Ha pianto spesso nella Rod Laver Arena, intestata al suo idolo per celebrare gli Australian Open: quando ha perso la finale 2009, nel punto più basso della rivalità storica, con Rafa Nadal, e quando nove anni dopo vinto il ventesimo Slam, segnando un record che nemmeno lui sperava più. Due pianti diversi. Mormorando: “Tutto questo mi uccide”. Perché sconvolto dall’occasione che gli sfuggiva, sulla scia della finale di Wimbledon, la prima persa sull’erba contro lo spagnolo. E rilanciando per l’ennesima volta la carriera, a 37 anni: “Aspettare questa finale è stata una faccenda molto lunga e complicata, è più facile quando si gioca nel pomeriggio, ma quando è di notte ci pensi tutto il giorno. E i miei pensieri stavolta erano davvero tanti”.
Piangeva molto, di rabbia, da bambino, viziato. E piangeva da junior di talento che non accettava i bei colpi degli avversari, i loro trucchetti per innervosirlo, i propri errori, figurati le sconfitte: “Ero terribile”. Mentre lui piange e si commuove spesso, la moglie-mamma, Mirka, la dura, è rimasta famosa negli spogliatoi per come apostrofò Stan Wawrinka, il “fratellino” di Roger, nel drammatico derby svizzero al Masters di Londra 2014: “Piangi, bambino, piangi”.
Attendiamo le prossime lacrime di Roger, il campione umano che ci ha accompagna dal 1999, sperando che siano di felicità.