La vera sorpresa, almeno per noi, è la caduta verticale di Johanna Konta, detta Jo. L’australiana naturalizzato britannica, che il 17 luglio era salita al numero 4 del mondo e minacciava di diventare una realtà di vertice, s’è persa, dopo il clamoroso scivolone con botta alla testa ad Eastbourne (dove vive) e il k.o. con Venus Williams nelle semifinali di Wimbledon (da favorita). Travolta prima dalla sua stessa erba e dal suo stesso pubblico (e pressione) di casa, e quindi tradita dal famoso servizio-grimaldello, è crollata subito agli Us Open dove si era presentata nella pole position a otto posti per diventare addirittura numero 1 del mondo. Cedendo d’acchito alla vitalità a singhiozzo, ma terrificante, di Aleksandra Krunic che, agli Us Open 2014, superò le qualificazioni ed eliminò Piter, Keys e Kvitova, allora 4 del mondo, per poi arrendersi, fra gli applausi del pubblico, soltanto a Vika Azarenka. L’elastica serba, cresciuta tennisticamente a Mosca, in quel circolo Spartak che ha lanciato star come Anna Kournikova, Anastasia Myskina e Marat Safin, è quindi riscivolata dal numero 62 del mondo negli inferi della classifica per colpa della sua indole un po’ pigra, ed è appena risalita al 77. Transitando per un tumore alla carotide. Brava Aleksandra, ma la povera Jo ci fa un po’ pena, schiacciata com’è dai media britannici che, senza l’ammalato Andy Murray, avevano spostato i riflettori tutti su di lei. Fulminandola.
Altre sorprese della prima fiorata agli Us Open? Più della rimonta di Tipsy, al secolo il redivivo Janko Tipsarevic che recupera da due set a zero sotto Thanasi Kokkinakis (ancora senza fondo), e della zampata di quel drago del cemento di Milhail Kukushkin su David Ferrer (crollato dopo un set), colpiscono i tre set a zero coi quali Denis Shapovalov liquida il derby NextGen contro Daniil Medvedev. Il test Tsonga dirà a che punto è la stella nascente targata Canada, ma chiaramente di ceppo russo.
Vincenzo Martucci