Prima di tutto, standing ovation per il Bologna. Non più il pugile suonato dal Milan, ma un Alì svolazzante come una farfalla e pungente come un’ape. Zirkzee falso nueve, Ndoye e Orsolini larghi sulle ali, Ferguson a cogliere l’attimo e il corridoio. Come sul gol, ispirato dall’ennesima sponda di Zirkzee. Dietro, Beukema e c. a presidiare i valichi al modico prezzo di zero tiri concessi. E se nella ripresa, sullo 0-1, Thiago Motta avesse avuto il rigore che meritava (Iling-Junior su Ndoye, pure da rosso), chissà come sarebbe andata. Chi scrive, un salto al video lo avrebbe fatto, voi?
La Juventus, adesso. Prendete la versione di Udine e sparpagliatela tra i fantasmi d’antan. Ci si chiedeva, attoniti, dove fosse finito Magnanelli, e perché mai Allegri lo avesse deportato. Geloso, forse, del ventello in Friuli. O senza forse. Perché sì, era tornata la solita Madama, lenta e grigia. Con Chiesa prigioniero, e non più libero, d’attacco. Con Vlahovic accerchiato e comunque greve negli appoggi. Con Weah timido e Cambiaso, l’ex di turno, imbottigliato da sodali che ne conoscevano a memoria i sentieri. Locatelli e Rabiot procedevano a passo d’uomo, non un’idea, non una scintilla. E non appena gli avversari recuperavano palla, vacillava più Perin che non Skorupski.
Se la fantasia si dimena sepolta dalle sabbie mobili di una squadra più attenta all’edicola che non alle analisi, servirebbero velocità di pensiero, precisione dei piedi, un dribbling. Sì, un dribbling. Invece no. La solita brodaglia, alll’attacco per dovere, aggressiva per emergenza, due gol di Vlahovic, il primo annullato da un fuorigioco «varista» di Rabiot, il secondo valido almeno per il pari, senza però quei guizzi che, soli, sconfiggono la mediocrità. Dai cambi la manovra ricavava poco, a differenza del risultato. Pogba, persino. Temo che il passato passi, a volte.
Roberto Beccantini