Sentirmi chiamare “Talent” mi suona nuovo: prima mi chiamavano “Pasta Kid”, “braccio d’oro”, “capitano”, “maestro” quando ero responsabile dei giovani federali, talent faccio ancora un po’ di fatica ad accettarlo. Secondo me, è un ruolo importante, come tutte le cose, se fatto bene, per certi versi inutile se descrivi l’azione o il tiro, e dici: “La palla esce di mezzo metro alla sinistra del portiere”. Quello lo vedono tutti, non c’è bisogno del talent. Che invece dovrebbe essere la persona che spiega i motivi per i quali andrebbero fatti dei cambi e delle modifiche dal punto di vista tattico, dovrebbe dire se un giocatore è sotto ritmo, o sopra ritmo, se lo vedi stanco, cioè capire, intuire, far pervenire il messaggio al telespettatore, prima che questo avvenga, perché dopo… son tutti bravi.
Io commento le partite più importanti, le semifinali, le finali, sono il talent più importante, il numero 1 del tennis. Ho avuto la fortuna di iniziare con Giampiero Galeazzi in un modo un po’ strano ma in un mondo completamente diverso: con lui è come essere di fronte a una birra al bar fra due amici, ha un modo di fare le telecronache completamente diverso. Era successo che Adriano (Panatta) doveva andar via da Parigi, durante il torneo, e sono andato in telecronaca al posto suo, era l’85, prima che diventassi capitano di Davis. Poi ho avuto la fortuna di andare a una premiazione e ho conosciuto Darwin Pastorin, che era appena diventato direttore di Stream: avevano preso i diritti dei grandi tornei di tennis, mi chiese se volevo commentarli. Risposi: “Non so se mi piace e non so se sono capace, proviamo e vediamo”. Andai a Roma, iniziai a fare le prime telecronache, e lui mi disse: “Per noi è perfetto, se a te piace, andiamo avanti”. Ho proseguito con la fusione Sky, e ho continuato questo lavoro a Milano. All’inizio, davanti a me, c’erano Tommasi e Clerici e il povero Roberto Lombardi, e il mio torneo finiva più spesso nei quarti. Poi, con la scomparsa di Roberto, hanno deciso di voltare un po’ pagina e sono diventato la prima voce.
Oggi non facciamo più le telecronache dai tornei, ma da studio, e cambia. Secondo me, il talent non deve avere troppo contatti col giocatore: potrebbe essere influenzato da simpatia o amicizia o comunque da come senti un giocatore di “pelle” e quindi, star fuori, da un lato è meglio perché hai un giudizio prettamente tecnico e tattico, senza pensare a quello che ti saluta o non ti saluta fuori del campo, ed è più o meno carino con te. Sul posto, però, riesci a sapere delle cose che altrimenti è impossibile anche solo immaginare perché puoi dire due parole con allenatore e giocatore, senti l’umore dello spogliatoio, perché “radio spogliatoio” ti dà la notizia in anteprima, e sai se uno ha un problema al piede, vedi l’allenamento la mattina e se il giocatore è centrato: sono cose importanti che ti aiutano spesso in modo decisivo nel fare “il pronostico” della partita.
Il tennista più difficile da commentare è Fognini. Caratterialmente, è complicato, non ti dà mai la sensazione di aver preso in mano la partita o che la partita gli stia sfuggendo, perché ha questi “up and down” continui e appena dici una cosa succede il contrario, senza un motivo apparenti. E poi è italiano, c’è poco da fare, per cui devi sempre capire che è importante non solo per lui andare avanti nel torneo, ma indirettamente anche per noi. Fa bene a tutti. Come fa bene che vadano avanti Federer e Nadal e compagnia bella, perché ci sono gli ascolti e le vendite dei giornali. Inutile essere ipocriti da questo punto di vista. Ci sono altri giocatori che non sono facili da commentare, come Monfils e Kyrgios, ma sono stranieri e puoi anche calcare un pochino di più la mano.
Mai avuto mai casini per le telecronache, cerco sempre di essere piuttosto equilibrato. Con Fognini, tre anni fa, mi è dispiaciuto molto: non dissi assolutamente niente, il problema fu fra Fabio e il padre, non commentai il suo comportamento, dissi: “Il pubblico, da casa, ha visto e ognuno darà il suo giudizio”. Non esiste che io mi esprima sul comportamento, sull’educazione o sul rispetto di un giocatore o dell’altro, io do un giudizio tecnico: perché e per come uno perde una partita, se ha perso una grossa chance o se invece è riuscito a coglierla al volo. Non sono il loro genitore, e non sono un educatore.
Non ho un compagno di telecronaca preferito. Con Elena Pero ho fatto molte più telecronache che con gli altri, e quindi sono molto più affiatato. Ma, in questi giorni, nel commentare Miami, ho fatto due partite con Zancan e, anche se lui viene dal calcio, conosce il tennis. Il conduttore mi lascia sempre la parte prettamente tecnica: non ci sono regole vere ma non si espone, al limite fa la domanda, ma sinceramente non mi è successo di accavallarmi o trovarmi in netta contrapposizione di opinione. Ma se anche dovesse succedermi non sarebbe neanche male se ci fosse un contraddittorio. Certo, c’è una grossa differenza fra le tecronache di tennis di ieri e di oggi: prima, c’erano molti numeri da parte di Tommasi e molto colore da parte di Clerici. Ma uno non deve cercare di imitare né loro, né il povero Lombardi. Ognuno ha la sua personalità, vede le cose in una certa maniere ed è giusto che le porti avanti, sempre nel rispetto due ruoli: io devo rispettare il conduttore al mio fianco e viceversa.
Fra telecronaca e studio preferisco tutta la vita la telecronaca. Lo studio certe volte sei “costretto” a farlo, ma non puoi evitare di ripetere quanto hai già appena detto per due ore e mezza in telecronaca. E’ meglio se lo fa un’altra persona che ha visto la partita e dice cose diverse, cose magari io non ho detto o ho tralasciato, perché possono anche sfuggire certe cose.
Le partite che ricordo, non sono tanto in funzione di chi c’è in campo, anche se ti rimane nella mente la finale di Wimbledon, ma ci sono anche quelle partite che ti sorprendono perché non ti aspetti che possa venir fuori una battaglia del genere, fra due giocatori non di primissimo piano, o uno che gioca un super match e che per un set, una set e mezzo, ogni volta che tocca la palla, fa il punto, o giocate in grande equilibrio, col tie-break al quinto set, quando puoi lanciare la moneta e non hai la più pallida idea di chi possa vincere. All’interno della stagione ci sono dieci partite che vorresti portarti dietro sempre, anche se gli attori non sono i soliti noti.
Federer è il più forte di tutti i tempi, a detta dei giocatori, e anche per me, però come fai a non considerare Nadal che vince 9 volte Parigi in 10 anni? C’è gente che nemmeno vede l’ombra della prima vittoria… Secondo me, la cosa più eclatante al di là dei 18 Slam di Federer, è proprio il record di Nadal: è quello che mi batte di più nella testa, il più importante.
Fra i giocatori che mi divertono di più, oggi c’è Kyrgios, c’è stato sempre Monfils, con le sue mattane, e Tsonga; sono diversi i giocatori che offrono sempre qualcosa che va al di là del match. Fra gli italiani, Fognini, varrebbe i primi 10 del mondo, senza discussione.
Ho fatto tante transizioni nel tennis, da giocatore ad allenatore, da allenatore a capitano, da capitano a talent. Non mi sento giornalista, il talent è una cosa completamente a parte. Lavorare, per esempio, a Sky, per uno malato di sport come me – li seguo tutti: se togli il cricket e un po’ di baseball, per il resto so tutto di tutti -, lavorare in un posto dove, alle 2.30 della mattina, ti metti a parlare di basket con Andrea Meneghin, oppure mangi col DT del golf, o chiacchieri con Del Piero o Costacurta, o vedi Marocchi che viene a chiedermi: “Secondo te Federer può vincere anche Miami?”. Per me, è come per un bambino andare a Disneyland, mi reputo molto fortunato, anche perché penso a quanti vorrebbero essere al mio posto a scambiare due parole con altri atleti grandi appassionati, come me, anche di altri sport. Sconocchini l’altra sera mi ha fermato e mi ha chiesto, come un bambino di 7 anni..: “Ma quando faccio la volée, il gomito dev’essere qui o qua, più vicino o lontano del corpo?”. Gli ho risposto: “Se m’insegni a metterla dentro da 3, io ti insegno la volée”.
Peccato solo per gli orari: per me è la questione più dura. Fortuna che riesco a spezzare, riesco a dormire un’ora-un’ora e mezzo il pomeriggio: è vitale, se poi devo finire alle 6 del mattino per un ritardo per pioggia come a Miami. Stavolta m’ha salvato il campionato Ncaa che davano su un altro canale.
Da talent, ho imparato a vedere lo sport da dietro le quinte, ed è diverso. Così come lo è vederlo dal monitor: commenti quello che lo spettatore sta vivendo da casa, invece, quando sei sul campo – anche per questo è meglio essere sul posto – riesci a cogliere delle espressioni, degli sguardi, dei linguaggi del corpo di un giocatore che in quel momento magari non è inquadrato, io posso dire che in quel momento è stanco e trasuda negatività, o viceversa. Dal vero, cogli qualcosa di diverso, di importante. Per esempio, la palla dentro o fuori non la sbaglio mai, perché guardo il giocatore e, conoscendolo, per una frazione di secondo, ti trasmette la verità, poi finge, ma il primo momento è chiaro, e questo non arriva sempre dal monitor. E così devo affidarmi alle mie sensazioni per capire se la palla è buona, o no.
Non mi sento un giornalista, ma non ho mai avuto terribili rapporto coi giornalisti. Anzi, la prima volta che ho giocato Roma, nel ’72, sono arrivato nei quarti, non me l’aspettavo proprio, e mi ritrovai senza hotel, così alla finii a dormire insieme a Vittorio Piccioli, un giornalista di Stadio, che era rimasto pure lui senza camera. Erano i giornalisti che avevano un brutto rapporto con Mario Belardinelli, il nostro secondo padre vero e il nostro primo padre tennistico: di conseguenza, si era creato un attrito, quel mezzo sorrisino, quella battutina, già il semplice “Buongiorno” veniva recepito in un altro modo. Con gli altri talent, comunque, anche se di un altro sport, la casa è comune, le radici sono le stesse, le sensazioni provate sul campo, la gioia dopo una vittoria importante, il dramma sportivo di una sconfitta che ti porti in camera la sera, la nottata in bianco a ripensare a quella cosa in particolare… Quelle cose lì il giornalista le può aver sentite un miliardo e mezzo di volte ma non le ha provate. E questo crea un feeling unico: parliamo la stessa lingua che non puoi insegnare e nemmeno spiegare.
Il giocatore che, tecnicamente, si avvicina di più, oggi, a quello che ero forse è Gasquet, ma per gli up and down direi Wawrinka: anch’io avevo dei giorni che andavo a giocare e la pressione mia, personale, era ai minimi termini, come se andassi a lavorare malvolentieri, e magari perdevo al primo turno, non c’entrava il posto, ero io che quel giorno ero così.
Non ho invidie per quanto guadagnano i tennisti di ogni cosa a suo tempo. Anche il gioco, non è più bello o più brutto. Ai miei tempi, era solo diverso: giocavi con le racchette di legno con l’ovale più piccolo, che ti scivolava dalla mano e aveva le corde di nylon, le palle si gonfiavano, erano dei gatti, le scarpe… era un miracolo a stare in piedi, i campi diventavano paludi dove sprofondavi, e l’alimentazione poi… Noi alle 12.30 mangiavamo insalata e filetto, e alle 3 eravamo in campo sotto il sole, ora ti danno pasta e crostata. Non parliamo poi della metodologia d’allenamento! Noi a Formia siamo stati i pionieri perché un anno avevamo un preparatore dell’atletica leggera e facevamo corsa lunga, un altro quello dei lanci e stavamo ore a tirar su pesi. Poi, piano piano, andando avanti, hanno affinato la preparazione, e fanno tutt’altra cosa. Come in tutto.
Non gioco più a tennis, zero completo. Quando ho smesso con l’agonismo, per un anno mi sono dedicato alla tavola, ho recuperato tutto quello che non avevo potuto mangiare per anni, sono ingrassato dieci chili in un mese e quando dopo ho riprovato, avevo ancora la presunzione del giocatore e, alla seconda palla, che ho sbagliato, ho detto: “Che sto facendo? Non sono allenato, peso dieci chili in più”. Smisi, riprovai dopo un anno ed era ancora peggio: il campo tuo è enorme, quell’altro non si sa per quale motivo si è rimpicciolito, e t’arrabbi sempre appena sbagli un palla. E così ho chiuso del tutto, a parte due-tre volte con la moglie per evitare il divorzio, per fortuna un giorno le è venuto il “tennis elbow”: il tennis italiano femminile ha perso una grande speranza, però mi sono salvato io. Voleva che le tirassi la palla vicino, mentre lei me la tirava lontano e voleva che io gliela andassi a prendere…
Mi ritengo fortunato ad aver commentato i grandi, i grandissimi, che sono un esempio meraviglioso per gli altri che devono arrivare e per gli sportivi in generale, non solo per come sono in campo ma per l’enorme disponibilità che dimostrano fuori. Soprattutto quei due, Federer e Nadal, quando vedo Rafa che perde al primo turno a Wimbledon, che per lui è una tragedia mondiale, disumana, e si ferma a firmare una marea di autografi prima di uscire dal campo, e deve intervenire il tournament director che gli dice: “Scusa, devi uscire, devono giocare la prossima partita…”. E’ un esempio impareggiabile ed impagabile.
A Sky ci sono sempre più talent anche nel tennis, e molti sono donne. Ma non sono preoccupato di perdere il posto. E’ normale, arriverà il giorno, come per tutti, che qualcuno mi dirà: “Largo ai giovani”. Io sono già stra-contento di aver vissuto questo divertimento delle telecronache nel momento in cui c’erano questi quattro campioni, soprattutto questi due, non credo che le prossime generazioni commenteranno i nuovi Federer e i Nadal, magari saranno anche più forti, anche se non credo, ma non saranno loro, non riprodurranno una coppia così, con caratteristiche così diverse ed eccezionali. Perché anche in passato abbiamo avuto rivalità importanti, da Sampras-Agassi a Becker-Edberg, ma uno dei due erano meno carismatico dell’altro. E i personaggi sono troppo importanti, perciò abbiamo bisogno che venga fuori Kyrgios, perché ti dice qualcosa come gioco e come tutto. Di nuovo ho notato Tiafoe, è un po’ Blake, non mi dispiace, ha delle soluzioni buone. Ci sono altri. Ma è inutile pensare a un altro Federer e a un altro Nadal, non esisteranno mai. Eppoi, io, quando vengono su quelli del 2000 smetto.
Arrivo fino alla classe ’99. Come fai a commentare uno così giovane?”.
Paolo Bertolucci
Classe ’51,gran talento tennitico, ha vinto la coppa Davis del ’76 e 6 titoli Atp, arrivando al numero 12 del mondo di singolare. E’ stato responsabile tecnico Fit dei giovani azzurri, capitano di coppa Davis e ora è “talent” di Sky.