Il Masters 1000 di Cincinnati con le prime quattro teste di serie tutte presenti nelle semifinali come non succedeva dal 2009, dai “Fab Four” Federer, Nadal, Murray e Djokovic, attesta inequivocabilmente che l’atteso passaggio di testimone fra le vecchie e le nuove leve è già avvenuto. Perché, anche se poi l’ordine di classifica mondiale, Medvedev, Tsitsipas, Zverev, Rublev è stato rivoluzionato con i secondi due che, a sorpresa, hanno beffato i primi, gli ex NextGen che hanno fatto passerella negli ultimi anni nelle Finals under 21 di Milano stanno confermando, almeno nei tornei due set su tre, tutte le belle promesse della loro rigogliosa generazione “made in Russia”.
Invece nei Majors, gli unici appuntamenti che si disputano ormai al meglio dei cinque set (mentre prima succedeva anche in coppa Davis e nelle finali di alcuni Masters 1000) il 25enne Daniil Medvedev (numero 2 del mondo), il 23enne Stefanos Tsitsipas (3), il 24enne Sascha Zverev (4) e il 23enne Andrey Rublev (7) denunciano i loro verdi anni e quindi la scarsa esperienza nelle maratone del tennis che si riaprono all’improvviso e diventano sconvolgenti sprint. E stanno quindi soffrendo tanto ogni qual volta vengono chiamati, quattro volte l’anno, a forzare i loro ritmi psico-fisici. Chi fra le maggiori promesse del tennis mondiale sembra quindi più pronto per aggiudicarsi il primo Major? Chi può proporsi in modo più credibile come baluardo al Grande Slam di Novak Djokovic, dopo i tre tronfi stagionali di Nole I di Serbia a Melbourne, Roland Garros e Wimbledon?
Il Medvedev che nel 2019 disputava a sorpresa la finale degli US Open contro Rafa Nadal e la perdeva di un soffio è molto diverso da quello che a gennaio ha perso la seconda finale Slam, sempre sul cemento ma agli Australian Open contro Novak Djokovic, sempre contro un Fab Four. Nella prima occasione, Daniil dal gioco poco ortodosso si arrese dopo una eccitante rimonta da due set a zero sotto, beffato dal magistrale quinto set di quel diavolo di spagnolo che si votò all’attacco per sconvolgere le trame da fondocampo della piovra di Mosca. Nella seconda occasione l’attuale numero 2 del mondo ha pagato lo sforzo di testa dopo le affermazioni coi rivali diretti, Rublev e Tsitsipas arrivando scarico alla prova decisiva contro un avversario che tutti davano per infortunato ma che ha superato ancora una volta la soglia del dolore. Medvedev è molto migliorato nel servizio e anche nella gestione dei nervi, ha dimostrato di saper recuperare qualsiasi situazione di gioco e di punteggio, ma accusa ancora pause di intensità preoccupanti che gli costano sforzi imponenti. Che finora sono stati insormontabili in un torneo di sette partite come gli Slam. Dove comunque, dopo le due finali, vanta più esperienza di tutti gli altri giovani.
L’interrutore di Tsitsipas
Tsitsipas, più ancora di Medvedev, a fronte di un talento tennistico più puro e più vario, con una propensione a rete che gli può risolvere ulteriori dilemmi, può estraniarsi completamente dal match all’improvviso e per motivi misteriosi. Forse atletici, più probabilmente di concentrazione ballerina. Di certo, all’improvviso nella testa del bell’atleta scatta un clic che chiude l’interruttore del gioco e delle gambe e non gli concede più salvezza. Tanto che le sue partite importanti praticamente già vinte e poi clamorosamente perse sono già entrate nel Guinness de primati, a cominciare dall’ultima, nelle semifinali di Cincinnati, dov’era avanti 4-1 40-30 e servizio contro uno Zverev in ginocchio, ma è riuscito a perdere. Figurarsi negli Slam, dove infatti fra i suoi incubi più agghiaccianti figurano le due esperienze, entrambe contro Djokovic, al Roland Garros dell’anno scorso e di quest’anno, con la semifinale 2020 persa per 6-1 al quinto set dopo aver recuperato due set di svantaggio al campione di gomma serbo e la finale di maggio quando si è fatto rimangiare il 7-6 6-2 iniziale, dopo un torneo straordinario nel quale aveva infilato uno dietro l’altro Medvedev e Zverev.
Difficile immaginare che, ritrovandosi di fronte proprio Novak il terribile, il greco di sangue russo possa riscattare le recenti delusioni con tutta la pressione che accompagnerebbe l’uomo che ferma Djokovic a un passo dal Grande Slam. Mentre è possibile, con quel potenziale, se il serbo dovesse inciampare prima, contro un altro avversario o contro se stesso come già agli ultimi US Open, Stefanos possa essere proprio lui il primo ex Next Gen ad aggiudicarsi uno Slam nel dopo “Fab Four”.
Gli alti e bassi di Zverev
Anche Sasha Zverev ha un pessimo ricordo della sua finale Slam, l’anno scorso agli US Open quando si è fatto rimontare da due set a zero e poi ha perso per mezza incollatura, per 8-6 al tie-break del quinto set, contro il suo miglior amico sul Tour, Dominic Thiem. Contro il quale aveva raccolto tanti punti ma non era riuscito nell’impresa anche nelle semifinali degli Australian Open 2020.
Del resto, anche all’ultimo Roland Garros di maggio non ha dimostrato di essere guarito dal vizietto dei terrificanti alti e bassi, cedendo in semifinale a Tsitsipas dopo aver recuperato due set di svantaggio. Sulla falsariga dei quarti degli Australian Open contro Djokovic quando aveva fatto match pari (6-7 6-2 6-4 7-6) ma aveva perso per quei particolari decisivi che fanno la differenza con un campione come Novak, già forte dell’esperienza di 20 Slam vinti.
Il trionfo all’Olimpiade e a Cincinnati, rimontando prima Djokovic e poi Tsitsipas in modo clamoroso, e poi dominando i successivi avversari danno sicuramente nuova fiducia a Zverev, ennesimo fenomeno tennistico coi geni russi (entrambi i genitori) e il pugno del ko che può quindi risolvere qualsiasi problema con un colpo solo. Ma Sascha è finalmente maturo e continuo per le battaglie Slam?
Rublev e il peso delle emozioni
Nella sua crescita umana e professionale l’ultimo dei rampolli d’oro, dopo la semifinale di Cincinnati, Andrey Rublev, è tutto felice di aver superato per la prima volta il test-Medvedev, “come se avessi preso il il diploma e fossi entrato all’Università”, come ha commentato lui candidamente. Ma subito dopo la rimonta sul n.1 della nazionale russa, al quale non aveva mai strappato un set in quattro confronti, il picchiatore dai capelli rossi s’è spento completamente nella finale contro Zverev. Facendo comunque un passo indietro proprio nel campo dove è più deficitario, cioè la gestione delle forze e delle emozioni. Perciò soffre tanto nel passaggio dai tornei di seconda fascia, dove spesso domina, a quelli di prima qualità – Masters 1000 e Majors – nei quali ancora non riesce ad essere protagonista. Possibile che ci riesca proprio in extremis nell’ultimo Slam dell’anno, lui che al massimo finora ha toccato i quarti nei super tornei?
Il più serio candidato a mettere in discussione la “dittatura Djokovic” agli US Open, oggi, sembrerebbe essere quindi Zverev, anche per la personalità sfrontata, per la perentorietà dei colpi e per la fiducia che gli viene dagli ultimi due tornei; Medvedev dovrà forse ringraziare lo scivolone di Cincinnati che l’ha fatto rifiatare, sperando che si sia ripreso perfettamente dallo scontro con la telecamera di quel torneo, piazzata colpevolmente e pericolosamente dove non sarebbe dovuta mai essere; Tsitsipas deve risolvere troppi dilemmi con se stesso, da solo, senza l’aiuto di papà o le prolungate – e contestatissime – fughe alla toilette; Rublev sembra il più acerbo dei nuovi “Magnifici quattro”.
Il fattore “quinto uomo”: Matteo Berrettini
Ma se davvero dovessimo puntare sull’altro uomo da contrapporre a Djokovic, sempre chi il sorteggio gli dia una mano, indicheremmo un altro giovane, del 1996 come Medvedev: non ha mai battuto Novak come ha fatto tre volte su otto Daniil, anzi, ci ha perso tre volte su tre, però sembra possedere armi che disturbano e innervosiscono il numero 1 del mondo e lo spingono ad uscire dai suoi schemi classici. Penseremmo quindi a Matteo Berrettini che ha appena giocato la prima finale Slam, a Wimbledon, proprio contro Djokovic, strappandogli il primo set e cedendo poi di fisico: la stanchezza dell’inedita esperienza nel torneo più famoso e uno stiramento che gli ha negato subito dopo l’Olimpiade.
Quando pensiamo al romano e al serbo ci tornano sempre in mente i quarti del Roland Garros, quando allievo di Vincenzo Santopadre è riuscito a fare match pari – dopo due set persi nettamente – per strappargli un set e mancare di un soffio la possibilità di trascinare Novak al quinto. E’ stata una partita tanto intensa che Djokovic si è liberato urlando la sua rabbia, stravolto, spiritato, guardando verso gli spalti vuoti dopo quel 6-3 6-2 6-7 7-5 che l’ha poi lanciato verso la trionfale semifinale contro Nadal e quindi verso il titolo nello Slam per lui più difficile. E siamo sicuri che se potesse depennare un nome dal suo cammino verso l’immortalità sportiva Novak cancellerebbe proprio quello di Matteo.
Vincenzo Martucci (Tratto da www.supertennis.tv)