I capelli di quel ragazzo guascone di Viale Ungheria, nella periferia di Milano, non ci sono più. Spariti con l’idea popolare che lui fosse l’Uomo Ragno. Walter Zenga sicuramente è stato uno dei grandi portieri della sua epoca, se non il più grande. Ma era soprattutto un combattente, irriverente protagonista di un calcio che oggi non osiamo immaginare. Se avesse parato quel colpo di testa di Caniggia, nella semifinale mondiale contro l’Argentina, ora sarebbe solo un eroe. Gli errori si pagano, cancellano tutto il passato perché le prodezze non si ricordano, gli svarioni sì.
Forse lì è finito l’Uomo Ragno, ma è nato un uomo. Combattente lo era già, lo è diventato ancora di più e da allenatore, ogni volta, cerca un’impresa, qualcosa che soffochi le sue irrequietezze, la voglia di prendere di petto il mondo. Sempre partire da zero, perché quella sì è una sfida. E quando a metà dell’ottobre scorso lo chiamarono sulla panchina del Venezia, qualcuno sorrise prefigurando la solita storia difficile con il campionato italiano. Com’era stato a Catania, a Palermo, alla Sampdoria e a Crotone, forse la ferita più profonda per una salvezza mancata per un soffio.
Per uno che sognava (e forse lo fa ancora) l’Inter, San Siro visto dal lato dell’area tecnica, può sembrare una frattura tra desideri e realtà che, nella riscossa, può assumere altre sembianze concretizzandosi su diversi e più umili palcoscenici. Ma umile, Walterone, non lo è. Non lo è mai stato e anche a Venezia ha messo subito in chiaro che la sua storia lì avrebbe potuto essere anche quella di un Doge che porta la squadra della Serenissima laddove manca da anni.
In sei giornate ha affrontato cinque grandi che cercano la promozione (Palermo e Cittadella fuori, Verona, Brescia e Salernitana in casa) oltre alla Cremonese che ha battuto in trasferta: totale 11 punti in sei partite (contro i 4 nelle precedenti sei gare della gestione Vecchi), una sola sconfitta con i veneti, soprattutto una clamorosa vittoria contro la squadra più in forma del momento e reduce da nove risultati utili: il Brescia. L’ha battuto in dieci (per cinquanta minuti) contro 11 e ora i playoff sono lì a un passo.
Non basta, ogni domenica è una sfida perché per chi non ha mai temuto nessuno, cosa volete sia un campo di provincia, il suono della battaglia, degli scontri, dei richiami dei giocatori che il rumore attutito degli spalti non riesce a cancellare. Il calcio l’ha amato sin da bambino, pur di giocarvi falsificò la sua età. Controcorrente allora, controcorrente quando al lumicino della sua carriera, a Padova in B si stancò di un mondo che gli rinfacciava in ogni dove l’uscita su Caniggia e quella palla maligna che andando in rete soffocò l’entusiasmo di una nazione. Non sopportava gli insulti, lui supereroe che si sporcò i guantoni nei New England Revolution, prima di diventarne allenatore per pochi mesi e poi tecnico del Brera, squadra di serie D che giocava all’Arena di Milano.
Probabilmente, Zenga non risolverà mai il conflitto tra l’essere Uomo Ragno e una realtà spesso turbolenta, indifferente agli idoli e ai miti di un tempo. Ma a Venezia ha un’altra opportunità per mettere nella ragnatela pregiudizi e gol. Che possano valere la serie A.
Sergio Gavardi