Il vocabolo “sport” è recente, prima non esisteva nessuna parola analoga nell’antichità, il termine sport è di origine inglese ”disport” (divertimenti, passatempi) e deriverebbe dal francese antico “disport”.
L’accostamento tra lo sport moderno e il mondo dell’antica Grecia deve la sua nascita al Movimento Olimpico fondato da Pierre De Coubertin nel 1896. Il “barone” guardava alle Olimpiadi dell’antichità in modo idealizzato, ma le differenze tra lo sport attuale e l’agon” dell’antichità sono sostanziali.
Mentre le discipline odierne sono regolamentate in modo molto preciso, quelle dell’antichità non avevano regole scritte ma solo dettate dalla consuetudine (ad esempio nel pugilato c’era un giudice solo, non c’erano limiti di tempo, di peso, non c’erano i guantoni).
La differenza tra lo sport attuale e quello dell’antichità non è riconducibile solo all’evoluzione del controllo dell’emotività (secondo lo psicologo tedesco Georg Elias Muller e David Allan Dunning psicologo sociale americano), ma secondo l’americano Allen Guttmann, storico di sport, queste differenze sono riconducibili a 7 dimensioni, tra le quali 5 sono tremendamente importanti:
1) l’uguaglianza e le pari opportunità: fattibili nelle competizioni dello sport moderno, invece nello “sport antico” le donne erano escluse da Olimpia, oltre agli schiavi e ai “non greci”;
2) la secolarizzazione: molti eventi ludici antichi pare avessero un significato religioso (il gioco con la palla dei Maya e degli Aztechi, i Giochi di Olimpia dedicati a Eracle, etc.), ma comunque contava anche l’aspetto ludico e il piacere dello sviluppo della propria competenza e autoefficacia; oggi non è così, i Giochi Olimpici hanno una cadenza quadriennale e cambiano continuamente sede;
3) l’organizzazione burocratica: i calendari e i regolamenti degli eventi sportivi sono un fatto moderno, nulla del genere esisteva in passato;
4) la quantificazione: solo lo sport moderno è ossessionato dalla necessità di quantificare i tempi, i pesi, le categorie e le distanze in maniera; per i Greci l’uomo era la misura di tutte le cose e non l’oggetto di “incessanti misurazioni”;
5) la ricerca del record: il termine “record” ci ricorda Huizinga, era l’annotazione che il primo arrivato scriveva sulla trave della locanda per ricordare la sua impresa. Ora “fare il record” è un’ossessione! Il concetto di record è assolutamente moderno e contiene al suo interno l’idea di un continuo progresso (concetto estraneo negli antichi).
Da tutte queste osservazioni risulta che il termine “sport” non è altro che un’espressione, plasmata dallla cultura, del gioco, quindi può essere esteso all’intera storia dell’uomo, anzi……lo ha accompagnato dall’alba dei tempi!
Ora l’importante è vincere, non partecipare!
A parte il fatto che nessuno ha mai affermato che l’importante è partecipare! La frase fu pronunciata per la prima volta dall’arcivescovo della Pennsylvania, Ethelbert Talbot, nella cattedrale di San Paolo di Londra, in occasione della cerimonia in onore degli atleti partecipanti alle Olimpiadi del 1908. Alcuni sostengono che quest’ultimo, a sua volta, abbia preso spunto da un filosofo greco, il quale disse: “L’importante non è vincere, ma partecipare con spirito vincente“.
La perversione sta nel fatto che lo sport è subordinato all’esigenza di vincere a tutti i costi, perché garantisce visibilità sociale:
– il mondo politico dei governi è entrato a “piedi giunti” nel mondo dello sport ad alto livello per sfruttare i successi sportivi internazionali e di conseguenza aumentare il prestigio del proprio Paese (vedi DDR); la fame di medaglie ha raggiunto un tale livello che atleti “normali” si sono prestati a truffe incredibili (vedi la Spagna che ai Giochi Paralimpici di Sydney che ha fatto partecipare atleti normali al basket in carrozzina);
– il mondo dell’economia si è impadronito dello sport, perché è diventato un fenomeno di massa o meglio un bene di consumo di massa (l’indotto commerciale), diventato terreno di interessi economici importanti, di strumentalizzazioni, di manipolazioni e di condizionamenti nei confronti dei singoli individui. Le regole della mercificazione? Vincere!;
– l’offerta mediatica: il coinvolgimnto dello sport nella sfera economica si è accelerato quando gli eventi sportivi sono diventati un importante elemento dell’offerta mediatica (le tramissioni sportive in TV in chiaro e in scuro), creando un pubblico smisurato di spettatori a distanza che ha cambiato radicalmente tutte le precedenti modalità di fruizione degli eventi sportivi. Tra l’altro alcuni sport hanno cambiato le regole in base alle esigenze televisive (il volley e il tennis con il tie-break, il calcio con il “golden gol”, la programmazione dei time-out in funzione dell’inserimenti di spot pubblicitari). L’impatto televisivo è diventato così potente da convincere talmente il pubblico che la forma naturale dello sport sia quella mediatica; in Italia vi sono milioni di tifosi italiani che non hanno mai messo piede in una stadio o non hanno mai visto una gara.
Questi tre fattori (spinte politiche, economiche e mediatiche) hanno portato l’enfasi del “vincere a tutti i costi” a livelli mai registrati precedentemente e il doping ci ha messo del suo!
Ma il doping c’era già nel 3° secolo a. C. quando atleti greci furono squalificati ai Giochi Olimpici per aver abusato di semi di una pianta con grandi proprietà stimolanti, tre secoli orsono il medico greco Claudio Galeno, parlando degli atleti greci professionisti di Pergamo affermò: “accumulano in massa muscoli e sangue, ma la loro anima è spenta, come sommersa sotto un cumolo di melma”.
Tuttavia il doping con il passare degli anni ha fatto un “salto di qualità” rispetto al passato ed ora possiede due nuove caratteristiche:
- l’esasperazione tecnologica: ora è più spinto ed esasperato e il doping genetico sarà un ulteriore passo;
- la diffusione endemica nel settore giovanile e amatoriale.
Il doping può far vincere ad un professionista una medaglia olimpica, un titolo mondiale, un record e di consequena compensi elevati, sponsorizzazioni, visibilità mediatica, ingaggi a meeting mondiali. Ma a livello giovanile e amatoriale cosa può portare?
Il bisogno di eccellere, una certa fragilità interiore, la ricerca dell’avere un fisico possente e potente come esigenza compensativa (stampella alla propria autostima vacillante).
E la cultura motoria e sportiva dove la mettiamo?
Chi la deve trasmettere?
La famiglia, la scuola, gli Insegnanti, gli Istruttori, gli Allenatori, gli psicologi, i medici: tutti assieme per creare un corretta cultura in tal senso.
Ma………i genitori vogliono che il figlio primeggi (invece sarebbe meglio che fossero meno iperprotettivi), la Scuola spesso e volentieri si disinteressa dell’attività motoria e dello sport, gli Istruttori e gli Allenatori spesso privilegiano i più bravi (invece dovrebbero enfatizzare la prestazione, cioè ottenere il massimo che si può e non il risultato) e invece dovrebbero trasmettere il piacere della sfida con sé stessi, insegnare a gestire la sconfitta e stimolare l’autonomia.
E allora?
Ripensiamo lo sport!
Vorrei uno sport più umano, più pulito, in grado di generare passioni e emozioni forti, ma di cercare ricadute a lungo termine, capaci di incidere in modo duraturo sulla vita di ogni giorno.
Vorrei uno sport che accolga, accompagni, orienti e offra ragioni di speranza e di verità: è un cammino che non si esaurisce in un evento, ma che necessita di continuità e di quotidianità.
Sono un romantico?
Forse!!!!!!! Ma la penso così!