Lo vedi ridere, lo vedi fare scherzi e lazzi come nemmeno nel film cult Come eravamo. Recita da aiuto-cuoco in cucina, senza tennis, pubblicizza il nuovo sponsor delle valigie in un’intervista patinata, senza tennis, si veste da co-manager nella pretestuosa Laver Cup, con un tennis irreale, da Harlem Globetrotters prima maniera. Poi, certo, gli basta un attimo, un match point salvato con la palla-corta, una accelerazione lì, un passante là, tre pennellate in tutto, per riassestare l’icona di più grande artista della racchetta di sempre. Ma questo Roger Federer è troppo disinvolto, troppo rilassato, troppo libero. E, anche, terribilmente troppo umano, troppo vicino agli altri, che siano baby Sascha (Zverev), l’eterna speranza Grisha (Dimitrov) o, peggio, i rivali diretti Rafa (Nadal) e Nole (Djokovic). O addirittura Delpo (Del Potro) che è cliente della società Roger & Godsick (Team8), ma ha disertato la seconda edizione dell’esibizione “simil Ryder Cup” per festeggiare i 30 anni con gli amici di casa e sparare a zero contro il Magnifico: “Nel terzo set della finale di Indian Wells ho perso il rispetto e la paura di Roger”.
Come, come? Anche il gigante con i polsi d’argilla alza il tono del suo vocino, mentre quei diavoli di Nadal e Djokovic accorciano le distanze negli Slam (Roger a quota 20, Rafa 17 e Nole a 14), scambiandosi il numero 1 del mondo? È la legge della giungla: Federer Express ha confermato il titolo agli Australian Open, ha vinto Rotterdam, ma poi s’è inchinato a Delpo in California, è scivolato con Kokkinakis a Miami, con Coric a Stoccarda, con Anderson a Wimbledon, ha perso troppo netto con Djokovic la finale di Cincinnati e ha avuto un’altra giornataccia con Millman agli Us Open, dilapidando gran parte dell’aura riacquistata nel trionfale 2017. Soprattutto, s’è mostrato lento, bolso, stanco, poco reattivo, incapace di recupero fisico, persino bruttino sotto quella barbetta incolta che sa tanto di sofferenza.
Per il dispiacere del nuovo sponsor Uniqlo, che l’ha coperto di yen perché li accompagni ben oltre l’Olimpiade di Tokyo 2020. Che, sempre più presumibilmente resta l’ultima spiaggia di un’incredibile carriera. Col sogno di colmare il buco nero di un collier di successi impressionante: la medaglia d’oro olimpica in singolare. Al culmine, magari di un’ultima stagione “alla Pete Sampras 2002”, senza colpi ferire, solo per salutare tutti.
A suffragare quest’ipotesi ci sono tanti altri segnali positivi sotto il profilo della comunicazione, ma negativi sotto quelli dell’immagine del campione, egocentrico, egoista, agonisticamente cattivo, concentrato solo alle vicende del campo, come i guerrieri dalla notte dei tempi si preoccupano solo del perfetto funzionamento delle proprie armi. Invece adesso “papà Rog” diventa per la prima volta buonista, distribuisce consigli a mani piene, annuncia: “Datemi qualche giorno per approfondire tutte le questioni, ci sono tante vicende in ballo, lavorerò con Rafa e Novak per far uscire il tennis dai problemi, dobbiamo mettere mano al calendario, dobbiamo fare chiarezza fra i vari interessi”. Il ruolo “non di manager, direi più di un catalizzatore, di uno con un’idea” come si concilia con quello di campione? E i rapporti sempre più stretti che ha instaurato alla Laver Cup come possono tornare bellicosi com’è necessario che sia in campo contro gli avversari?
Insomma, sembra proprio che l’animus pugnandi di Federer si sia definitivamente annacquato, insieme alle sconfitte recenti, al fisico che non regge all’urto per più giorni. Da cui anche lo strano annuncio di un possibile ritorno ai tornei sulla terra rossa, l’anno prossimo, dopo due stagioni di oblio. Perché? “Per il gusto di farlo, per passione”. Un’altra ipotesi che suona tanto come il canto del cigno, l’estremo saluto di chi vuole godersi gli ultimi applausi sul red carpet del tramonto, a prescindere dal risultato.
A cominciare dalle passerelle già prenotate nella sua Svizzera: la Laver Cup a Ginevra e al torneo di Basilea, nel rispetto dell’ultimo anno di contratto. Poi, “que sera, sera”. Sperando, nel 2019, in un sorteggio particolarmente favorevole, nell’incrocio di influssi straordinariamente positivi, negli ulteriori aiuti fantasmagorici di un talento extra-terreno per sgraffignare qualche altro torneo di medio cabotaggio. Non più gli Slam. Perciò, molti dei suoi tifosi avrebbero voluto che il Magnifico annunciasse l’addio magari a gennaio a Melbourne. Per non riscoprirlo irrimediabilmente vinto solo pochi mesi più tardi.
(tratto da agi.it)
foto di Luigi Serra