Quando entri nella casa dei San Antonio Spurs non puoi evitare di leggere una massima di Jacob Riis, giornalista e fotografo sociale dell’Ottocento,appesa a un muro e diventata ormai famosa grazie proprio alla squadra di Gregg Popovich. Recita più o meno così: “quando nulla sembra poterti aiutare, io vado a vedere lo spaccapietre che colpisce forse cento volte una rocciacon la sua mazza senza che venga quasi scalfita. E quando al centunesimo colpo, la pietra si spezza in due, io so che non è stato l’ultimo colpo ad averla rotta ma tutti quelli che l’hanno preceduto”. Pound the rock, battere la roccia, è il concetto alla base della filosofia degli Spurs: costanza e la continuità nel lavoro, giorno dopo giorno, anche quando nulla sembra possa aiutarti. Da romantico della pallacanestro, archiviando la stagione appena conclusa, mi piace pensare che la Reyer Venezia e i Toronto Raptors abbiano vinto il titolo con storie ovviamente molto differenti ma tutte e due figlie di quel picchiare incessante, al pound the rock.
Vero, Venezia ha già conquistato lo scudetto anche due anni fa mentre i Raptors sono una new entry assoluta nell’albo d’oro della Nba. Però, in fondo, raccontano la stessa storia. Nessuna squadra in Italia ha avuto una continuità nel roster come Venezia, a parte forse Trento. Qualcuno brontolerà dicendo che trattenere i giocatori migliori è un lusso che solo i ricchi possono permettersi, concetto valido ma che neppure Milano, potendoselo permettere, ha mai messo in pratica. In una società dove Federico Casarin è g.m. da quando è stata reinventata da Luigi Brugnaro e Walter De Raffaele è arrivato nel 2011 come vice chiudendo col secondo scudetto la terza stagione e mezzo come capo allenatore, c’è un gruppo di giocatori solido e consolidato formato da Bramos, Tonut, Haynes e Stone, pur andato e tornato, già protagonisti del titolo 2017, i primi due presenti anche nel campionatoprecedente. Haynes, Daye, Watt, De Nicolao e Cerella si sono aggiunti nel 2017-18. Stagione non straordinaria per una squadra con lo scudetto addosso. Altri avrebbero cambiato tutto, del resto più hai possibilità economiche più ti viene voglia di andare sul mercato per risolvere i problemi o darti una possibilità in più. Il cartello “pound the rock” non starebbe male al Taliercio. Perché nel mondo globalizzato si può anche fare bingo costruendo una squadra perfetta che nasce e vince subito, magari con un allenatore arrivato a febbraio. Ma il significato del successo di Venezia è molto più profondo e va compreso anche nei momenti più difficili. Perché la Reyer è un diesel, fragile finora quando si è giocata la vita e la morte in una partita, mentre è molto più performante nei playoff lunghi dove, per come è stata immaginata e costruita, è la più pronta a cambiare e ad adeguarsi (sottoscrivo quello che ho già scritto su Gianmarco Pozzecco: col suo gioco che ha restituito al basket moderno l’area, l’utilizzo del pivot e il post basso, rappresenta la grande novità tecnica di questo campionato. Ma mentre Milano non ci ha capito niente, Venezia ha sofferto all’inizio della serie e poi ha negato a Sassari le sue armi migliori).
Toronto, apparentemente, racconta una storia diversa. Ma come Venezia, ha spesso impilato tante vittorie in stagione regolare senza poi confermare appieno la sua ottima stagione nei playoff (o per quanto riguarda la Reyer, alle Final Eight o a livello internazionale) anche perché, per tre anni di fila, si è trovata la strada sbarrata da LeBron James. Inserita la scorsa estate una stella di primissima grandezza, Kawhi Leonard, i Raptorshanno corretto il tiro a metà stagione con l’arrivo di Marc Gasol. Detto così, sembra l’opposto del “pound the rock”.In realtà, è la sua apoteosi. E’ dal 2013 che Toronto lavora per costruirsi in casa una squadra da titolo, nonostante la strada tracciata negli anni precedenti con Andrea Bargnani, Demarr DeRozan e Jonas Valanciunas, tutte prime scelte dei Raptors, non avesse pagato. Della squadra campione Nba, Kyle Lowry è in Canada dal 2012, Norman Powell è arrivato da rookie nel 2015, Pascal Siakam e Fred Van Vleetnel 2016 stagione in cui si è aggiunto anche Serge Ibaka. E coach Nick Nurse, debuttante in panchina, è nell’organizzazione dei Raptors dal 2013. Nel 2017-18 tutti i migliori giocatori di Toronto erano nati professionalmente in quella franchigia. Poi, tanto di cappello al g.m. Masai Ujiri che, quando il mercato ha messo a disposizione uno dei tre giocatori più forti del mondo, è riuscito a prenderlo pur dovendo privarsi della sua stella, DeRozan. La fortuna, ovviamente, ha fatto il resto, perché con Kevin Durant, e lasciando perdere gli altri infortunati, Golden State avrebbe rivinto il titolo perché, semplicemente, più forte. Però per vincere è necessario essere al posto giusto e pronti quando le cose belle stanno per accadere. Certo, KawhiLeonard, silenzioso e imperscrutabile come sempre, potrebbe rappresentare il più clamoroso “one and done” della storia Nba e andare via, dopo una sola stagione, dalla squadra che ha portato per la prima volta al titolo. Anzi è altamente probabile anche se i Raptorspotrebbero garantirgli più soldi delle avversarie. Ma il cuore dei campioni resterà lo stesso e pagherà anche in futuro così come mi auguro che la Reyerche avrà lo scudetto sulla maglia siala più simile possibile a quella che lo ha conquistato. Visione, lavoro, continuità, attaccamento alla squadra, capacità di uscire assieme dai momenti più difficili, cambiare giocatori che ti hanno dato tanto solo quando è arrivato il momento giusto per tutti e due, come Venezia ha fatto con Peric, dopo 5 anni assieme. Non è questo lo sport?