Da Marco Cecchinato a Fabio Fognini, per citare i migliori in classifica, gli Azzurri nel circuito Atp non mancano. A loro si aggiunge Nicola Arzani, che non rientra nella schiera di giocatori, ma ricopre un ruolo prestigioso: è vicepresidente senior di Relazioni pubbliche.
Arzani è il referente di tutti gli atleti, ma proprio tutti, quando c’è di mezzo la stampa: figurarsi quanto sia impegnato durante i tornei. La dimostrazione? Durante questi giorni al Rolex Masters di Montecarlo riuscire a incontrarlo è stata un’impresa. Nonostante la sua disponibilità totale: da impeccabile supervisore qual è, ha faticato a ritagliare qualche minuto per l’intervista. “E pensare che mai mi sarei immaginato che il tennis diventasse un lavoro a tempo pieno” racconta nel suo ufficio, tra un’occhiata e l’altra allo schermo collegato in diretta con il Court Ranier III.
Come ha cominciato?
“Per passione, a 24 anni. Studiavo Giurisprudenza, pur sapendo che non sarei diventato avvocato, e sfruttavo le vacanze per andare alle partite. Non come spettatore: mi interessava introdurmi nell’ambiente. Ho cominciato a dare una mano nel 1992, al Roland Garros. Da lì mi si è aperto un mondo: ho inviato il curriculum a fine anno e, dopo il colloquio a Francoforte, sono stato assunto. Il mio primo vero torneo è stato a Doha, a inizio 1993”.
Da allora sostiene la tabella di marcia intensissima dei giocatori.
“Sì, sono presente a tutti gli appuntamenti del Grande Slam e ai Master 1000, ormai vita e tennis viaggiano di pari passo. Se ricevo un invito a un matrimonio nelle settimane di Wimbledon, devo rinunciare; i weekend non esistono e le ferie canoniche nemmeno. L’unica festa libera è rimasta Natale, ma parto subito dopo per l’Australia: l’Open chiama e io rispondo. Con lo stesso entusiasmo degli inizi: a chi non piacerebbe essere a Melbourne, quando qui è pieno inverno?”.
Segue anche la disciplina ferrea dei giocatori?
“Abbastanza. La dieta, per esempio, considerato che viaggio di continuo e finisce che mangio a qualsiasi orario. Ho imparato a non esagerare e a non cenare tardi, così dormo meglio e recupero le energie”.
La dote indispensabile per svolgere il suo lavoro?
“Un mix di diplomazia, pazienza e intuizione nell’anticipare le richieste. Poi, certo, serve dedizione assoluta, ma l’amore per ciò che faccio vince su ogni rinuncia”.
Giocavo a tennis?
“Giocavo: purtroppo non prendo in mano la racchetta da un anno per mancanza di tempo, ma mi sono ripromesso di tornare presto in campo”.
Ha mai sfidato qualche campione?
“Ho fatto qualche scambio con Raffaella Reggi, Xavier Sanchez e Laura Arraya. Non perché l’avessi proposto, non riuscirei mai ad avanzare una richiesta del genere: mi hanno inviato loro a entrare in campo e ho accettato subito”.
Se dovesse descrivere il suo mestiere in poche parole?
“L’obiettivo è promuovere i giocatori e dare visibilità a loro e all’Atp attraverso i media, che si tratti della copertina di una rivista o di un servizio in tv: sono finiti i tempi delle semplici conferenze stampa. I giocatori stessi hanno cambiato mentalità e si rendono conto che, grazie alla notorietà, nascono splendide opportunità”.
L’ultima?
Qui a Monaco i migliori hanno ricevuto l’invito del principe Alberto a raggiungerlo a palazzo: non era mai capitato ed è stata un’esperienza straordinaria. A Miami, invece, avevano partecipato al progetto di beneficenza ‘Miami Open Unites’. Trenta, tra uomini e donne, si sono suddivisi gli incarichi di distribuire i pasti agli indigenti, visitare un ospedale infantile e un canile: Sascha Zverev ha adottato proprio in Florida il suo secondo amico a quattro zampe. Tutti i giocatori sono stati entusiasti dell’iniziativa: hanno capito che e è loro dovere restituire ciò che hanno ricevuto dallo sport e che il loro piccolo contributo può fare la differenza”.
Il giocatore più disponibile che ha conosciuto?
“Difficile nominarne uno. Dico solo che questa apertura al mondo, un’evoluzione/rivoluzione, è nata a fine anni Novanta sotto il nome di ‘Star Program’, con Roger Federer come capostipite, cui si sono aggiunti presto Rafael Nadal e Novak Djokovic. Sono stati loro a dare il buon esempio, che i giovani di oggi imitano”.
La sua soddisfazione più grande?
“Resto nelle nuove leve. Di recente la madre un giocatore della Next Gen mi ha invitato a cena per ringraziarmi del supporto al figlio. Ha apprezzato molto il nostro sforzo di supportare i giovani a inizio carriera. Dal punto di vista umano, oltre a quello pratico”.