Muore nella sua Turi, Oronzo Pugliese, allenatore e personaggio mitologico dell’Italia degli anni Sessanta, soprannominato “il mago di Turi” in seguito alla vittoria del suo modesto Foggia sulla grande Inter del “mago” Herrera.
Accomodante ma energico, scala tutti i gradini del successo con l’entusiasmo tipico di un provinciale.
Usa il dialetto e i proverbi della sua terra, la Puglia, per farsi comprendere o per sdrammatizzare situazioni tragicomiche.
Inizia la carriera da allenatore dalla Sicilia, prima con la Leonzio dove la retribuzione era costituita da alcune ceste di arance, poi passa al Siracusa e al Messina con cui conquista la Serie B.
Le due esperienze più importanti con il Foggia e con la Roma. Con i pugliesi parte dalla C e nel 1963-64 ottiene la storica promozione in A che gli frutta il “Seminatore d’Oro”, premio riservato ai miglior allenatore.
Entra nella storia del calcio italiano quando il 31 gennaio 1965 batte la grande Inter. Conoscendo le qualità della squadra nerazzurra che abbondava di campioni, ordina ai suoi giocatori di aspettare e studiare gli avversari senza esporsi troppo, disponendo strettissime marcature a uomo sulle punte avversarie. Così il Foggia si aggiudica l’intera posta in palio battendo i favoriti per 3-2.
A fine stagione lascia Foggia per arrivare nella capitale e guidare la Roma. La sua è una “Rometta” che vive tre mesi da sogno, espugna Torino battendo la Juventus campione d’Italia con un gol di Capello. Ma appena lui nomina la parola “scudetto”, l’incantesimo svanisce: non bastano la tenacia e l’astuzia di quest’uomo generoso per sorprendere anche il destino. Dopo l’ottavo e il decimo posto con la Roma, nel 1968-69 arriva nono con il Bologna subentrando a Cervellati, nel 1969-70 viene esonerato dal Bari, nel 1970-71 tredicesimo con la Fiorentina subentrando a Pesaola e infine nel 1971-72 settimo con il Bologna entrando al posto di Fabbri.