“Lasciare la WorldSBK, nel 2015 con la vittoria in Qatar, seconda manche dell’ultima tappa della stagione, non era stato un boccone facile da mandare giù. Tornare quest’anno da campione in carica della British Superbike è stato il modo migliore” racconta Leon Haslam. “Pocket Rocket”, il soprannome deriva da quello di papà Ron (“Rocket Ron” grazie alle sue partenze a razzo, tre titoli mondiali tra Formula 1 TT, Formula 3 TT e ITV Superbike Series), 36 anni, ha preso il posto di Tom Sykes nel Kawasaki Racing Team e divide il box con Jonathan Rea, fenomeno da 4 Mondiali conquistati di fila, compreso quello del 2018.
La decisione di diventare compagno di Rea è stata coraggiosa.
“È stata l’opportunità migliore della mia vita. Nel 2010 avevo terminato il campionato secondo, su una Suzuki privata, risultato che nessuno si sarebbe aspettato; sono salito sul podio, anche sul gradino più alto, con sei factory diverse, ma non avevo mai avuto a disposizione un pacchetto vincente. Ora, finalmente, faccio parte di una scuderia fortissima”.
Avevi ricevuto altre offerte?
“Sì, varie, anche negli anni scorsi, ma da squadre che non erano abbastanza competitive”.
Come hai trovato il Mondiale, a distanza di tre stagioni?
“Diverso, perché l’evoluzione continua di anno in anno. Le persone sono le stesse, il livello è identico, però ciascuno massimizza il proprio pacchetto e progredisce. La Ducati ha fatto il salto più grande e rappresenta il nuovo punto di riferimento e il mio lavoro è stare al passo della ‘rossa’, che con Álvaro (Bautista, ndr) è davvero impressionante”.
Qual è tuo il bilancio, a metà stagione?
“In classifica non mi trovo dove sarei voluto ma, al tempo stesso, il mio obiettivo iniziale era piazzarmi i top five e sono quinti. Ho avuto dei problemi che hanno compromesso alcune gare e non mi perdo d’animo: il podio è a portata di mano”.
Nemmeno 22 anni di paddock ti hanno tolto l’entusiasmo.
“Per forza, è il mio ambiente naturale: sono cresciuto, quasi nato, tra i box. A 2 anni giravo per circuiti con mio padre e a 4 sono montato in sella e non sono più sceso: più che uno sport, la moto è uno stile di vita”.
Che è diventato quello della tua famiglia.
“Adesso che Ava e Max vanno a scuola, meno: guai, se non entrassero in classe tutti i giorni.
Ti mancano nel motorhome?
“Abbastanza. Mia moglie Oli è stata una presenza fissa per molto tempo e con i bambini si ricreava il clima casalingo perfetto. In compenso, papà continua ad accompagnarmi ovunque: è la mia guida”.
Con Rea che rapporto hai?
“Ottimo: ci conosciamo dai tempi del motocross, nei primi anni 90 e siamo stati compagni nel team Honda, nel 2013 e 2014. Nel 2018, poi, abbiamo partecipato in coppia alla 8 ore di Suzuka, un’esperienza in cui l’affiatamento è d’obbligo. Quando i nostri figli erano più piccoli e ci seguivano in giro per il mondo, giocavano sempre insieme, nei weekend di gara e anche ora sono felici di vedersi”.
Nel 2017 sei stato protagonista di una caduta spaventosa sul circuito di Silverstone. Ci racconti com’è andata?
“I freni non funzionavano più, all’improvviso. Ho pinzato, ma niente, la velocità non diminuiva: viaggiavo a oltre 324 km orari, non è stata una bella sensazione”.
Cos’hai pensato?
“A scendere al più presto, non avevo alternative. È stata una reazione automatica, direi: dalla prima pinzata delle leve al salto è trascorso 1 secondo e mezzo circa. Ero preparato all’impatto violento contro le protezioni e, per fortuna, non ha avuto conseguenze. Una, anzi, sì: ho perso il campionato”.
Quel momento di paura non ti torna in mente?
“No, episodi del genere vanno metabolizzati subito e trasformati in stimolo. Infatti l’anno scorso ho collezionato quindici primi posti, terminato tutte le gare e messo in bacheca il titolo tanto desiderato”.
*Credito Foto: Dario Aio