Non so se sia vero, come ripetono i soliti disfattisti, che ad un anno e più dall’elezione del nuovo presidente della FIDAL, i pretendenti all’incarico che fu un tempo di Bruno Zauli e di Primo Nebiolo, siano più degli atleti qualificati per Tokyo 2020. Ma chiunque alla fine dovesse spuntarla in via Flaminia, dovrà affrontare una “ricostruzione” da far tremare vene e cuore. Se non altro a stare al Ranking 2019 presentato in queste ore da Track&Field News. E che certifica un dato desolante: l’atletica italiana che tra gli anni Ottanta/Novanta aveva una corposa presenza nel panorama internazionale, ora si è praticamente dissolta. E non certo per cause economiche.
Come si è giunti a tanto? A mio modo di vedere per diverse motivazioni, non indipendenti le une dalle altre. La prima, la più significativa, per lo stesso virus che ha colpito il nostro Comitato Olimpico: l’incapacità di percepire il violento cambio di passo intervenuto nello sport mondiale nel Secolo XXI. Il cui primo effetto è stato l’affermarsi di un chiassoso e sgomitante professionismo, o presunto tale, che ha finito col porre nell’angolo i valori e i contenuti di base dello sport olimpico.
La seconda, per le eccessive aperture al “sociale” – varco nel quale si sono rapidamente inseriti politici di varia astrazione, tutti in cerca di visibilità e consenso, fino alla pretesa di riscrivere regole e dettare norme –, collocate in quell’indistinta zona di confine tra agonismo e attività salutistiche, proprio dove vanno a confondersi investimenti pubblici e interessi privati.
Un cambiamento che per la federazione di atletica si esprime oggi in migliaia di corse su strada e in una costante dilatazione della categoria Master. Esattamente il contrario di quanto si richiederebbe alla federazione “tecnica” per eccellenza, come quella di atletica, la cui “mission” (come si dice adesso) dovrebbe tradursi nel reclutamento e nelle motivazioni per i migliori, oggi mortificati dalla ricerca di stipendi nei diversi corpi militari. Niente di più.
D’altro canto, un inequivocabile segnale della tendenza in atto lo ha fornito di recente lo stesso segretario della federazione – Fabio Pagliara – pubblicando (assieme all’economista Paolo Di Caro) un meritorio libro dal titolo “Sport (in the) City – Viaggio nello Sport che cambia le città”. Meritorio perché affronta da un angolo sociologico un tema attuale quale il miglioramento della qualità della vita attraverso lo sport. E nel quale può trovare spazio anche l’universo runners, tanto più se il fenomeno interessa e muove ormai 6/7 milioni di persone.
Quindi, bene l’idea della Città Smart = Città Sport e le implicazioni che ne sono a monte, dall’impresa al turismo sostenibile, dai contesti urbanizzati fino alle piste ciclabili. Ma dal mio punto di vista – certo un po’ provinciale e ristretto, lo ammetto – sarebbe stato più apprezzabile uno studio su come convincere i giovani, che so, ad avvicinarsi al lancio del martello o al salto con l’asta. Con tutto il rispetto dovuto all’autore/agli autori del volume, tanto più considerato che alle Olimpiadi non vanno né Runners né Masters. Ma questo è un dettaglio e probabilmente sbaglio.
Tornando ora al corposo ed articolato Ranking di T&FN, scopriamo che il solo italiano presente tra i primi dieci delle specialità olimpiche, come già lo scorso anno, resta il marciatore Massimo Stano, posizionato all’ottavo posto nella 20 chilometri, gara nella quale venne fermato ai Mondiali di Doha quando si trovava nel gruppo di testa. Altra presenza, il terzo posto di Eleonora Giorgi nella 50, ma qui siamo di fronte a un distanza in via di abolizione e che, soprattutto, non sarà nel programma di Tokyo. Niente altro. Un bilancio così magro non si era mai registrato nei 73 anni di vita del Ranking la cui prima stesura risale al 1947.
I dieci compilatori – scelti tra esperti di varia nazionalità – hanno eletto come migliori atleti dell’anno il giovane norvegese Karsten Warholm e la solida statunitense Dalilah Muhammad. Va detto, con giudizio praticamente unanime. Poi gli altri a seguire, specialità per specialità, come è consuetudine. Un altro dato di riflessione lo fornisce la graduatoria per nazioni, compilata partendo dalle posizioni dei singoli atleti e che vede al primo posto gli USA sia tra gli uomini che tra le donne. Nel dettaglio:
Uomini
1. USA 212; 2. Etiopia 117; 3. Kenya 87;
4. Canada 60; 5. Polonia 56; 6. Giamaica 45; 7. Germania 44; 8. Russia 41; 9. Giappone 39; 10. Norvegia 35; … 52. Italia 3.
Donne
1. USA 236; 2. Kenya 123; 3. Giamaica 94;
4. Cina 93; 5. Etiopia 74; 6. Germania 50; 7. Gran Bretagna 48; 8. Olanda 46; 9, Ucraina 38; 10. Cuba 29; … 38. Italia 4.
Come concludere? Con un invito a sfogliare le pagine on-line o cartacee del periodico americano e una breve escursione sull’analogo Ranking proposto per il primo anno dalla neonata WA (World Athletics, ex-IAAF). Anche qui non sono molte le notizie confortanti. La migliore atleta italiana in assoluto (Giorgi) occupa la 145ª posizione generale; il migliore tra gli uomini è Filippo Tortu posizionato al 182° posto. Come si vede, ci sarebbe molto da lavorare per chiunque dovesse andare a sedere in via Flaminia. Buon anno olimpico a tutti.
*articolo ripreso da www.sportolimpico.it