I Mondiali di pattinaggio artistico su ghiaccio, a Saitama, in Giappone, hanno mantenuto le promesse di spettacolo e di evoluzione tecnica, quasi una “porta sul futuro” che fa intravedere non soltanto la bellezza sia vecchia che nuova di questo sport, ma anche le emozioni contrastanti e, inevitabili, le polemiche. Fra salti quadrupli, giurie “ondeggianti”, esigenza di equilibrio fra armonia classica e performance estreme, è evidente che il pattinaggio artistico è davanti a un bivio importante e far coincidere le diverse esigenze diventa sempre più complicato. E lo è ancora di più quando il comportamento di chi dovrebbe garantire quantomeno un minimo di “giustizia” nel risultato (pur considerando la natura “imprecisa” della valutazione soggettiva), e parlo dei giudici, non è all’altezza del compito, anzi, diventa sospetto e addirittura “malevolmente scientifico” nel differenziare i voti. Ci sono tanti aspetti da considerare, perciò non basterà un solo articolo per svilupparli tutti. Comincio pertanto con l’unica gara in cui il peso della giuria non ha avuto alcuna incidenza sul risultato finale, l’individuale maschile, peraltro anche la più spettacolare e dal contenuto tecnico di maggior rilievo, per poi passare alle altre tre, l’individuale femminile, le coppie e la danza, in cui i rilievi sono fin troppo numerosi.
DUELLO DA FANTASCIENZA
Doveva essere una sfida da fantascienza, fra lo statunitense Nathan Chen, campione mondiale in carica, e il giapponese Yuzuru Hanyu, doppio olimpionico, e così è stata, anche se Hanyu è arrivato a questi Mondiali dopo un periodo non facile causato da infortuni che purtroppo stanno diventando troppo frequenti per non pensare a un’usura fisica irreversibile per lui. Ciò nonostante, e pur con due programmi viziati entrambi da un errore sul quadruplo Salchow (solo doppio nel corto, quindi con punteggio zero, sottoruotato nel libero, appena 5,93 punti rispetto ai quasi 13 potenziali) Hanyusi dimostra un gigante. Il suo rendimento, dopo quegli errori, è persino più alto di quello mostrato nelle prove “perfette” delle sue vittorie più belle. Vero è che un paragone completo è difficile, visto che il “grado di esecuzione” è passato dai 7 scalini di giudizio (da meno 3 a più 3, compreso lo zero) agli 11 (da meno 5 a più 5, compreso lo zero), ma qualcosa di “assoluto” si può comunque definire: nel programma corto, escluso lo zero nel Salchow, nei 54 voti dei 9 giudici sulle rimanenti 6 voci, troviamo appena tre 2 di “goe”, e il resto è dieci 3, trentatré 4 e otto 5; nel libero, tolti i goe negativi del Salchow sottoruotato, nei 99 voti sulle rimanenti 11 voci troviamo soli due 1 e sette 2, poi trentotto 3, trentasei 4 e sedici 5. Siamo oltre il 90 per cento di giudizi che sfiorano il massimo o lo centrano totalmente. Insomma, nonostante un errore nel secondo salto (sia nel corto che nel libero il Salchow è il secondo elemento del programma), quindi con un impatto psicologico molto pesante perché l’atleta si rende conto di partire già con un handicap, Hanyu tira fuori una prova eccezionale che risulta tale ancor di più osservando le tre combinazioni di salto, tutte nella seconda parte del programma, quindi con un 10 per cento di maggiorazione nel punteggio, ma anche con una difficoltà superiore dovuta alla stanchezza, e tutte eseguite magistralmente, che danno un totale di quasi 47 punti. Nei components, poi, solito dominio di Hanyu con 95,84 punti per un risultato finale di 206,10 nel libero e 300,97 totale, nuovo record mondiale, il cui significato magari viene affievolito dal fatto che coi i nuovi criteri di punteggio è più facile arrivare a questi limiti, ma è comunque la testimonianza di una prova da fenomeni.
NERVI D’ACCIAIO
E il bello è che Nathan Chen, che scende in pista proprio dopo Hanyu, riesce a stracciare questo record arrivando addirittura a 323,42, un punteggio eccezionale, ma che da solo non dà l’idea di cosa avviene davvero nella Super Arena di Saitama. E qui definire questa sfida come “la gara del secolo” non è una esagerazione. Appena conclusa la prova di Hanyu, i 18.000 spettatori danno vita a loro volta a uno spettacolo incredibile, lanciando sulla pista centinaia (ma davvero centinaia) di pupazzi, oltre ai fiori, per celebrare la prova del loro idolo, secondo il costume del pattinaggio artistico. La pista ne è ricoperta per quasi la metà e le pattinatrici bambine che hanno il compito di raccogliere fiori e pupazzi sono in difficoltà, devono soccorrerle anche pattinatori più grandi per ripulire tutto. Nathan Chen, che scende sul ghiaccio per riscaldarsi prima della sua prova, in attesa che venga dato il punteggio di Hanyu, può usare solo mezza pista e deve “tagliare” il percorso perché non c’è lo spazio necessario. Il tutto mentre il palazzetto rimbomba del tifo assordante (e non è un modo di dire) dei giapponesi. Ed è in questo momento che Chen compie il suo capolavoro, perché riesce a non innervosirsi, pur sotto l’enorme pressione psicologica che deriva da questa situazione, anzi, mantiene tanto bene la calma che decide un cambiamento nel suo programma: la combinazione quadruplo Toeloop-triplo Toeloop, che dovrebbe essere eseguita nella prima parte, la sposta nella seconda, a ridosso delle altre due già previste. A dispetto dei quasi 13 punti di vantaggio ottenuti nel corto, Chen si rende conto che il primo posto non è sicuro dopo la prova super di Hanyu, sa che ogni punto è prezioso e sposta la combinazione perché anche quei pochi punti in più che derivano dalla maggiorazione del 10 per cento potranno risultare decisivi. Alla fine si vedrà che non sarebbero stati necessari, perché Chen arriva a 216,02 punti nel libero, ma la dimostrazione di lucidità e intelligenza è esemplare di un vero campione, che esegue una prova bellissima nelle peggiori condizioni psicologiche, con un rendimento superiore: nemmeno un goe negativo, solo quattro zeri e poi 65 giudizi fra 4 e 5, vale a dire, la perfezione o quasi, sui 118 totali, oltre il 50%. Nei components arriva a 94,78, oggettivamente un po’ oltre i suoi meriti, visto che la parte artistica è meno rilevante rispetto a quella tecnica, e totale troppo vicino a quello di Hanyu, poco un solo punto di differenza fra i due, ma questo non inficia la giustezza del risultato e la bravura di Nathan Chen che, è giusto ricordare, ha perso il titolo olimpico l’anno scorso solo per gli errori inaspettati nel corto, dimostrando già allora di poter arrivare a punteggi difficili anche per Yuzuru Hanyu. Adesso, c’è una consacrazione che potrebbe essere definitiva e non lasciare più possibilità di vittoria al giapponese.
OLTRE I LIMITI
Ma la gara maschile a Saitama non può ridursi soltanto alla sfida fra Chen e Hanyu perché tante altre indicazioni importanti sono venute fuori, anche per l’Italia, con un bel settimo posto per Matteo Rizzo, a dispetto del quadruplo Toeloop con caduta nel libero. Che sia stata la gara del secolo non solo per la emozionante sfida per il titolo lo dimostra il livello tecnico generale: nel programma libero sono stati portati a termine 40 salti quadrupli, altri 2 sono stati invece degradati. Non si tratta, quindi, di isolate performance, ma di una evoluzione ormai generalizzata. Fra l’altro, è una cifra che sarebbe potuta essere ancora più grande senza la limitazione imposta dal nuovo regolamento, in base al quale un quadruplo può essere ripetuto solo se eseguito in combinazione. Tanto per avere un’idea: Nathan Chen ne ha eseguiti 6 nel programma libero nella scorsa stagione, sia all’Olimpiade di Pyeongchang che ai Mondiali di Milano. In questa stagione si ferma a 4. A Saitama, quindi, si è vista una gara senza precedenti non tanto per i punteggi da record (che, già si è detto, non sono un riferimento assoluto a causa dei cambiamenti del sistema di punteggio), ma per il livello di difficoltà raggiunto. Che poi l’incidenza dei salti quadrupli sia un bene o un male, con la loro prevalenza sull’aspetto artistico, è un altro discorso, sta di fatto che il livello tecnico dei Mondiali di Saitama è il più alto di sempre, e questo vale anche per la gara femminile, per la quale però le considerazioni saranno diverse a causa di “distorsioni” legate sia ai giudizi tecnici sia, in maniera ben più grave, a quelli relativi ai components, scandalosi in più di un caso. Restando alla gara maschile, le prove fuori della norma non si fermano ai primi due posti della classifica. Di rilievo il terzo posto di Vincent Zhou, che completa un podio tutto “asiatico”. Già, perché è vero che ci sono due statunitensi con l’oro e il bronzo, ma sono entrambi figli di cinesi emigrati in Usa. E con questo non si vuol sostenere che i loro successi siano da attribuire alla Cina. Che la loro formazione tecnica sia statunitense è indubbio, quello su cui riflettere è la conformazione fisica di Chen e Zhou, diversa da quella più comune fra gli occidentali e simile a quella di Hanyu, oltre che a quella di Jin Boyang, cinese di bandiera. E non si tratta nemmeno di discorsi sulla “razza”, visto che un altro giapponese, Shoma Uno, ha caratteristiche fisiche nettamente diverse. Il discorso riguarda invece la capacità di superare difficoltà estreme, se sia avvantaggiato chi ha un determinato fisico o se è solo questione di allenamento. Guardando i risultati, almeno per il momento si nota che l’agilità è preponderante rispetto alla potenza. Se non ci saranno cambiamenti è possibile che si vada verso una “caratterizzazione” spinta del tipo di atleta vincente, sempre stando agli attuali sistemi di punteggio che premiano i quadrupli.
IN CERCA DI FANTASIA
Il paradosso è che un fisico più agile ed elastico non è sinonimo di inventiva e fantasia in misura maggiore rispetto ad atleti dal fisico più potente. A Saitama, e comunque nelle ultime stagioni, a dare le sensazioni migliori da questo punto di vista è stato il francese Kevin Aymoz, che non ha certo un fisico longilineo. I suoi movimenti e la sua azione in generale sono assolutamente al di fuori degli schemi classici e colpiscono sia per l’inventiva che per la bellezza. A Saitama ha chiuso undicesimo a causa soprattutto di un libero molto falloso, ma potenzialmente Aymoz è un atleta in grado di regalare spettacolo ed emozioni inusuali, cosa importante in un quadro globale tecnicamente interessantissimo ma che rischia di diventare monocorde. Gli alti e bassi fra corto e libero sono stati un mal comune a molti atleti in questi Mondiali, esperti e giovani, alla fine i primi 6 programmi nel libero sono coincisi con la classifica finale, con Shoma Uno non al massimo che è finito in lacrime per l’occasione persa proprio in Giappone, JinBoyang e Mikhail Kolyada che riscattano nel libero gli errori del corto (il russo probabilmente al suo primo libero “pulito” della carriera) e scavalcano così Matteo Rizzo, lo statunitense Jason Brown che rovina tutto nel libero dopo essere stato secondo nel corto, il giovane russo Alexander Samarin disastroso nel corto ma che mostra tutto il suo potenziale col settimo punteggio nel libero. Tornando a Rizzo, va detto che il suo comportamento è stato encomiabile: quinto nel corto, ha sbagliato soltanto l’atterraggio del quadruplo Salchownel libero, ma anche in questo caso ha mostrato reattività e maturità rinunciando alla combinazione triplo Axel-doppio Toeloop, programmata immediatamente dopo il Salchow, per riproporla nella seconda parte con una buona esecuzione. Non era facile, in una situazione del genere e con la pressione psicologica dei Mondiali, superare quel momento difficile, Rizzo non solo ce l’ha fatta, ma a partire dal terzo elemento e fino alla fine ha avuto, 90 giudizi sui rimanenti 90, solo “goe” positivi, davvero bravo. Fra l’altro, il suo piazzamento consente all’Italia di avere due atleti in gara nei prossimi Mondiali, nel 2020 a Montreal, quindi con la possibilità di iscrivere anche il 17enne Daniel Grassl, in grande ascesa. Due azzurri in grado di puntare in alto, bella prospettiva.
P.S. Chiudo questa prima parte dei commenti sui Mondiali con una riflessione amara. A Saitama, ero l’unico giornalista italiano presente, come free lance e,allo stesso tempo, a rappresentare questo sito. Tutti gli altri che hanno scritto di queste gare o le hanno commentate in Tv lo hanno fatto dall’Italia, dovendo ovviamente superare notevoli difficoltà per svolgere al meglio il loro lavoro, con intuibile e legittimafrustrazione. Essendo chiaro che non sono stati i miei colleghi a decidere di restare in Italia, è lecito chiedersi come mai sia possibile che ai Mondiali nessuna testatagiornalistica italiana, privata o pubblica, fosse presente. Si può anche immaginare che l’assenza di Carolina Kostner possa aver determinato questa situazione, ma si tratta di Mondiali di uno sport che fa riempire i palazzetti, come avvenuto proprio a Milano un anno fa, che ha il record di biglietti venduti alle Olimpiadi invernali, che ha grandi ascolti in Tv, che suscita insomma un interesse enorme. E poi, per rendere giustizia a tutti, per una Kostner che non c’è più, ci sono tanti altri azzurri che lottano con i più forti, vincendo anche medaglie, come Matteo Rizzo e la coppia di danza Charlene Guignard-Marco Fabbri ai recenti Europei, e ottenendo posizioni di prestigio ai Mondiali. Chi ha il potere di decidere, perché gli è stato assegnato o perché è lui stesso ad averne facoltà, può rivendicare il diritto di scelta e ritenere che questa sia stata giusta, nessuno può contestarglielo, ma il senso di amarezza resta.