L’avviso del Ministero degli Esteri è preciso e allarmante, nel settore Sicurezza a proposito del Sud Africa: “Tenuto conto dell’elevato tasso di criminalità nel Paese e dei rischi di sicurezza, si raccomanda ai connazionali di esercitare la massima cautela. Si raccomanda, inoltre, di informare preventivamente il Consolato di eventuali soggiorni studio di minori, registrando sempre la loro presenza sul portale Dove Siamo Nel Mondo”. E ancora: “Il tasso di criminalità del Paese è elevato, soprattutto nelle grandi città (Johannesburg, Pretoria, Durban, Cape Town e Port Elizabeth). La situazione è relativamente migliore nei centri minori ma richiede comunque un adeguato livello di vigilanza. Non sono infrequenti casi di violenza a danno degli stranieri, di cui sono rimasti vittime anche connazionali. In generale, è importante attenersi scrupolosamente, durante la permanenza nel Paese, alle avvertenze indicate nella Scheda, e rivolgersi esclusivamente ad agenzie o guide turistiche riconosciute. Si consiglia inoltre di evitare luoghi di eventuali manifestazioni”.
L’allegra spedizione del Mondiale di calcio 2010 appare lontana, ma soprattutto si capisce che le grandi manifestazioni a volte danno immagini fuorvianti dei Paesi in cui si svolgono. Perciò, quando un Mondiale non è quello del calcio, che attira l’attenzione di tutto il mondo e garantisce un minimo di sicurezza, ma di un ben più modesto Tennistavolo, ecco che gli avvertimenti diventano più chiari e danno una sensazione che può sconfinare, anche se involontariamente, nel pregiudizio, senza che si riesca a trovare un equilibrio minimo. Il risultato finale è un misto di preoccupazione e sollievo a seconda della realtà contro cui si va a sbattere, ma il fatto stesso che non si possa affrontare con un senso di “normalità” fa capire quanti e quali siano i danni ereditati da un passato coloniale di cui l’intera Africa non ha colpa. In Sud Africa, poi, il tutto diventa ancora più evidente per via degli anni dell’Apartheid, nei quali il 90 per cento della popolazione, di neri, era tenuta sotto oppressione e schiavitù dal restante 10 per cento, di bianchi.
FUORI DAGLI SCHEMI
E allora, ecco l’esperienza di un inviato di questo sito a Durban. L’avvertenza della Federazione mondiale tennistavolo è di prenotare gli hotel dell’organizzazione, che curano anche trasporti e pasti. Io prenoto un albergo a soli 300 metri dall’Icc, il Centro internazionale congressi in cui si svolgono le gare, e sono al di fuori di qualsiasi organizzazione legata ai Mondiali, a parte l’accredito di giornalista, vado a piedi alle gare e sono del tutto indipendente. La prima sensazione è strana e divertente al tempo stesso, almeno per me: in hotel, per strada, nel supermarket dove vado a fare acquisti, sono l’unico bianco in circolazione, ma davvero l’unico. Tutti gli altri bianchi dei Mondiali di tennistavolo sono chiusi in una bolla. Non avverto mai, però, sensazione di pericolo, persino di sera, al buio, anche se è del tutto evidente che le strade e l’ambiente in generale, non un modello di lindore, i piccoli negozi che sono poco più che bancarelle, alcuni dei quali appaiono equivoci e sporchi, locali bui con un tavolo da biliardo, ti fanno pensare a una riedizione del Bronx americano. Ma è anche vero che nessuno ha atteggiamenti che possano far pensare a minacce, né alcune donne che stanno all’ingresso di questi locali cercano di adescarti, né c’è chi ti chiede l’elemosina, anche se si vede chiaramente che alcune di queste persone sperano di riceverne.
E poi, al supermarket, vedi che all’uscita ci sono gli addetti alla sicurezza che controllano le buste della spesa e gli scontrini, di tutti tranne… me. Faccio segno di voler mostrare ciò che ho comprato e lo scontrino, ma mi fanno segno che posso andare, quasi che, nella loro percezione, il bianco non ha bisogno di rubare, o forse per una forma di rispetto per chi loro pensano sia un turista, chi lo sa. Fatto sta che i problemi nascono non dalla gente che incontro per strada, ma dalle persone dell’organizzazione dei Mondiali. La prima sera, alla fine delle gare, trovo l’uscita chiusa. Il personale della sicurezza mi chiede a quale organizzazione appartengo e mi dice che posso uscire solo con lo shuttle bus dell’organizzazione, con la mia auto privata o con un taxi. Dico che esco a piedi e mi impediscono di farlo. Mi guardano come se io fossi pazzo, mi avvertono che ci sono ladri e criminali in giro, non posso camminare da solo. Ribatto che la responsabilità è mia. Niente da fare. “Dormo qui stanotte?” chiedo. E loro non sanno rispondere. Uno spettatore qualunque che assiste alla scena mi dice che mi accompagna lui con l’auto, per aiutarmi, e così vado via. La sera dopo, trovo l’uscita per le auto e uso quella, a piedi, fino alla fine dei Mondiali, anche la sera alle 23 non ho mai problemi per strada e nessuno mi dà fastidio.
I SEGNALI DI PERICOLO
Ma i problemi di povertà e di crisi economica generale restano, certo, sarebbe da ipocriti negarlo, così come la percezione della presenza di ladri e criminali. Te ne accorgi da alcuni particolari: il McDonald’s chiude alle 19.30 (!!!), il Kfc alle 20, ora in cui accade un’altra cosa inaspettata, le luci per strada si spengono, va via la corrente elettrica in molti negozi che restano al buio e con una sola piccola luce accesa, vicino alla cassa, con un generatore autonomo. Sono i segni di una situazione non felice, che si riscontra anche all’interno degli ambienti dei Mondiali, dove ogni tanto le luci esterne ai campi di gara si spengono all’improvviso. Si deve risparmiare, mi spiegano.
L’ultimo giorno di gare, mi dicono che c’è stato un episodio criminale, alcuni giocatori e delegati della Repubblica Ceka sono stati minacciati da alcuni ladri con i coltelli, nella zona degli alberghi riservati alle persone dei Mondiali, sul lungomare. Quindi per me è stata solo una botta di fortuna non avere avuto alcun problema di questo genere? Ci penso un po’ e mi viene in mente che il modo migliore per attirare i delinquenti è concentrare in poco spazio tante “vittime” credendo che così siano al sicuro. Nelle zone usuali non vale la pena andare a cercare uno o due turisti, meglio puntare lì dove ce ne sono centinaia. Ma questi sono particolari che valgono ovunque, in tutto il mondo, non solo a Durban e in Sud Africa.
Per chiudere, restando in tema di pregiudizi, è il caso di ricordare come l’Africa e il Sud Africa siano stati presentati al mondo perché così si capisce come siano nate certe visioni di questo grande paese e come si continui a tentare di influenzare l’opinione pubblica mondiale con la presunta necessità di “tutela” da parte delle nazioni “civilizzate”.
IL LAVAGGIO DEL CERVELLO
In particolare, a livello di masse, il primo vero impatto con questa realtà lo si ebbe negli anni Sessanta, grazie a un film molto famoso e molto discusso, “Africa addio”, di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi. Ecco il link per trovarlo in internet: https://www.youtube.com/watch?v=XzM4kLQvnpo.
Quel film, che ebbe uno straordinario successo di pubblico, fu accusato di una visione filocoloniale, con tesi molto vicine al razzismo, accuse secondo me fondate. Si parlava in generale dell’Africa che si liberava dal dominio coloniale e la presentazione brillava nello schierarsi a favore del mantenimento della presenza straniera. Ecco il testo: “L’Europa ha fretta di andarsene e in punta di piedi, anche se, a conti fatti, ha dato assai più di quanto ha preso. L’Europa, il continente che ha tenuto l’Africa a balia, non ce la fa più con questo grosso bambino nero cresciuto troppo in fretta, che frequenta i cattivi compagni e che per di più la mette in croce perché ha la pelle bianca. E così lo abbandona, ancora inquieto e immaturo, proprio nel momento in cui avrebbe tanto bisogno di lei”.
Secondo questa interpretazione, l’Europa, che si è distinta nel corso dei secoli per il saccheggio delle ricchezze dell’Africa, “ha dato assai più di quanto ha preso”. E, peggio ancora, i razzisti sono gli africani perché l’Africa “mette in croce” l’Europa “perché ha la pelle bianca”. E’ il totale stravolgimento della realtà.
L’ultima parte del film era dedicata proprio al Sudafrica. Sul problema dell’apartheid, la tesi era questa che riporto, presa testualmente dal film. “Soweto è fra le più grandi città negre del Sudafrica. La legge dell’apartheid proibisce ai bianchi di entrarci. Se è una prigione, è una strana prigione dove le porte si aprono dall’esterno e si chiudono dall’interno. Al di là di questi confini c’è un’altra grande prigione, quella dei bianchi. Si chiama Johannesburg. L’apartheid proibisce ai negri di entrarvi. Anche questa è una strana prigione, dove le porte si aprono dall’esterno e si chiudono dall’interno. L’apartheid ha rinchiuso due razze in due prigioni diverse le cui serrature si aprono alla rovescia”.
Quindi, l’apartheid viene presentato come qualcosa di cui non sono responsabili i bianchi, ma quasi un volere divino, e soprattutto come una disposizione che colpisce allo stesso modo neri e bianchi, dimenticando di dire che è stato inventato dai bianchi. Si parte, subdolamente, dai bianchi cui è vietato di entrare in Soweto (come se ci fosse chissà quale esigenza, da parte loro, di entrare in questa baraccopoli), quindi si dà l’iniziale sensazione che siano loro i primi discriminati. Poi si passa ai divieti per i neri (chiamati “negri”), ma si resta al concetto delle due prigioni.
Poi, quando si parla di razzismo, nel film si fa questo esempio. Riproduco ancora testualmente. “Perché questo è un paese di tre milioni di africani bianchi e di 11 milioni di africani neri che, pur avendo bisogno gli uni degli altri, vivono nel sospetto della sproporzione numerica e nell’equivoco di certi slogan che arrivano dall’Europa. Chi è bianco non è africano. E questa è un’affermazione razzista. Soltanto chi è nero è africano. E anche questa è un’affermazione razzista”.
Qui siamo all’assurdo: si dice due volte la stessa cosa, a vantaggio dei bianchi, ma con parole diverse come se si stessero enunciando due concetti diversi di razzismo: “Chi non è bianco non è africano. Soltanto chi è nero è africano”. Un esempio classico di lavaggio del cervello, concetti espressi rapidamente e poi “spiegati” altrettanto rapidamente per non dare il tempo allo spettatore di pensare a cosa ha appena sentito e rifletterci. Perché, riflettendoci, ci si accorge che è stata detta due volte la stessa cosa a danno dei neri. La cosa peggiore è che questo film fu esaltato da tanti intellettuali dell’epoca, pur essendo il manifesto di una visione razzista. Questa, quindi, era la percezione che si aveva in quegli anni (il film uscì nel 1966).
Poco alla volta, arrivarono altri film, come “Un’arida stagione bianca” con Marlon Brando, che ribaltarono quei concetti, anche musical e canzoni come quella di Peter Gabriel, “Biko”, dedicata a un leader pacifista ucciso dalla polizia, e “Free Nelson Mandela” degli Special Aka.
Ancora oggi l’eredità di quella visione del mondo continua a fare danni e, come per il diavolo, la cosa più pericolosa del razzismo è far credere che non esiste.
(foto tratta da sportface.it)