Tutte le strade conducono a Roma, anche nel tennis italiano. Da nord a sud, come dicono i vari gruppi privati che hanno messo la loro brava bandierina per lo Stivale e stanno facendo passerella a questi Internazionali d’Italia, come riassumono le famiglie dei liguri Fognini e dei pugliesi Pennetta, stretti stretti nella fredda serata al Foro per abbracciare Fabio. L’eroe nazionale cui la griffe Giorgio Armani ha regalato un pensierino unico, con lo Skyline della Capitale sulla T-shirt.
“Una su sfondo bianco e una su sfondo nero, ho pensato che avrei giocato anche di sera e hanno sposato la mia idea. Ho contribuito anch’io”, racconta il numero 1 italiano, con gli occhi che sprizzano orgoglio e sentimenti più che mai. Responsabilizzato al mille per mille da quest’altra avventura al Foro Roma, da primo della classe delle racchette nostrane, da campione maturato a 31 anni: “Dopo il sogno di Montecarlo, c’è il sogno Roma, il torneo che tutti i tennisti italiani vorrebbero vincere, ma che è molto difficile vincere”.
Ma stavolta c’è di più. Dopo aver rotto il ghiaccio l’anno scorso, toccando i quarti e, soprattutto, conquistando l’appassionato, veemente, anche violento e spesso decisivo pubblico di casa, Fabio Massimo – speriamo Conquistatore – ha un’arma in più da sfoderare. “Ho imparato ad accettarmi”, rivela dopo aver sfatato dopo quattro sconfitte il tabù-Tsonga. Perché l’annata non era cominciata bene, perché non riusciva a travasare il lavoro in partita, perché la frustrazione stava soffocando i desideri e le motivazioni. Ma a Montecarlo è riuscito a mettere insieme i tasselli del puzzle e a rilassarsi due volte: ha vinto vicino casa, ha vinto soffrendo, rimontando, lottando, ha vinto un torneo Masters 1000, uno di quelli Doc, da ricordare per tutta la vita, da togliersi gli schiaffi da faccia. Dopo troppe ore passate dietro la lavagna come un impenitente Pierino, ormai schiavo del personaggio.
All’esordio di lunedì, il padre-marito di Arma di Taggia non è stato sicuramente in spolvero. Bloccato, anche, da un problema muscolare che solo dottor laser Parra conosce. Ma è comunque riuscito a togliere potenza dai piedi e dal braccio del Moro di Francia, spostandolo e ubriacandolo di effetti e diagonali, con la perizia da “top ten” che gli è sempre stata riconosciuta da tutti, sia pure a corrente alternata, coordinata ai suoi stressa da tensione. Ma che ora, da numero 12 – “il mio miglior ranking” – si staglia come un Eldorado davanti ai suoi occhi. “Conosco Jo, so che in qualsiasi momento lui può tornare in partita, infatti sul 4-1 al secondo set ha cominciato a tirare ed è arrivato il 4-3. E’ stato importante portarla a casa. Sto mantenendo un certo livello, di concentrazione che, fino a un po’ di tempo fa era mancata”.
Fabio ha sempre qualche dolorino, qualche problemino: un po’ perché è un tennista molto fisico, con una velocità di piedi e di mani fenomenali, un po’ perché somatizza le enormi tensioni dello “sport inventato dal diavolo”. Figurarsi quant’ha ripensato, nella lunga vigilia del match allo struggente precedente con Tsonga di Montecarlo 2014, quand’era avanti un set ma subì un autentico black-out di nervi, fallendo l’ingresso nei primi dieci.
Una coccarda mondiale che al tennis italiano maschile manca dal 22 gennaio 1979, con Corrado Barazzutti. Il successo a Roma manca invece dal 1976, con Adriano Panatta. Ma quella è un’altra storia, più difficile da scrivere, e ancora lontana altre quattro partite. Anche se tutte le grandi avventure nascono proprio dal conoscere i propri limiti ed accettarli, come Fabio dice di aver capito. Non si può sempre giocar bene e dar spettacolo, non si può sempre prendere 10, ma un torneo è una corsa a tappe e l’importante è vincere, comunque, per poter migliorare il, giorno dopo. Poi arriverà l’aiutino di Roma e del suo pubblico sempre più appassionato. E vorace.
*articolo ripreso da Supertennis.it