dal nostro inviato a Roma
Una beffa atroce. Una delusione tremenda. L’Italia ha giocato unmatch di grande intensità, fisicamente dominato dall’inizio alla fine, eppure perso a causa di errori nei momenti cruciali ma soprattutto di mete sfuggite per un niente. Raccogliamo il quattordicesimo cucchiaio di legno al termine di un match in cui abbiamo avuto almeno dieci occasioni per andare in meta matra sfortuna, sprechi che gridano vendetta e, non da ultimo, una difesa francese superba e pressochè impenetrabile, non abbiamo trovato la via della meta. La Maginot avversaria è stata impressionante per continuità ed efficacia per tutto il match.
È pur vero che dal 70’ al 77’, con l’Italia sotto 20-14 ma determinatissima e forte della superiorità numerica per l’ammonizione a Chat, la battaglia, a metà tra l’epica omerica e il sublime romantico, imperversava ripetutamente nei cinque metri francesi, vicino alla linea laterale della Tribuna Tevere. In quella fase del match, i francesi ricorrevano sistematicamente al fallo per costringere gli azzurri ad andare in touche. Era infattisconveniente per noi scegliere un calcio da posizione molto laterale quando lo svantaggio era di 6 punti a pochi minuti dal termine. Questo portava a una situazione ricorsiva, un loop: fallo, calcio in touche, ripresa del gioco, fallo e via così per diversi minuti. Potevano starci gli estremi per una meta tecnica (un po’ come accadde nel 2011 a San Siro contro gli All Black, ma anche allora non ci venne concessa) ma la decisione dell’arbitro inglese Carley di non assegnarla è discutibile ma non scandalosa. Insomma, quando hai una caterva di occasioni per segnare la meta e ne porti a casa una sola (quella di Tito Tebaldi al 56’) e su tre sole occasioni degli avversari in tutto il match commetti due errori difensivi, la partita l’hai buttata via tu, pur considerando la grande difesa e lo spietato cinismo francesi.
Anche se ci si è messa pure la sfortuna nera a salvare la Francia nel primo tempo. Un attacco arrembante degli azzurri terminava con un intelligente calcetto rasoterra di Allan verso i pali, ottimamente eseguito. Zanon ci arrivava per primo e stava per raccogliere l’ovale per schiacciarlo in meta, quando un atroce rimbalzo sulla base del palo (chiaramente importata da Parigi…) lo metteva fuori causa e la meta già fatta sfumava. Il pugno scaraventato dall’azzurro contro il palo nemico sembrava la scena al contrario, passando dal rugby al calcio, di quella della finale Italia-Brasile di Usa ’94, quando Pagliuca baciò il palo allora amico, che aveva rimediato a una sua incertezza che stava per costarci un goal. Il palo dà, il palo toglie…
Anche il pubblico ha rivissuto le emozioni dei giorni più belli, come negli anni di Troncon, Castrogiovanni e… Parisse, fino alla beffa finale. Senza l’apporto motivazionale dei tifosi, difficilmente gli azzurri sarebbero riusciti a mantenere quell’intensità davvero da Sei Nazioni dall’inizio alla fine. Spiace dunque aver perso questa partita anche per il pubblico dell’Olimpico, ottimo dall’inizio alla fine, anche quando ha subito coperto con applausi ifischi all’inno francese da parte di pochi ignoranti. Unico appunto, durante il minuto di silenzio fatto osservare per i morti negli attentati in Nuova Zelanda, interrotto quasi subito da applausi certamente sentiti ma non adatti al momento.
Eppure anche il carattere mai domo, contro tutto e tutti, degli azzurri, è stato impressionante. La seconda meta francese al 47’ di Huget arrivava come un fulmine a ciel sereno e poteva avere l’effetto di un montante di Cassius Clay dopo un arrembaggio continuo e sfiancante di George Foreman. Parisse e compagni hanno però continuato a spingere imperterriti, anche perché nella celeberrima Rumble in the Jungle di Kinshasa il pubblico era tutto per Mohammed Alì (come dimenticare l’urlo della folla “Ali Bomaye”?), mentre qui Roma voleva salutare nel migliore dei modi l’ultima all’Olimpico di capitan Parisse.
Hanno influito anche gli errori di Allan dalla piazzola, che pure era partito alla grande centrando i pali ai primi tre tentativi. Dopo però falliva un calcio da posizione centrale (scatenando in tribuna stampa un collega ben poco ermetico seduto esattamente sotto di me: “Li mortacci sua… calcio centrale in mezzo ai pali da 25 metri e lo sbaglia, nun se pò!”) e la trasformazione dopo la meta di Tibaldi, che ci avrebbe permesso di portarci a -1 sul possibile 16-17.
Il Fort Apache italiano si è ripetuto moltissime volte, ma spesso il duello rusticano tra i due fronti nemici si concludeva col pallone schiacciato a terra un pelo prima della linea di meta, sempre più simile a una donna bellissima che alla fine di ogni appuntamento sembra sul punto di capitolare ma poi ti lascia sempre davanti al suo portone chiuso. Fino alla beffa delle beffe. Un’azione corale bellissima si chiudeva con passaggi e manovre che tagliavano orizzontalmente tutto il campo portando l’Italia ad aggirare la Maginot francese e a segnare con Zanon. Il TMO, però, riconosceva il braccio di Penaud che faceva perdere la palla all’azzurro un attimo prima di schiacciare regolarmente in meta. Lo stesso Penaud segnava subito dopo la meta che chiudevail match sul 25-14, negando all’Italia anche il punto della sconfitta sotto break.
PARISSE, L’ULTIMA PARTITA E’ LA PIU’ DOLOROSA
Alla fine della partita, con un’ammarezza impossibile da buttare giù per giocatori e pubblico, lo speaker dell’Olimpico comunicava il man of the match, Sergio Parisse. Il pubblico applaudiva e rullava i tamburi, ma di questo contentino Sergio non sapeva che farsene. Oggi era il giorno giusto per chiudere la sua storia nel Sei Nazioni con una vittoria di grande cuore, sostanza e gioco, invece la chiude con una beffa tremenda e la sensazione atroce di aver buttato via una splendida vittoria. Lo dimostravainequivocabilmente quando alla consegna della medaglia di man of the match se la leva dal collo immediatamente (non era quello il premio che voleva oggi) e risponde con un volto terreo all’intervistatore inglese.
Avete costretto la Francia in difesa per 80 minuti, ma alla fine l’Italia ha perso, perché?
“Difficile trovare le parole dopo una partita così, abbiamo avuto una marea di occasioni, di sicuro io e i ragazzi sappiamo di aver giocato una grande partita e di aver inorgoglito il nostro pubblico, ma la delusione è enorme per questa sconfitta”.
In conferenza stampa Connor O’Shea non usa mezzi termini: “Incredibile aver perso la partita, abbiamo avuto 10-11 opportunità. È durissima. Sono distrutto. Crediamo comunque che il gruppo durante il Sei Nazioni abbia dimostrato che siamo vicini a questo livello. I ragazzi li vedo sempre incredibili nell’applicarsi in ogni allenamento e partita. Io devo guardare avanti, abbiamo molti giocatori ottimi che non c’erano oggi e che ci saranno utili in Giappone”.
Tocca a capitan Parisse, visibilmente provato: “Non riesco a capacitarmi di avere perso, alcune occasioni sono sfumate in modo pazzesco, ma in alcuni momenti decisivi, l’esecuzione non è stata precisa: su questo dobbiamo continuare a migliorare perché non c’è altra strada a questi livelli. Siamo però cresciuti moltissimo a livello fisico. Perché abbiamo scelto di non andare mai per i pali? La scelta che fai è sempre buona se va a buon fine, altrimenti no. Oggi avevamo sensazioni che ci suggerivano di andare in touche perché eravamo molto carichi”. Gli fa eco il nostro ct: “Sono d’accordo al 100%, a questi livelli dobbiamo mettere costante pressione all’avversario. Quando hai diverse occasioni e non le sfrutti, insisti a testa bassa ma anche inconsciamente è inevitabile che la tensione aumenti, ecco perché non siamo riusciti a dare alla Francia il colpo del KO. Spero che Ghiraldini possa riprendersi presto (è stato portato via dal campo in barella e poi dopo la medicazione ha seguito la fine del match in stampelle: si teme una probabile lesione ai legamenti di un ginocchio, ndA), la sua presenza è per noi molto importante”.
Viene chiesto a Sergio se in 130 partite con l’Italia ne avesse mai perso una come questa, con la palla sempre in mano e tutte queste occasioni. “Ne ho perse parecchie, difficile ricordarle tutte… è importante anche farsi una risata. Tornando serio, se a voi rode, vi assicuro che non siete nemmeno vicini a quanto possa rodere a noi. In certi momenti abbiamo giocato come cavalli, senza lucidità, ma anche senza fortuna. A fine partita…”
Sergio si ferma, è molto stanco e non riesce a trattenere le lacrime: “Scusate”. La sala stampa gli tributa un applauso. “Ho nelle mente Leo (Ghiraldini, ndA) con le stampelle, deluso per la vittoria sfuggita, sofferente sia per l’infortunio sia per come è arrivata la sconfitta. È stata un’immagine molto dura, specie se penso a tutti i sacrifici che io e lui abbiamo fatto per arrivare fin qui. Ora però dobbiamo accettare tutto, lo sport ce lo insegna. Guardiamo avanti: non m’interessa cosa si dirà e si dirà da qui alla Coppa del Mondo, che almeno nel girone a 5 squadre è meno difficile del Sei Nazioni, io e i miei compagni abbiamo la ferma convinzione di poter raggiungere il nostro sogno e faremo di tutto per farcela”.
Questa beffa può insegnare molto a tutti, ma soprattutto può dare agli azzurri quella rabbia che potrebbe essere molto utile alla Coppa del Mondo in Giappone, quando cercheremo di raggiungere i quarti di finale per la prima volta nella nostra storia.