Cambiare per cambiare proprio non funziona, nella vita, come nel tennis e nel golf. Anche se agli americani piace tanto: ce l’hanno proprio nel Dna. Come se un regolamento fosse un palazzo vecchio da buttar giù e ritirar su in un amen. Così, le regole del golf erano da rivedere, certo, ma avrebbero avuto bisogno di un po’ di prove, di allenamento, per evitare di gettare nello scompiglio i giocatori, fino a ridicolizzare il governo stesso del green.
E’ meglio togliere o tenere la bandiera in buca? Il problema sta guastando i sonni di tanti, con gli statistici – sempre colpa della cultura yankee – che, sfoderando una proiezione via l’altra, complicano ancor di più le cose, senza peraltro saper indicare la via giusta. E’ evidente: se il tiro è perfetto, è meglio non avere la bandiera che magari ostacola la corsa della palla, se invece è velocissima, l’asta la ferma, e quindi aiuta. Ma su questo tema il golf si sta incartando, così come sul tempo, con la nuova indicazione, “Tira chi è pronto” e non più chi ha fatto il punteggio migliore nella buca precedente. Che equivale ad una ulteriore pressione sul limite di 40 secondi a disposizione, e quindi a un maggior numero di errori. Troppi, agli occhi dell’appassionato, trattandosi di professionisti. Anche se la nuova regola forse più contestata è quella del droppaggio: fino alla fine dell’anno scorso, quando dichiarava una palla ingiocabile, il giocatore la prendeva dal terreno con la mano e, dall’altezza della spalla, la lasciava ricadere perpendicolarmente col braccio esteso, mentre, dall’1 gennaio 2019, quest’azione la compie da chinato, ad altezza ginocchio. Per evitare un maggior rotolo all’impatto col terreno che può cambiare il punto finale di atterraggio della palla. Possibilità che i pro contestano, sostenendo che il rotolo può essere di 2-3 centimetri al massimo, e che queste regole costituiscono solo motivo di confusione in chi è abituato da sempre a giocare in altro modo e non intende certo avvantaggiarsi delle situazioni. Così facendo, l’arbitro, che prima era un amico del giocatore, cui dava una mano, sta assumendo sempre più il ruolo di chi è lì per infliggere una punizione. Con evidente danno per il golf.
Intanto, nuove regole o non nuove regole, Francesco Molinari ha vinto il secondo titolo Pga Tour, all’Arnold Palmer. E ce l’ha fatta, “venendo da dietro”, cioè in rimonta, azzerando le perplessità sul cambio di attrezzi e anche del movimento del drive, per guadagnare sul primo colpo dal tee. Chicco non ha il drive di Dustin Johnson, il putt di Fowler, il sand iron di Spieth e la grinta di Tiger, ma con un bell’8 in tutte le specialità è ormai stabile fra i “top ten”. C’è di più, al lavoro squisitamente tecnico ed atletico col suo team di super specialisti, ed alla sua continua ricerca di miglioramento, il torinese aggiunge un paio di caratteristiche decisive. Intanto, come sottolinea su Twitter il direttore tecnico azzurro, Massimo Scarpa, “talent” di Sky: “Chicco è anche e soprattutto un grande uomo, rimasto “umano”, che festeggia una vittoria con un piatto di pasta, una pizza e un buon bicchiere di vino. E che, quando gli mandi un messaggio con paura di disturbare è lui che ti chiede scusa se non riesce a risponderti nel giro di pochi minuti”.
Aggiungiamo che, in modo spontaneo e genuino, non perché è stato indottrinato da qualche manager o alla scuola del golf pro, Francesco ha anche la conoscenza e la passione per il suo sport. Come si è evince dalle dichiarazioni post-gara sul torneo che ha appena ha vinto e sul personaggio cui è intitolato. Qualità, come l’educazione e il rispetto degli altri, che gli vengono dalla famiglia di golfisti da cui proviene. E chi conosce la tradizione, e quindi la storia, è sempre avvantaggiato. Anche se poi – ahinoi – si ritrova ancora la porta sbarrata dal sistema del nostro golf. Dov’è, in concreto, il “Venite, venite”, sul quale sarebbe dovuta essere lastricata lo slogan “Road to Rome 2022”, cioè le iniziative per rendere popolare questo sport verso la prima, storica, Ryder Cup in Italia, al Marco Simone di Guidonia? Che cosa succede, in realtà, ancor oggi, se un anonimo appassionato si presenta alla segreteria di un club per provare a tirare due palline, magari insieme alla famiglia? Intanto, gli rispondono che il sabato e la domenica i campi sono solo per i soci. Quindi gli presentano il salatissimo conto, al buio: deve versare 5000 euro a fondo perduto, più 3000 di iscrizione personale, e 2000 per la moglie, quindi per i figli…. “Alt!”. E’ chiaro che la risposta di un capo-famiglia è automatica: “Andiamo tutti al parco, che non ci costa niente”.
E il grande sogno del presidente illuminato, Franco Chimenti, si è arenato su due parole semplici e scomode, uomini ed idee.