Le ragazze del rugby compiono l’impresa. Da diversi anni, seppur sostenute da un seguito molto sparuto d’impavidi aficionados, stanno giocando alla pari delle nazionali avversarie, che possono contare su tradizioni ed esperienze naturalmente superiori. I risultati dell’Italrugby in rosa nel Sei Nazioni sono decisamente più soddisfacenti dei colleghi uomini e tali da non permettere a nessun critico d’oltremanica di mettere in discussione la permanenza azzurra nel Sei Nazioni femminile. Ieri sera a Parma però le ragazze di coach Di Giandomenico hanno fatto un ulteriore salto di qualità: mai avevamo superato l’Irlanda, che nella splendida cornice del Lanfranchi (2.500 spettatori muniti di pesanti cappotti per riscaldare il corpo, mentre per riscaldare un ambiente via via sempre più entusiasta ci hanno pensato tricolori e cori continui) ha alzato bandiera bianca al termine di un match di grande impatto emotivo, giocato sul filo di un equilibrio sottilissimo e terminato 29-27 col calcio in fallo laterale di Rigoni che poneva termine alla partita nel tripudio generale.
A dare la meritata attenzione alla Nazionale femminile ha contribuito non poco la diffusione via social (Twitter in primis) degli ultime immagini del match, che in meno di 100 secondi hanno trasmesso benissimo anche ai neofiti l’entusiasmo del pubblico, la gioia e la commozione delle nostre ragazze e gli occhi increduli e attoniti delle avversarie dell’Isola di Smeraldo, capaci nei minuti successivi al fischio finale di complimentarsi con le azzurre ma non di superare l’enorme delusione per la sconfitta inattesa.
Nell’economia dell’intero movimento rugbistico italiano, come può la nostra Federazione ottimizzare il successo della palla ovale in rosa? Questa fase storica del rugby azzurro fotografa un paradosso tanto evidente quanto bizzarro. La Nazionale maschile, ossia la squadra più in vista e potenzialmente in grado di attirare le attenzioni di tifosi e aspiranti giocatori verso il rugby, sta attraversando un periodo di continue delusioni. La grande prestazione degli uomini di O’Shea nella proibitiva sfida di oggi pomeriggio all’Irlanda, n.2 del ranking mondiale e prima antagonista agli All Blacks nella Coppa del Mondo in programma il prossimo autunno in Giappone, non ha evitato il macigno della ventesima sconfitta consecutiva nel Sei Nazioni, con l’ultimo successo datato 2015 (22-19 a Edimburgo). Ora ci attendono l’Inghilterra a Twickenham e la Francia a Roma. La prospettiva dell’ennesimo cucchiaio di legno è estremamente concreta, anzi un successo in una di queste due sfide passerebbe agli archivi come un’impresa sorprendente. A fronte di una Nazionale maggiore in grande difficoltà, abbiamo però oltre a una rappresentativa femminile al suo picco storico anche un Under 20 in grande forma, al di là della sconfitta di ieri con i pari età irlandesi.
Le note positive non finiscono qui, perché il trend in crescita delle due franchigie impegnate in Pro 14 (la Celtic League che mette di fronte i migliori club di Irlanda, Scozia, Galles e Italia) sta avendo quest’anno continue conferme, da ultima il roboante successo dei Leoni di Treviso per 57-7 contro i Dragons (le Zebre di Parma ieri hanno perso ma anche i loro miglioramenti sono evidenti). Scendendo di livello, il campionato italiano sta attualmente offrendo meno delle briciole alla nazionale in termini di giocatori, ma l’allargamento del bacino di giovani cui attingere è un dato di fatto da un paio d’anni a questa parte, come testimoniano i buoni risultati della sopracitata Italia Under 20 e delle quattro squadre del Top 12 impegnate nel Continental Shield, la terza competizione europea per club.
Insomma, dietro una Nazionale la cui emorragia di successi ha finito per raffreddare vistosamente il seguito del pubblico (il passaggio dal Flaminio al ben più impegnativo Olimpico vide un’ottima risposta dei tifosi con diversi sold-out, che oggi purtroppo sono un lontano ricordo e lo stadio si presenta sovente semivuoto – i 50000 spettatori che oggi vedranno Italia-Irlanda sono già un buon piatto, in questi tempi di magra), molte compagini stanno facendo ottime cose, dando al movimento un ossigeno che consente di guardare al futuro non con grande ottimismo ma con ragionevole fiducia.
Dal 2000, anno d’ingresso dell’Italia nel Sei Nazioni, la Federazione ha investito moltissime risorse sulla Nazionale nella speranza di allargare il movimento grazie al traino della squadra più rappresentativa. In questi 20 anni i risultati dell’Italrugby non sono stati all’altezza delle risorse investite e il pubblico, dopo un lungo credito concesso alla squadra, si è progressivamente disaffezionato sempre di più. Ora la sfida diventa opposta: riavvicinare gli italiani al rugby azzurro facendo leva sui successi dei club e delle Nazionali meno in vista, arginando al contempo la caduta della nazionale impegnata nel Sei Nazioni e nella coppa del Mondo. Sembra pretendere sia la botte piena che la moglie ubriaca, ma esiste un’alternativa percorribile in “un paese di fanatici calciofili”, come ci definì il grande Georges Coste, il ct francese che negli anni 90 ci aprì le porte del Sei Nazioni a suon di imprese nei test match contro i giganti dell’allora Five Nations?