L’accordo organizzativo fra il Coni e la nuova società “Sport e Salute” è sempre più complicato. Gli ordini di servizio della politica che si appropria della Scuola dello Sport e degli organi della periferia non trovano assolutamente d’accordo il presidente Giovanni Malagò, e così la Giunta Coni di martedì rischia di creare una nuova, più decisiva, spaccatura. Abbiamo intervistato sul delicato tema Francesco Ricci Bitti, già tennista, manager, presidente della Federazione italiana tennis e anche di quella mondiale, oggi membro del Cio, il Comitato Internazionale Olimpico, e anche della Giunta Coni.
Questa riforma del Coni era necessaria?
“E’ giustificata, questa è la parola giusta, e lo sarebbe stata già dal 2003, immediatamente dopo la legge Tremonti che costituì una società di diritto privato sia pure di proprietà del ministero del tesoro perché era venuto meno il contributo automatico del Totocalcio. La prima cosa da fare sarebbe stata quella di istituire una divisione di mansioni e di competenze fra la società di diritto privato che non a caso si chiamò Coni Servizi e l’istituzione, cioè l’ente della politica sportiva, l’ente di riferimento del Cio. L’attuazione, almeno nei termini attuali, attuativi, è inaccettabile, al momento”.
Perché, si può ancora intervenire sulla legge?
“Sì, anche se è stata approvata si può sempre modificare. Ci sono due aspetti. Uno di quadro giuridico, che è la legge delega, e una di quadro organizzativo, che è la famosa divisione dei compiti”.
Perché è inaccettabile?
“Guardando al passato, sia la gestione-Petrucci sia la gestione-Malagò non hanno ritenuto di fare quello che sarebbe stato necessario, con questa divisione dei compiti. Nell’era-Petrucci, addirittura attuando un’identità promiscua fra la società di diritto privato e il Coni: praticamente si identificavano, con il presidente, Petrucci, e il segretario generale del Coni, Pagnozzi, come amministratore delegato, cioè con le stesse cariche di vertice nella Coni Servizi, e quindi con un evidente conflitto d’interessi,totale. Ed è quindi singolare che sia proprio di lì che viene qualche voce favorevole alla riforma”.
Malagò ha fatto un po’ meglio.
“Almeno formalmente ha fatto un passo avanti: ha fatto un presidente e un amministratore delegato diversi da quelli del Coni. Questo avrebbe dovuto essere il prodromo di questo chiarimento che però non c’è stato e quindi adesso arriva di forza, come un colpo di mano. Il cambiamento, però, era solo formale, non sostanziale, si è continuati avivere in questa società identità fra una società di diritto privato, che non è mai giusto, e l’istituzione, il Coni, olimpico, che deve fare la politica sportiva, che deve proporre le leggi che riguardano lo sport. Cioè le funzioni normali di un comitato olimpico, che prepara le squadre olimpiche, che si occupa dell’high performance, che è la federazione delle federazioni, concetto importantissimo”.
Quindi non è una questione di chi distribuisce i soldi.
“Infatti, in un certo senso la distribuzione dei soldi che oggi viene tolta al Coni e viene data a “Sport e Salute” non è molto importante, quello che è importante è il controllo della politica sulla politica sportiva delle federazioni. I soldi li può anche distribuire un altro così come avviene in Germania ed in altri paesi, li può anche dare Giorgetti, il governo, anche perché vengono da lì. Il dramma non è quello. E’ il concetto di chi controlla quello che fanno le federazioni”.
Sport e Salute ancora non è entrata davvero in attività.
“I primi ordini di servizio della nuova società non vanno nella direzione giusta perché si arrogano mansioni che non dovrebbero essere di competenza prima di tutto di una società di diritto privata, sotto il piano giuridico è discutibile. Secondo, guardando gli ordini di servizio che ha fatto mister Sabelli si può anche lamentare la modalità che è da paese sovietico. Perché arriva uno dei manager che vengono chiamati quando c’è un posto, il qual che non ha alcun background sportivo che si arroga il diritto di esercitare funzioni che sono assolutamente delle istituzioni. Sul territorio, sulle regioni, sui comitati regionali”.
Faccia un esempio.
”I centri di preparazione olimpica: l’asset è giusto che vada in quella società, come la sua manutenzione, e parlo da manager, ma gli atleti che ci vanno li decide l’istituzione, cioé il Coni. Non può deciderlo questa società qui. I muri è giusto che vadano nella società. Oggi invece questi organi di servizio rendono tutto confuso, mi auguro che si possa migliorare. Ma la partenza è assolutamente pessima”.
In futuro il Coni dovrebbe occuparsi solo dello sport olimpico.
“Si approfittano un po’ di questa incertezza, di una legge delega scritta male, da molte mani, da molti partiti, che dice cose assolutamente contraddittorie. Dice che il Coni istituzione potrebbe commissariare una federazione e al tempo stesso gli dà poteri solo per lo sport olimpico, neanche per l’alta prestazione, solo per lo sport olimpico. Che non so cosa vuol dire: che lavorano ogni quattro anni e il resto del tempo riposano? Per fare un esempio dell’incongruenza di una legge alla quale bisognerebbe rimettere mano. Ma il problema più grosso è quello organizzativo ed operativo che è partito in modo totalmente sbagliato”.
La coesistenza di queste due entità è davvero problematica.
“Oggi come oggi siamo chiaramente a un livello di interferenza del governo sull’autonomia sportiva. Un concetto che è cambiato, nel tempo, e non è più assoluto, è funzionale nel rispetto delle leggi di un paese. Per esempio, l’autodeterminazione, che è quasi fisiologicamente è il primo concetto dell’autonomia: io sono un eletto, sono al vertice di una piramide, Sabelli no, è stato messo lì e diventa più bravo di tutti gli eletti. E questo non va bene”.
Come si viene fuori da questa situazione?
“Cercando di avere “mutualunderstanding”, come dicono gli inglesi, bisognerebbe capire le esigenze della istituzione e le esigenza della società di servizi che, a mio avviso, si dovrebbe concentrare proprio sui servizi necessari al Coni e alle federazioni. A questa società, già nel nome, manca una parola totalmente, Educazione, che , insieme alla Salute sono le grandi attività di base carenti in Italia. Nessuno al Coni vuole occuparsi della salute e della scuola, che è sempre stato un tema, anche se il Coni ha tentato di supplire alle carenze della politica: quelle cose lì le dovrebbe fare questa nuova società, perché sono funzioni politiche. E poi dovrebbe occuparsi come anche di tutti i contratti, dagli Internazionali di tennis allo stadio Olimpico. Scuola ed educazione, scuola e salute sono assolutamente funzioni dell’attività di base, funzioni politiche non sportive. Ma la politica sportiva deve rimanere nelle istituzioni, questo è il concetto base, nei paesi sani, in una istituzione autodeterminata”.
Sport e Salute si occupa anche della Scuola dello Sport.
“Quello è un centro di potere, che questa nuova società si è preso. Ma io sono del parere che la Scuola dello Sport debba rimanere nelle istituzioni perché lì costruisci i coach, i tuoi quadri, chi decide cosa fare, chi decide chi insegna e che cosa, e lo decide l’Istituzione. Sono concetti fondamentali, fuori discussione”.
Che succederà martedì in Giunta Coni.
“Io porterò avanti questa opposizione in maniera decisa, spero che ci sia la maturità e la disponibilità ad aggiustare le cose. Sennò, non so, non ho la minima idea di che succederà”.
Il Coni è unito su questa strada?
“Lo sport è fondamentalmente unitotranne qualche eccezione, su questo tema”.
Secondo lei che bisognerebbe fare per trovare una soluzione?
“Secondo me, bisognerebbe istituire un tavolo, non fare degli ordini di servizio, quelli sono colpi di mano, non sono volontà di collaborare. Questo manager è stato mandato per dare un messaggio di discontinuità. Che, però, dev’essere razionale non unilaterale”.
Il presidente del Coni, Malagò su che posizioni si trova?
“Penso che sia più o meno sulla mia posizione, ma il problema è trovare la maniera. La parte politica non sembra essere molto ricettiva, è chiaramente per una discontinuità, ma non si capisce se ci siano anche componenti personali, c’è un po’ tutto. Io parlo da lontano, parlo da Losanna, alcuni amici mi hannochiesto di tornare in Giunta dopo tanti anni, e ripeto la mia esperienza per simpatia”.
Lei ha dato un contributo anche per la candidatura di Milano-Cortina 2026.
“Credo di sì, visto che sono vicino all’ambiente più di tutti gli altri. L’ho fatto insieme ad altra gente della componente istituzionale. La canditura è stata vinta dalle persone che si possono chiamare per nome, Carraro, Ricci Bitti, Pescante, Ferriani e Malagò, quelle che a Losanna sono conosciute, e conoscono la gente, e sono riuscite dare un contributo decisivo e quindi a spuntarla con i voti di sei persone”.
Però adesso la politica volta le spalle alle istituzioni sportive.
“La porte istituzionale ha fatto il suo dovere sapendo che la politica era molto interessata. Rispondendo ancora una volta con lealtà alla domanda della politica, o almeno di una certa politica del nord Italia, da amministratori seri, come Zaia, un uomo forte che mi ha fatto un’ottima impressione, Sala che conosco bene e Fontana. La loro volontà era chiara, e l’istituzione ha risposto a questa sollecitazione di tipo politico. E ora meriterebbe maggior rispetto”.
Torniamo alla Giunta di martedì, che succederà?
“Qualcuno saprà che qualcun altro la pensa in una certa maniera: lo sanno giò, io sono considerato il pericolo numero da Giorgetti perché parlo liberamente. Ma le mie sono soltanto considerazioni di una logica stringente, non sono posizioni rivoluzionarie. Questo sarebbe il bene, una volta tanto”.
Sarebbe davvero colpevole svilire lo sport italiano che si comporta sempre bene.
“Il commento che ho fatto anche ai politici è che lo sport italiano non è certamente perfetto e scevro da difetti e critiche, ma non è certamentel’attività che va peggio in Italia, visto da uno che vive all’estero da trent’anni. Ci sarebbero priorità diverse che smontare lo sport italiano. Il dubbio che viene, e non ho timore di dirlo, è che ci siano volontà diverse di smontare qualcosa. Io dico che si può far tutto, ma bisogna farle nel quadro giusto. Io sono il primo ad ammettere che qualche cosa bisognava andava fatta prima, ma non giustifica questa cosa qui. Così siamo fuori strada. E va rivista, insieme”.
*articolo ripreso da Agi.it