I conti si fanno sempre alla fine, ma mai come in questa stagione il calcio italiano potrebbe conoscere il tripudio del Sud, con lo scudetto al Napoli e due promozioni in A di Bari e Palermo. Potremmo legare gli exploit delle due squadre di B, ora in testa alla classifica, a un riscatto sociale, a una svolta nell’ambito delle politiche e delle competenze o della crescita economica e professionale di due tra le città più grandi del nostro Sud d’Italia. In parte questo può essere vero, ma è troppo spesso il calcio a trascinare al rialzo le speranze di una città e di un territorio, non viceversa. Anche perché Bari e Palermo, nel loro cammino virtuoso, rappresentano una contraddizione: i pugliesi vivono una fase nuova anche societaria, i siciliani, soltanto calcistica (di riflesso dopo la caduta in B) e non societaria. Luci e ombre come sempre. Tuttavia le due squadre rappresentano ciò che vorrebbero essere le città, prime in classifica nei vari indicatori di quel giochino delle vivibilità e della crescita che viene pubblicato ogni anno su quotidiani prestigiosi.
Non può essere il calcio di Bari o Palermo a nascondere il senso di precarietà, di abbandono di una città (disoccupazione giovanile, disagio sociale, criminalità), ma può corroborare una svolta di speranza. Se la caduta dell’Italia, con la mancata partecipazione della nazionale al mondiale di Russia rischia di far precipitare il Pil di un’unità percentuale, volete che la promozione di Bari e Palermo non rappresenti l’inizio di una svolta? Vogliamo dire che non possiamo dare al calcio poteri che sono in carico ad altri.
Bari e Palermo, assieme con il Napoli, hanno rappresentato in passato, vetrine importanti del nostro mondo calcistico. Hanno costruito exploit, si sono rese protagoniste di cavalcate clamorose, ma anche di cadute vertiginose. Il Bari per esempio.
Sotto la gestione della famiglia Matarrese ha segnato anni di grande spolvero agonistico, sostenuto con il mondiale di Italia ‘90, anche da uno stadio (sarà ora riqualificato) che è un gioiello d’ingegneria (qui si disputò la finale per il terzo posto con l‘Italia di Vicini che sconfisse l’Inghilterra). Riempirlo non è mai stato facile e dopo le grandi gioie, gli spalti sono stati rifugio di pochi spettatori, con minimi storici preoccupanti. Una cattedrale nel deserto che per ultimo rivitalizzò Antonio Conte nel 2009, con la conquista della serie A. L’entusiasmo era alle stelle e lo stadio, una bolgia infernale. Dopo la retrocessione fu l’oblio, con l’addio dei Matarrese, l’ingresso di Paparesta (ex arbitro) e infine, dopo una precaria transizione, l’insediamento dell’imprenditore Mino Giancapro, che ha preso per i capelli la società ormai sull’orlo del fallimento. E si era nel 2016, poco più di un anno fa. E qui sta la dimostrazione di come in pochi mesi, con programmazione e professionalità, si possa resuscitare il malato grave.
L’arrivo sulla panchina barese di Fabio Grosso, campione del Mondo in Germania, ex juventino (come Conte, in una staffetta da ricorso storico) ha rigenerato la squadra con oculate scelte di mercato. E con la squadra si è rigenerata anche la città che, con i suoi 325 mila abitanti, regala al San Nicola una media di spettatori di oltre 17 mila unità. Il top del campionato di B. Il torneo è così equilibrato,con una classifica fluida come gelatina, ma Bari sembra avere le carte in regola per ritrovare il suo posto tra i grandi del calcio italiano.
Il Palermo, al contrario, vive la serie B come una parentesi. Dopo la promozione in A nella stagione 2003-2004, la massima serie è sempre stata il suo palcoscenico e da allora questa è la seconda retrocessione da affrontare. Tecnicamente la struttura è solida e il secondo posto lo dimostra, anche se con un nuovo allenatore, Bruno Tedino, 54 anni, che si è fatto valere solo a Pordenone e che ha ora la grande occasione della vita. La spina è rappresentata dalla gestione di Maurizio Zamparini, focoso ed estroverso presidente, che nel bene e nel male ha rappresentato il calcio nell’isola, con più sorrisi che tristezze. Eppure il suo regno sembra al capolinea, tra cessioni annunciate e fallite e con il macigno, pesante, di un’improvvisa richiesta di fallimento. Nonostante tutto, con i risultati che cominciano a far rinascere l’entusiasmo, i tifosi ritornano al Barbera che lo scorso anno avevano abbandonato in massa. Il percorso è lungo, difficile e la stima si guadagna con pazienza anche se le vicende societarie non aiutano.
Per questo è difficile sostenere che alla rinascita di due squadre gloriose, pronte a riprendersi il loro posto in A, possa corrispondere una rinascita o un riscatto delle rispettive città. Certo, la positività aiuta, ingenera un effetto domino, contribuisce a far sgorgare sopite aspirazioni. Bari e Palermo sono state grandi quando le città erano in difficoltà, sono cadute quando le città stavano per risvegliarsi, ora cercano di riprendersi il loro posto in un clima sociale più favorevole ma che non può, da solo, scatenare il riscatto del nostro Mezzogiorno.
Sergio Gavardi