Rafa Nadal che sceglie come sparring-partner Jannik Sinner per la prima settimana d’allenamento prima degli Australian Open dell’8 febbraio 2021 non è una notizia qualsiasi. Rafa è un fenomeno, un veterano di 34 anni, co-primatista Slam con 20 titoli, numero 2 della classifica solo perché davanti c’è Novak Djokovic, ma sicuramente il primo tennista al mondo nella gestione dei punti importanti, oltre che il simbolo di umiltà ed abnegazione per migliorarsi più di tutti, negli anni.
La sua nuova ricerca di un test per verificare e rifinire la preparazione che sta facendo nella sua Majorca ma anche per confrontarsi con uno dei giocatori più promettenti del futuro, come il 19enne italiano, è un confortante segnale per tutto il tennis. E’ infatti la conferma che, a dispetto di tutti i successi e gli enormi sforzi che fa per superare i tanti acciacchi fisici, lo spagnolo è ancora super-motivato su tutte le superfici e in tutti gli Slam. E’ inoltre attentissimo al mondo del tennis e alla sua evoluzione, tanto da interessarsi ad un avversario che lo colpisce per più motivi: dai risultati al comportamento in campo, dall’attenzione e dalla dedizione che impiega nella propria costruzione alle persone che l’affiancano – a cominciare da mastro Riccardo Piatti a chi ne parla benissimo, come Ivan Ljubicic, ex numero 2 del mondo ed oggi coach di Roger Federer.
Del resto, il re di tredici Roland Garros, un Australian Open, due Wimbledon e quattro US Open, ha potuto verificare in diretta le qualità dell’italiano nel loro primo scontro, ad ottobre, nei quarti di Parigi: gli ha strappato il primo tie-break dopo che Jannik aveva servito per il set e gli ha recuperato un break al secondo, per poi andare in discesa nel terzo, prodigandosi però di complimenti per come “l’italiano avesse dimostrato talento e colpisse forte ogni palla”.
Pochi possono dire di aver impegnato tanto al Roland Garros il più grande giocatore di sempre sulla terra rossa, che, a Port d’Auteuil, vanta l’impressionante bilancio di cento vittorie e due sole sconfitte. E fra questi, pochissimi sono comunque i giocatori giovani ed emergenti. Perché affrontare Rafa non è solo una questione di colpi, di dritto e rovescio, servizio e risposta, passanti e volée, quanto di tenuta mentale, di resistenza fisica, di capacità di tenere l’iniziativa, di variare le scelte e di avere coraggio per non farsi sfiancare dal micidiale top spin del più forte atleta di Spagna e dalla sua impressionante capacità di fare sempre la cosa giusta. Evidentemente, Sinner ha convinto Rafa anche su queste importanti qualità.
Da cui l’invito per Melbourne agli allenamenti che sono famosi per essere durissimi: a differenza di altri campioni, come Roger Federer per esempio, Nadal impone dei ritmi ancor già elevati che in partita, com anche dei tempi di recupero minori, fra un esercizio e l’altro, al punto da assicurarsi una riserva, un altro giocatore che rimane in panchina e subentra se il primo sparring dopo un po’ si stanca troppo e non tiene più il suo vertiginoso forcing. Questa di Rafa è sicuramente una strategia giustissima, ma non è nuova. Da sempre, i campioni hanno agganciato i giovani rampanti che gli sembrano più forti degli altri o forse più prossimi a sé, umanamente o tecnicamente. Magari perché riflettono su questi ragazzi la propria immagine quand’avevano un’altra età. Magari anche per poter dire un giorno: “Io l’avevo detto”.
Di certo, uno di questi è stato Ivan Lendl, affatto dolce e disponibile da giocatore, che, nel novembre 1989, invitò il 18enne Pete Sampras nella casa-fortino nel Connecticut, difesa da un recinzione di due metri, da due sistemi d’allarme e da un nugolo di cani. All’epoca, Pete era timido e riservato, appena numero 69 del mondo, non aveva ancora vinto alcuno dei 64 titoli ATP che avrebbe collezionato (14 allo Slam). Mentre, per dire, Sinner è già molto più avanti in classifica, al numero 37, e quest’anno ha già firmato l’ATP di Sofia.
Continuando coi paralleli, Nadal e Sinner, pur in modo diverso, sono entrambe giocatori da fondocampo, mentre gli stili dell’allora 29enne Lendl e di Samras erano diametralmente all’opposto. Evidentemente, però, qualcosa in comune, magari nella timidezza, magari nell’essersi staccati da casa per realizzare i propri sogni, nelle prime difficoltà nel realizzarsi, l’avevano. Anche se Ivan, già numero 1 del mondo con sette degli otto Slam della collezione in carniere, ha confessato più tardi di non aver immaginato, in quei giorni, che Sampras potesse diventare “Pete the pistol”. Figurati che salisse al numero 1 del mondo, che eguagliasse i suoi cinque Masters e lo battesse nettamente nel computo Majors.
L’ex cecoslovacco naturalizzato statunitense non capì che quell’esperienza di una decina di giorni fu decisiva per il futuro campione che, nove mesi dopo, doveva esplodere aggiudicandosi gli Us Open.
“Mi fece andare in bicicletta: facevamo una quarantina di chilometri al giorno. Parlammo tanto del mio tennis, di quanto avrei dovuto lavorare duramente, soprattutto sul fisico e sul servizio, se fossi davvero voluto salire in alto. Vedendolo ed ascoltandolo, imparai molto su come un professionista di alto livello si deve allenare e su come ci si deve prendere cura di se stesso”.
Infatti, al rientro in Florida, dove si allenava con l’amico Jim Courier, il californiano mingherlino cominciò a darci dentro con l’allenamento fisico anche in palestra. Convinto più che mai del messaggio che aveva appena recepito. Qualcuno aveva dei dubbi che Pete, con tutto quel talento e le coccole del fortissimo mercato statunitense, volesse davvero sacrificarsi per raggiungere la vetta. Conoscendo invece Sinner, siamo sicuri che farà tesoro dell’amicizia e dell’esperienza particolare con Rafa, che qualsiasi tennista gli invidia. E incamererà tutte le informazioni che gli occorrono bevendo alla fonte del più forte agonista del tennis. Poi vedremo se avrà bisogno di nove mesi per nascere, come campione Slam, come “Pete the Pistol” a New York 1990.
*articolo e foto ripresi da www.supertennis.tv