Red Bull (10)
Un sistema verstappencentrico. Una simbiosi uomo-macchina che ha del paranormale. Le prestazioni agli antipodi di Perez ne sono la prova tangibile. Apoteosi con doppietta del Mondiale piloti e il dominio in quello costruttori. Voto obbligato.
Max Verstappen (10 e lode)
Ci si ferma qui, perché più in su non si può andare. Max, invece, a 26 anni continua ad alzare sempre più l’asticella che ha ormai raggiunto quell’iperuranio tanto caro a Platone. È probabile che solamente da quelle parti possa nascondersi un pilota in grado di dare filo da torcere all’olandese. Praticamente perfetto per tutta la stagione, da quasi l’impressione che la sua monoposto sia guidata dalla CPU di Electronic Arts, la casa sviluppatrice del videogioco ufficiale del circus. Domenica dopo domenica “super Max”, diciannove vittorie in stagione (!), non ha dato requie agli addetti ai lavori, costantemente indaffarati ad aggiornare a colpi di tweet record su record: con il trionfo numero 54 Vestappen si è lasciato definitivamente alle spalle Sebastian Vettel e si è accomodato sul gradino più basso del podio in solitaria tra i plurivincitori, ovvero Lewis Hamilton a quota 103 e Michael Schumacher a 91, senza contare il primato di più di 1000 giri in testa nel corso di un’annata. Forse, ad un certo punto, si è fatta largo, gara dopo gara, anche “la solitudine dei numeri uno” per dirla alla Fabri Fibra.
Sergio Perez (5-)
E fu così che, ad un certo punto dell’anno, a Checo Perez spuntarono un bel paio di chele, delle lunghe antenne e un esoscheletro color arancione. Non è una metamorfosi di Ovidio ma poco ci manca. Perez è uno dei vicecampioni del mondo dei tempi recenti in grado di lasciare più perplessi, gli anglosassoni direbbero puzzled. E in effetti questa situazione ha del rompicapo: un secondo posto nella classifica piloti più due vittorie stagionali e altri sette podi potranno mai equivalere ad una bocciatura? In condizioni normali, no. Perez, però, guida una Red Bull, ossia la Special One delle monoposto. Fare harakiri in quasi tutte le qualifiche, chiudere con meno della metà dei punti del compagno e gettare al vento punti preziosi con sorpassi all’ultimo giro non è ammissibile. Il sedile, ora, non è più al sicuro. Guai, però, a dimenticarsi del suo valore.
Mercedes (6+)
A Brackley, Regno Unito, hanno imboccato il tunnel che porta ad una fisiologica decadenza. Il tutto sta venendo affrontato, però, in maniera sorprendentemente italiana per un teutonico tutto d’un pezzo come Toto Wolff. Ammonito dalla Fia a LA per linguaggio non esattamente aulico, Toto dà la riprova, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che il valore delle cose lo comprendi solo quando non le hai più tra le mani: passare da ostriche e dom pérignon al brodino caldo degli ultimi tempi è davvero una brutta storia. Il secondo posto nei costruttori è in ogni caso una solida base da cui ripartire. Pesa la mancata vittoria di almeno una gara.
Lewis Hamilton (6,5)
Sei podi ma nessuna vittoria e, quest’anno, il britannico, sperando non si offenda, il gradino più alto del podio non l’ha mai nemmeno sfiorato. Gare spesso ingarbugliate e insolvibili come il nodo gordiano e un rapporto con la vettura mai decollato. Tutto sommato a parte le ultime tre gare grigie il suo Mondiale è in linea con quello che realisticamente ci si poteva attendere. Una freccia d’argento spesso spuntata in grado solo qua e là di dare l’impressione di essere nella faretra di Robin di Locksley.
George Russell (5,5)
Che delusione! Ottavo posto nella classifica del Mondiale, l’inglese totalizza appena due terzi posti, l’ultimo dei quali, a Yas Marina, che vale, però, oro nel verso senso della parola: secondo posto nella classifica costruttori e una vagonata di soldi in più per pianificare con tranquillità la risalita nella prossima stagione. Il resto vede Russell protagonista di tanti, troppi, errori conditi da una sequela di penalità. Rispetto alla passata annata, il processo di maturazione del buon George pare essersi interrotto. La baldanza con cui appariva ogni domenica in TV al momento della sigla d’apertura dei GP può essere stata un po’ deleteria ma l’ha reso, almeno, un idolo del web.
Ferrari (6-)
E’ l’unico team ad aver osato emettere un acuto nella marcia monotona e martellante che Red Bull ha eseguito per tutta la stagione. Il problema è che Ferrari di acuti avrebbe potuto regalarne anche più d’uno e, chissà, goccia dopo goccia sarebbe potuto arrivare un tutt’altro che immeritato secondo posto nei costruttori. Ma del senno di poi a Maranello e non solo son piene le fosse e la Rossa si è così dovuta accontentare della terza piazza. Il Cavallino, tra strategie degne di Publio Quintilio Varo a Teutoburgo nel 9 d.C. e i soliti cronici problemi di affidabilità, la penalità per la batteria post Bahrain è costata nel complesso 25 punti in due eventi a Leclerc, ottiene meno di quanto il potenziale della vettura, assaporato purtroppo solo nella seconda parte, ha fatto intravedere. Vasseur, infatti, non ha mancato di sottolineare l’enorme balzo in avanti in termini di prestazioni compiuto dalla Rossa a partire dal GP d’Olanda: “Ci sono stati momenti difficili come Jeddah, Miami, Barcellona o Zandvoort, dove siamo stati quasi doppiati” – ha dichiarato il team principal transalpino – “Rispetto all’Olanda abbiamo fatto collettivamente un salto in avanti enorme e questo è un buon segnale per il futuro”. Risalta soprattutto una migliore gestione del degrado gomma, costantemente sotto pressione a inizio stagione per le scarse prestazioni in pista delle monoposto. Insomma, una cena insipida ma conclusa con un delizioso caffè degno di una torrefazione napoletana. La giusta carica per guardare al 2024 con meno proclami ma più concretezza.
Leclerc (6,5)
L’anno prossimo il Charles di Las Vegas e Abu Dhabi deve essere la regola in ogni Gran Premio e non la proverbiale eccezione che conferma, invece, un talento in grado di sgorgare copioso solamente a sprazzi, oscurato a intervalli regolari da topiche degne di un novellino qualsiasi e non certo di un pilota giunto al suo sesto anno alla corte della Rossa. Commovente nel non arrendersi alle difficoltà di una Ferrari tremebonda, trova tre secondi posti e tre terzi posti. Aggiungiamo anche le cinque pole e ne viene fuori, paradossalmente e viste le premesse apocalittiche (Leclerc avrebbe avuto un mancamento di fronte ai dati del simulatore) una stagione discreta. Charles, però, deve soprattutto ritrovare la piena fiducia nella Scuderia che l’ha svezzato dopo i primi vagiti in Alfa Romeo e che lui ha voluto maritare. Nulla, però, si sa è per sempre e i cordoni ombelicali sono fatti per essere recisi. Quarto posto nel Mondiale, alla pari di Fernando Alonso.
Sainz (7)
L’unica vittoria stagionale del Cavallino a Singapore porta la sua griffe. In certi frangenti della stagione Carlos si è fatto preferire al collega monegasco. Anche lui ha i suoi conti in sospeso con la iella: “Galeotto fu il maledetto tombino di Las Vegas e chi non l’ha controllato a dovere”. Un incidente che ha rovinato il finale di campionato allo spagnolo e ha di fatto compromesso la Ferrari nella corsa al secondo posto iridato. Certo, Sainz non sarà mai nel gotha della F1, per quel titolo sta firmando le ultime pratiche Verstappen, ma si è confermato un tipo tosto.
McLaren (7)
Il 22 marzo 2023, usciva su questo sito un articolo dal titolo “McLaren, questione di testa”. Il momento in casa Woking era pessimo, Lando Norris e Oscar Piastri avevano chiuso il GP d’Arabia a zero punti. Da allora, sembrano passate ere geologiche. Andrea Stella è stato di parola: “Affrontiamo queste circostanze senza fare drammi, non ci arrendiamo”. Un voto motivato soprattutto dalla stupefacente capacità di sviluppare la monoposto nella seconda metà della stagione: se il campionato fosse iniziato dopo la pausa estiva oggi McLaren figurerebbe come seconda forza del Mondiale.
Lando Norris (7,5)
Come un’araba fenice. E, paradossalmente, il punto più basso della stagione, ergo il pugno di frustrazione nei box in Bahrain, è avvenuto proprio a quelle latitudini. Una stagione manichea: prima metà nera come la pece, poi le vetture papaya volano, Lando ringrazia e mette tutto sé stesso. Quando si dice: toccare il fondo per poi risalire.
Oscar Piastri (7)
Grande debutto nel circus. L’aria d’Oriente, tra Giappone e Qatar, gli fa bene e trova due splendidi podi, andando vicino alla vittoria. Poi la luce si affievolisce un po’ troppo e il confronto con Norris è perso. Ma nessun dramma. Come fanno i migliori su Mario Kart anche Oscar sa che pian piano conoscerà tutte le piste. L’anno prossimo, se le condizioni lo permetteranno, potrà sfrecciare come un Pallottolo Bill e sbaragliare la concorrenza.
Aston Martin (6+)
La stagione della McLaren ma all’opposto: una partenza abbacinante e una chiusura in chiaroscuro. Insomma, una stagione barocca. C’è del materiale per dare il via a un ciclo in grado di trovare qualche successo. Come cantava Noel Gallagher, però, bisogna capire ad un certo punto della stagione: “Where did it all go wrong?”
Fernando Alonso (9)
Il lupo asturiano perde il pelo ma non il vizio. Guerriero indomito, un po’ come la gente d’Irpinia. I suoi numeri da consumato veterano dimostrano una classe infinita e l’amore di quest’uomo per le quattro ruote. In un mondo più equo avrebbe meritato il piazzamento di Checo. Che bello vedere fargli da chioccia a Stroll.
Lance Stroll (5)
D’accordo, ha l’ingrato compito di affiancare uno dei piloti più iconici della storia della F1. Da Stroll, però, era lecito aspettarsi qualcosa in più. Numeri alla mano, il raffronto con Alonso è impietoso. Meno di un terzo dei punti del compagno di squadra (149 a 47), perennemente dietro in qualifica ed in gara. Attenzione, nonostante sia il cocco di casa, la sua rischia di diventare una posizione scomoda: se papà Lawrence vorrà ulteriormente far salire di livello la scuderia, il rischio di una faida famigliare è altamente probabile.
Alpine (dal 5 al 6)
I transalpini fanno il compitino e nulla più. Pesano i problemi di affidabilità, sette ritiri, e un rapporto non idilliaco tra i due galletti (in tutti i sensi) al volante. Un terzo posto a testa è il miglior piazzamento di Pierre Gasly ed Esteban Ocon (6 di incoraggiamento ad entrambi), che hanno intervallato prove brillanti a gare scialbe, vischiose. Il cambio di proprietà potrebbe portare a qualche scossone in vista della prossima stagione.
Williams (5)
E questa sarebbe una vettura da F1? La stagione della WIlliams è stata un insulto al blasone della scuderia fondata nel 1977 da Frank Williams e Patrick Head. Mai in grado di competere, ha avuto sì la fortuna di avere un overperformante Albon (6,5), 26 punti su 28 totali portano la sua impronta, ma parimenti la sciagura di avere in squadra il rookie Logan Sargeant (3), che a tratti è parso ricalcare sinistramente le res gestae del suo predecessore: Latifi. Il prossimo anno dovrà dimostrare qualcosa o per lui il destino pare già deciso.
AlphaTauri (5)
Le monoposto hanno portato per tutta la stagione l’etichetta AC/DC degli elettrodomestici. La corrente va a fasi alterne, con una lieve crescita nel finale di stagione. L’uomo della stagione da queste parti è Yuki Tsunoda (6+). Gran crescita del samurai, con sei gare a punti, qualche lampo d’ingegno alla Edi di Archimede Pitagorico e certi team radio che hanno fatto la gioia delle pagine meme di Instagram. Bene anche Daniel Ricciardo (6), che acchiappa l’opportunità del sedile libero come Fantozzi il bus in una delle più celebri scene della commedia italiana, salvo poi farsi male e tornare in tempo per conquistare sei punti tutti insieme e dimostrare che sì, in F1 ci può ancora stare, e con un sorriso in grado di fare invidia a quello di Leao. Menzione speciale per Liam Lawson (6) che, chiamato kafkianamente per rimpiazzare il rimpiazzo, si toglie la soddisfazione di un nono posto, mentre il discorso è diverso per Nyck De Vries (4) per il quale il benservito dopo metà Mondiale vale più di mille parole. L’AlphaTauri racimola come la formica della nota favola qualche punticino qua e là garantendosi la sopravvivenza in quella giungla che è il circus e chiudendo ottava nei costruttori. Si può ovviamente aspirare a salire nelle gerarchie della catena alimentare.
Alfa Romeo (4)
La peggiore “The Last Dance” che si potesse immaginare. Giunta all’ultima stagione in F1, l’anno prossimo tornerà ad essere solo Sauber in attesa di Audi nel 2026, l’Alfa è stata una cocente delusione quest’anno: complici l’indolenza di Bottas (4,5), incapace di apportare, nonostante l’esperienza, quel quid in più alla monoposto che sarebbe lecito attendersi, e la timidezza di Zhou (4), autore di un’annata priva di guizzi degni di nota. Un inglorioso addio del biscione alla classe regina. Tanta malinconia.
Haas (3)
Chi l’ha vista? Macchina in grado di avere la consistenza di un orologio su una tela di Salvador Dalì. In squadra due onesti piloti, Hulkenberg (5) e Magnussen (4,5), entrambi rimandati. Qualche exploit in qualifica ma la stagione è insufficiente. Steiner si starà già rimboccando le maniche.