Viva Paolo Lorenzi. Come abbiamo detto fino all’altro ieri Viva Sara Errani. E’ troppo facile essere atleti, ed essere tennisti, alla Roger Federer o anche alla Fabio Fognini, alla Serena Williams o alla Francesca Schiavone. Cioè, partendo da un potenziale tecnico-fisico importante, che si nota ad occhio nudo e scava da solo il primo solco con l’avversario, impressionandolo nella stessa misura in cui dà forza e sicurezza ai giocatori di talento naturale. Troppo facile ordinare al braccio di servire un ace esattamente dove e come occorre, o di calibrare dritto o rovescio sulla riga più lontana dall’avversario, o di colpire la palla sempre in equilibrio col corpo, di avere i centimetri d’altezza e velocità e reattività giuste.
Ma vogliamo mettere con lo sforzo incredibile che ha fatto per salire di livello e per restarci Paolo Lorenzi? A vederlo non capisci come fa, dove trova i “15” che somma pian pianino, come una solerte formichina, edificando game, set, match, tornei, classifica Atp, fino all’onesto record di 33 del mondo di oggi e al record dell’1 agosto dell’anno scorso, quand’ha scavalcato Fognini come primo italiano nel ranking mondiale, ad addirittura 34 anni e 8 mesi. Lui che ha raggiunto la prima semifinale e la prima finale Atp solo a 32 anni, a San Paulo 2014 (cedendo poi a Delbonis), dopo essersi fatto le ossa sul circuito Challenger, dove vanta più di 300 partite vinte (terzo di sempre); lui che, alla quarta finale, s’è guadagnato il primo trionfo Atp, il 24 luglio 2016, a Kitzbuhel, a ormai 35 anni (battendo in finale Basilashvili); lui che ha sfatato il tabù Wimbledon solo a luglio, superando Zeballos ma perdendo poi subito dopo con Donaldson. Lui, Paolo il romano adottato da Siena, che è arrivato tardi al vertice, ma ha messo via comunque 2 milioni 691.886 dollari di premi ufficiali, e s’è preso miliardi di soddifazioni e di rivincite personali, seguendo coach Claudio Galoppini e il buon senso di una famiglia di affermati professionisti, costruendosi passo dopo passo, prima un buon servizio e quindi un dritto, da aggiungere all’intelligenza e alla grinta.
Lorenzi non è fotogenico e non è personaggio, ma è il miglior esempio possibile di impegno, abnegazione, comportamento e progressi del tennis italiano. Fino al punto di esaltare, come faceva un tempo Corrado Barazzutti che, con la volontà, rovesciava le montagne e faceva da forte contrasto col talento purissimo di Adriano Panatta. Lorenzi è il giocatore che ci fa orgogliosi di essere italiani, il simbolo dell’Italia onesta e silenziosa che si alza tutte le mattine per portare i soldi a casa, e non protesta, non urla, non spacca racchette, non ti fa vergognare e porta anche risultati. Al terzo turno degli Us Open di un anno fa si arrese solo ad Andy Murray, ora, alla sesta presenza nello Slam più rumoroso, indisciplinato e incontrollabile, dal cielo al pubblico, dopo aver superato il primo ostacolo Joao Sousa, cancellando il tabù di tre sconfitte su tre precedenti, ha superato in quattro set Gilles Muller, numero 23 del mondo per 6-7 (4) 6-3 7-6 (4) 6-3 in 3 ore e 28 minuti. Un punteggio che, come spesso gli succede, fotografa le sue caratteristiche di guerriero. Rovesciando il pronostico, dettato dalle caratteristiche del 34enne mancino lussemburghese dal gran servizio, alla miglior stagione di sempre, che partiva da 3-1 nel bilancio dei precedenti. E che ha messo giù 20 ace, minacciando di infierire sull’italiano che sembra tanto vulnerabile ma vulnerabile non è che, a Wimbledon ha appena eliminato Rafa Nadal. Alla lunga, punticino dietro punticino, facendo sempre la cosa giusta, sforzandosi, lottando, stringendo i denti, Paolo ha portato dalla sua parte anche il sanguigno pubblico newyorkese, qualificandosi al terzo turno. E sventolando con orgoglio (suo e nostro) la bandiera italiana. Un esempio di cui andare tutti fieri.
Vincenzo Martucci