Senza il povero, sfortunatissimo, Juan Martin Del Potro, ancora infortunato, la categoria dei giganti sarà rappresentata dal 2.03 Kevin Anderson al Masters di Londra dell’11 – 18 Novembre coi migliori 8 del mondo. Il biondino dal servizio micidiale meritava questo “upgrade” per lo scatto degli ultimi due anni, a cominciare dalle prime finali Slam, a settembre 2017 agli Us Open e luglio 2018 a Wimbledon, per continuare coi due titoli Atp di quest’anno (New York e Vienna) in cinque finali (anche Pune de Acapulco, oltre a Flushing Meadows). Il 16 Luglio era già diventato il primo sudafricano a salire al numero 5 del mondo nella storia della classifica del computer (dal 1973), grazie alla finale di Wimbledon persa con Djokovic, dopo aver recuperato da due set a zero sotto contro Federer nei quarti, salvando un match point e poi imponendosi per 13-11 al quinto set, ed aver domato Isner per 26-24 sempre al set decisivo dopo sei ore e mezza di mazzate. Umile, educato, corretto, meritava anche di essere il primo sudafricano a qualificarsi alla passerella di fine stagione 23 anni dopo Wayne Ferreira. Così come di essere già sicuro di chiudere per la prima volta l’anno fra i “top ten”, e di vedere premiato il gran lavoro nel tempo col quarto posto fra i più anziani di sempre al Masters, dietro l’australiano Ken Rosewall (che ne aveva 36 alla prima edizione della prova nel 1970 a Tokyo), allo spagnolo Andres Gimeno (35) e all’australiano naturalizzato sudafricano Bob Hewitt (32), entrambe in gara a Barcellona nel 1972.
Anderson è l’emblema del giocatore che s’è costruito pezzo dopo pezzo. Così chiude cinque delle ultime sei stagioni fra i “top 20” (2013-15, 2017-18), anche se il 12 ottobre 2015 era già entrato nel club dei top 10, ma ne era uscito malamente per una serie di infortuni (spalla e caviglia) fino a precipitare al numero 80 della classifica il 16 Gennaio dell’anno scorso. Quando, curiosamente, ha ripreso fiducia sulla terra rossa, la superficie meno prolifica per il suo gioco essenziale di potenza, con le sconfitte in tre set contro Zverev a Roma e Nishikori a Ginevra, e con la rimonta in cinque set con Edmund al Roland Garros. A Wimbledon si era arreso a Querrey ma ancora di pochissimo e solo al quinto set. Tanto da esplodere sul cemento americano battendo Thiem a Washington, dominando Querrey a Montreal e poi anche agli Us Open dove si era fermato solo in finale e solo contro Nadal, antico rivale da junior. Così, quest’anno, a febbraio, nella prima edizione del torneo di New York è tornato al vincere una tappa Atp Tour dal 2015 (contro il solito Querrey), a maggio, a Madrid, ha interrotto il tabù dopo dieci sconfitte su dieci nei quarti dei Masters 1000, ripetendosi poi ad agosto a Toronto. Acquisendo comunque una continuità ad alto livello che non aveva mai avuto. Fino a domare Nishikori nella finale di Vienna di domenica, sprintando sul giapponese nella corsa al Masters, e cogliendo il primo successo 500 dopo le altre quattro affermazioni Atp Tour di categoria 250.
Anderson dice cose semplici: ”E’ un risultato fantastico, dopo un anno davvero formidabile, ero arrivato vicinissimo alla qualificazione al Masters già nelle due precedenti stagioni ma non ce l’avevo fatta. E’ entusiasmante far parte del torneo di fine anno coi migliori otto. Per arrivarci devi davvero vincere tanti match importanti contro i più forti del mondo. Eppoi, la O2 Arena, non ci ho mai giocato, ho sentito che è grande che c’è una grande atmosfera, e io ci arrivo dopo aver vinto un torneo come Vienna. E’ una gran bella accoppiata”.
Insieme alla moglie, Kelsey, e all’ex coach GD Jones, il tennista che ha usato la piattaforma del college per finanziarie i primi passi da pro, nel giugno del 2016, ha lanciato un sito web, Realife Tennis, per aiutare gli aspiranti campioni dall’allenamento alla routine, dai trasferimenti ai tornei ai segreti per migliorare tecnica e tattica. Ma lui, per trovare la chiave giusta ed aprire finalmente la porta del successo, il bravo ragazzo sudafricano, timido e taciturno, che aveva quasi timore di usare tutta la sua forza, ha dovuto licenziare l’allenatore, Neville Godwin, che pure l’aveva rilanciato l’anno scorso, ed assoldarne uno coi fiocchi come Brad Stine, ex stratega di Jim Courier. Ma soprattutto si è affidato a un motivatore mentale che gli insegnasse a tirar fuori il suo io più agonisticamente cattivo, come la psicologa dello sport, Alex Castorri. Che già aveva aiutato Simona Halep a superare il tabù Grande Slam, e prima ancora Murray, via Ivan Lendl. Sì, proprio l’ex cecoslovacco che, prima di diventare numero uno del mondo ed aggiudicarsi 8 Slam e 5 Masters, aveva avuto bisogno di tantissimo aiuto per rompere il ghiaccio dopo quattro finali Majors. Da ottimo chitarrista, Kevin, ormai cittadino della Florida, si è esaltato nel suggerimento del suo stratega: “Tratta il pubblico del tennis come se fossi a un concerto rock”. Da cui i continui, insoliti, acuti auto-incitamenti “Right here” (Proprio adesso), che hanno accompagnato ed accompagnano il cambio di marcia di Anderson. Dal numero 80 al 5 del mondo, dall’anonimato al Masters, seguendo i tortuosi percorsi della mente.
Come sempre, “cherchez la femme”.
*articolo ripreso da federtennis