Matteo Berrettini non è ancora pronto. Non lo è per Roger Federer, il suo idolo peraltro in gran forma, non lo è per il Centre Court di Wimbledon e non lo è per i quarti che poteva raggiungere in un torneo dello Slam. Ma, al di là dell’indimenticabile 6-1 6-2 6-2che rimedia in appena 74 minuti,sta imparando. Lo sa lui, lo sanno le ottime guide che ha attorno, dal coach storico, Vincenzo Santopadre, a quello itinerante targato Fit, Umberto Rianna, lo sa il pubblico che l’applaude, convinto, per gli sprazzi sia pur sporadici che il romano regala come un servizioscaccia-frustrazione addiritturaa 225 all’ora. Matteo non ha ancora l’esperienza, ma ha l’intelligenza che l’aiuta a capire ed è la dinamo della suacrescita costante. Così come possiede l’umiltà e l’educazione che gli fanno sopportare la batosta. Con la mezza battuta che fa al Magnifico, condendo la stretta di mano e le pacche sulle spalle sul net a super Roger (“Grazie per la lezione”), con i complimenti del fratello, complice, Jacopo, anche lui tennista pro (“Sono fiero di te”) e col pronostico di John McEnroe, anche dopo la batosta con Federer: «A fine anno Matteo entra fra i “top ten”. Bello, no, Matteo? “L’ho incontrato in palestra l’altro giorno, mi ha detto che mi aveva visto giocare e gli ero piaciuto. Beh, fa piacere che gente di questo calibro mi segua”.
Alzi la mano chi non avrebbe sbroccato almeno un po’ davanti al dio del tennis in giornata di grazia: “Ti toglie il tempo anche quando gioca piano, è diverso, è unico, è qualcosa di inspiegabile. E’ stato troppo più bravo di me”. Alzi la mano chi non avrebbe scagliato via almeno una volta la pallina, chi non avrebbe gridato al cielo la sua impotenza, chi non avrebbe imprecato. Anche per l’oscurità che non faceva vedere più nulla. “Alla fine ho chiesto a Roger se ero io o se davvero era tutto così scuro”.
La partita non è mai cominciata. Matteo ha provato la stessa sensazione di impotenza che aveva avvertito nel 2015 quando aveva scaldato due volte Roger a Roma prima dei suoi match. Con in più la tensione, l’emozione per tutta l’insolita situazione: “Tutte cose normalissime che sarebbe strano se non ci fossero”. Un insieme di cose che l’ha schiacciato: “Wimbledon, il Centre Court, Federer, non capivo bene quello che mi succedeva…”.Anche perché quel satanasso di svizzero gli giocava “sempre velocissimo”. Mentre Matteo era “stanco per le tante partite dell’ultimo mese e ancor più privato per quella contro Schwartzman”. Anche se puntualizza più volte: “Non ho certo perso per quello”.
Il primo set è volato, inappena 17 minuti, con RogerExpress che ha ceduto un solo punto alla battuta. Il calvario è stato disseminato da 23 errori gratuiti (contro 5), e da un servizio troppo povero (solo il 45% di prime in campo), oltre che da tre svirgolate clamorose, addirittura imbarazzanti, come lo smash smanacciato, la volée solo da appoggiare e invece affossata a rete e il facile dritto da picchiare duro che si è tramutato in uno scivolone da principiante. Lui, il Berrettini che, quest’anno, si è scoperto anche erbivoro aggiudicandosi il torneo di Stoccarda e toccando le semifinali ad Halle. Ahilui, s’è ripetuta la situazione al debutto a Roma, contro Fognini. “Ma, come dissi allora, le “sveglie”servono. E questa mi sarà utile per il resto della carriera. Ho la sensazione che, con Federer, se ci giocassi cinque/sei volte forse potrei far meglio”. Benedetta esperienza: “Stiamo parlando di uno che ha vinto 351 partite negli Slam: io neanche le ho giocate in tutta la vita».
Lunedì Matteo salirà forse al 18 del mondo, ma non è fondamentale. Molto più importante è la crescita costante del tennista e dell’uomo. E’ il comportamento, è la capacità di essere presenti a se stessi, è farsi apprezzare anche nelle giornate-no, è guardare sempre avanti. Alla prossima, Matteo.
Non ci siamo dimenticati: 23 anni contro 37 non sono un dettaglio, sono il tutto. Il futuro è di Berrettini.