con Infront.
“E’ il solito dilemma: guadagnare meno e controllare di più, o guadagnare di più e controllare di meno? L’importante, quando si presenta la candidatura ad un’organizzazione per una manifestazione più o meno grande, è tener sempre presente i tre punti cardine: la capacità di farlo, la sostenibilità economica, la gestione della ricaduta”.
E quindi che succederà coi Giochi del 2024: chi la spunterà fra Parigi e Los Angeles? Le uniche due candidate hanno minacciato di disertare l’eventuale corsa per il 2028…
“Io penso che si andrà verso una doppia assegnazione, per il 2024 e per il 2028, così da concedere abbastanza tempo, e garanzie, alla città che vincerà l’organizzazione per il 2028, ma anche per dare al Cio il tempo per cambiare tutto il sistema di assegnazione dei Giochi. Con i membri che diventerebbero i ratificatori di una scelta fatta dalla commissione di fattibilità formata dai vice-presidenti e da tecnici, per garantire l’indispensabile trasparenza e le regole di cui abbiamo bisogno. Alla riunione d’inizio luglio a Losanna, avremo qualche indicazione chiara a riguardo. Thomas Bach (il presidente del Cio dal settembre 2013, n.d.r) ha avuto una grande intuizione quand’ha inserito la questione nell’agenda 2020, ma non è abbastanza”.
Tutto ciò non salverà comunque i Giochi dal gigantismo.
“Dal 2009, quando il precedente presidente del Cio, Rogge, era contrario, io sono diventato il leader del movimento di snellimento, una posizione affatto popolare e molto controversa, ma della quale sono assolutamente convinte. Oggi i Giochi sono troppo grandi e il problema non si risolve rinfrescando il programma con sport nuovi e più vicini al pubblico giovane. Il concetto di replicare un campionato del mondo è sbagliato: lo sport all’Olimpiade dev’essere rappresentativo e universale, la cosa più importante è esserci. Faccio solo due cifre. Il limite della carta olimpica indica a 1800 circa il limite degli atleti ammessi ai Giochi, a Rio, anche per via della questione “Meldonium” e quindi dell’esclusione degli atleti per doping che prima sono stati esclusi, e rimpiazzati, e poi sono stati riammessi, è arrivato a 11.303. Significa che il Villaggio Olimpico con annessi e connessi è arrivato ad ospitare 25mila persone, come una città, con numeri che in Europa non sarebbero nemmeno possibili. E gli accrediti, in proporzione a così tanti atleti ammessi, diventano 150mila, una altro elemento insostenibile. Quindi prima o poi bisogna assolutamente intervenire su questo tema. Che oggi non è considerato una priorità. Ma che secondo me lo è”.
Vincenzo Martucci
- Francesco Ricci Bitti (75 anni, faentino), già campione italiano di tennis di doppio misto, presidente della Federazione italiana tennis, di quella europea (Eta) e di quella mondiale (Itf), dal 2006 membro Cio, è presidente Asoif (l’associazione delle federazioni olimpiche estive) e membro esecutivo Wada (il programma antidoping).