Campionati, Supercoppe, una Champions League e vari podi con la Nazionale, dalle Olimpiadi agli Europei: nel sostanzioso palmarès di Dragan Travica, palleggiatore della Sir Safety Conad Perugia di SuperLega dalla stagione in corso, manca la vittoria della Del Monte Coppa Italia. L’occasione per conquistare il trofeo è a portata di mano: domani inizierà la Final Four e il club umbro troverà in semifinale l’Itas Trentino (mentre la Cucine Lube Civitanova affronterà la Leo Shoes Modena, e il titolo sarà assegnato domenica). “Chissà che non sia la volta buona!” esclama il “Drago”, eletto migliore palleggiatore agli Europei del 2011, che poi aggiunge: “Adesso, però, resto concentrato sul match che disputeremo tra 24 ore. A 34 anni ho compreso che bisogna affrontare un obiettivo alla volta”.
Quindi non hai pensato nemmeno a come festeggiare, in caso vinceste.
“Zero. Qualcosa faremo, ci mancherebbe altro, ma non sarà niente di speciale e andremo a dormire presto: la pandemia non lascia scampo”.
A proposito della pandemia: ti sei abiutato all’assenza del pubblico nei palazzetti?
“Un po’ sì, ormai è la normalità. Eppure ci sono dei momenti in cui sento molto la mancanza del tifo”.
Per esempio?
“Con i tifosi non avevo bisogno del riscaldamento pregara: mi davano loro la carica per entrare in partita. Ora la preparazione è diventata indispensabile. Dopo un bel punto, a tutti noi viene naturale girarci verso gli spalti ed esultare insieme agli appassionati: non abbiamo perso l’abitudine, peccato che di fronte appare il vuoto. Infine, senza lo splendido caos del tifo risuonano le parolacce. Fino a casa: i microfoni della tv restano sempre accesi (sorride, ndr). In generale, però, temevo che il deserto intorno creasse difficoltà maggiori sia a me sia ai compagni: non avevamo mai vissuto niente di simile”.
Invece?
“Il legame del gruppo si è rafforzato: cerchiamo di trasmetterci energia e ci sosteniamo più che mai. La squadra è davvero molto unita, dentro e fuori il campo: ci assumiamo maggiore responsabilità, ci confrontiamo con toni pacati, ci veniamo incontro quando abbiamo punti di vista distanti”.
Hai detto “dentro e fuori il campo”: vi incontrate nel tempo libero?
“Sì, spesso, magari a cena, dopo gli allenamenti: è un modo per stare in compagnia – ovviamente in sicurezza – in questo periodo di scarsissimi incontri”.
Ti sei trasferito qualche mese fa a Perugia da Padova, dove hai giocato 3 anni e sei cresciuto da bambino: come vivi la distanza?
“Nonostante in 20 anni di carriera abbia vissuto ovunque, sto accusando il distacco. A Padova ho lasciato la mia casa, creata praticamente su misura per me, i genitori – anche se mio padre si trova in Tunisia, allena l’Espérance Sportive de Tunis – e gli amici di sempre. In più, mia sorella Mihaela, insieme a mio cognato (Cristian Savani, tra i migliori schiacciatori del mondo dell’ultimo decennio, si è ritirato nel 2020, ndr) e nipotina (Mia, 7 anni, ndr) non abitano lontano. Pensa che non vedo Mihaela dal mio compleanno, il 28 agosto. Non mi lamento, intendiamoci: Perugia è splendida, mi ha accolto con calore e sono strafelice di questa opportunità magnifica”.
Ti aspettavi la proposta dei Block Devils?
“No. Mi aspettavo qualche contatto da parte di club importanti al primo o al secondo anno alla Kioene Padova, non al terzo”.
Consideri il ritorno in un club di alto rango una rivincita?
“No, non devo rendere conto a nessuno, tranne me; so quanto ho lavorato negli ultimi anni e tiro dritto per la mia strada, impegnandomi al massimo, come al solito”.
Se Perugia non ti avesse contattato?
“Avrei continuato senza problemi a Padova; era il mio ambiente naturale e mi sono trovato benissimo. Il trienno veneto mi è servito da matti, è stata una medicina: grazie all’atmosfera meno tesa rispetto alle precedenti, sono tornato ad apprezzare la pallavolo, ho cominciato a prendere con più filosofia le sconfitte, ho scoperto lati del mio carattere che non sospettavo. Il risultato? Più consapevole di me stesso, mi sono alleggerito parecchio l’anima. Ora affronto le difficoltà con maggiore maturità, mi arrabbio meno e ho recuperato la serenità che avevo perso un po’ per strada, travolto dalla smania di vincere”.
Hai 34 anni: cosa ti stimola a continuare?
“La voglia di vincere! (Ride, ndr). Senza perdere l’equilibrio che ho raggiunto a questa età. Continuerò fino a quando mi spingerà la passione, cioè fino a quando mi divertirò. Di sicuro non sono prigioniero del mio lavoro: non temo la vita post-volley e sono aperto a nuovi progetti”.
Hai giocato in Russia, Turchia, Iran: un ricordo per ogni Paese?
“L’esperienza in Russia è stata la più bella e formativa della mia vita. Club super organizzato e usi d’altri tempi: la famiglia è il valore principale; donne bellissime e freddo esagerato ma sano. La Turchia è un Paese affascinante e Istanbul è una città favolosa. Si mangia benissimo, il kebab non c’entra nulla con la versione italiana, ed è stato interessante conoscere una cultura dai tanti contrasti, in bilico tra Oriente e Occidente. A parte la gente ospitale e i paesaggi incantevoli, l’esperienza in Iran è stata disastrosa: non ho percepito mezzo stipendio, mancava l’acqua calda, ho aspettato 2 mesi per avere a disposizione un appartamento. L’estremismo religioso fa paura, come l’assoluta mancanza di rispetto nei confronti della donna”.
Un ricordo della Coppia Italia, invece?
“La finale del 2012, a Roma. Giocavo nella Lube e conducevamo 2 a 0, 17-13 nel terzo set. Abbiamo perso al tie-briek. Contro chi? L’Itas Trentino: per la sfida di domani sono pronto!”.
*Credito foto: Michele Benda per Sir Safety Conad Perugia