Come a molti, capita anche a me – di tanto in tanto – guardare all’indietro, rivolgersi al mondo che non c’è più, anche per rassicurarmi, per trovare conforto al desolante (lungo) periodo che attraversiamo, privo di certezze, innervato di improvvisazione e oppresso da un angosciante vuoto morale. Così, ogni tanto, vado a rileggere qualche vecchio articolo che ho conservato. Esercizio che mi capita sempre più di frequente (d’altro canto mia madre, orgogliosamente maestra, mi ripeteva che prima di scrivere, bisogna leggere, e molto: una massima cui ancora oggi cerco di restare fedele). Tra le tante fortune della mia vita da mediano (quanti assist sprecati da parte di centravanti improvvisati …) annovero proprio l’aver conosciuto, e frequentato, alcuni grandi del giornalismo d’un tempo, artigiani e interpreti di un nobile mestiere scomparso da tempo.
Tra loro, ai primi posti, metto Candido Cannavò, a capo della Gazzetta dello Sport “per diciannove anni, dal 1983 al 2002”, come ha scritto il mio vecchio amico Elio Trifari – che gli è stato accanto per vent’anni ed oltre – presentando un libro uscito da poco, volume inaugurale dei Saggi Solferino: “Storia sentimentale dello Sport italiano”, il titolo. In quelle pagine sono raccolti ed ordinati alcuni dei più significativi articoli di Candido, esemplari storie di uomini e donne d’un recente passato.
Un libro la cui lettura mi sento di consigliare a molti degli attuali reggitori dello sport nazionale, equamente divisi tra chi, eletto, dirige le istituzioni e quanti, calati dall’alto, operano e riferiscono alla politica che oggi guida il Paese. In particolare, mi sia concesso l’ardire, lo consiglierei ai componenti della Triade che ha preso possesso del “palazzo” dello sport e che poco o nulla conoscono della materia che dovranno amministrare per i prossimi anni. Non per colpa loro, direi. Ma mi rendo conto che questo sarebbe chiedere troppo.
Tornando a Cannavò e ai suoi scritti (molto meglio che articoli), me ne è capitato i questi giorni uno di cui voglio farvi partecipi e che non figura nel libro di cui sopra. Questo ne è un profetico estratto:
“Cari amici, io penso che non farò in tempo a leggere la Gazzetta del 2016. Ma, credetemi, parola più, parola meno, è come se l’avessi sul tavolo. Vivo la stagnazione dirigenziale del nostro sport come un fenomeno irreversibile. Tutti i personaggi che oggi governano il nostro amatissimo mondo – Carraro, Pescante, Matarrese, Petrucci, Galliani, Abete – sono entrati nella grande scena dai trenta ai quarant’anni fa, ci pensate? E il poco o nulla che si è mosso in mezzo secolo è stato determinato da un funerale. Se lo decide Iddio da lassù, be’, nulla da fare. Ma sulla Terra no, nessuno si sacrifica per rigenerare questo sistema chiuso, sterile, grigio e felice.”
Dimenticavo: questo scritto porta la data del 10 ottobre 2004: non è un refuso, avete letto bene, eravamo all’indomani dei Giochi di Atene. Nella realtà Candido non fece in tempo a leggere il suo giornale del 2016. Come i guerrieri antichi – lo ricordo per i distratti – è caduto molto prima sulla trincea che aveva difeso per tutta l’esistenza. Era il 22 febbraio del 2009. Tutti coloro che aveva citato – ma altri se ne potrebbero aggiungere e andrebbero doverosamente aggiunti – sono ancora tra noi.
A quattro quadrienni da quei giorni, quello scritto ha una sinistra attualità. Soprattutto sottolinea la congenita incapacità dei capi del nostro sport ad affrontare la realtà del cambiamento, l’esigenza di adeguarlo alle mutazioni in corso. Sarà anche per questo che oggi lo sport italiano rischia di perdere la sua indipendenza. Senza accorgersene e senza opporvisi. Mi chiedo solo: cosa avrebbe scritto oggi Candido, di fronte alle decisioni della Triade?
Gianfranco Colasante
*articolo ripreso da http://www.sportolimpico.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2426:italian-graffiti-&catid=1:focus