Perché, a 36 anni, pienamente realizzata come atleta, già n. 1 del mondo (di singolare e doppio) e campionessa di 41 singolari fra cui 4 Slam (più 11 doppi, con 2 Majors) e 3 Masters, un bottino di 24 milioni di dollari di soli premi guadagnati sul Tour, appagata come donna (moglie e madre di tre figli), soddisfatta dal riscatto di chi è rientrata alle gare dal primo parto sul circuito pro e ha vinto più di prima, apprezzata commentatrice tv, una campionessa indiscussa, amatissima in patria, nel suo mondo come anche nella lontanissima Australia sente il bisogno di rimettersi in gioco e di tornare ancora a giocare partite di tennis ufficiali al massimo livello?
La nuova sfida di Kim Clijsters, nata l’8 giugno 1983 in Belgio, che annuncia il clamoroso rientro col 2020 otto anni dopo il secondo addio agli Us Open 2012, sembra piena di perché. La fiamminga dal sorriso aperto, che si faceva preferire umanamente alla rivale Justine Henin, vallona, con la quale ha duellato al vertice, perdendo il braccio di ferro di tecnica e anche di testa, sembrava possedere tutte le chiavi della felicità. Compresa una scuola di tennis sua, nella natia Bree, con allieve che la seguono ciecamente e si fanno strada nel professionismo come Yanina Wickmayer e oggi Elise Mertens.
In realtà la riposta è una, univoca, chiarissima: anche lei è caduta nella ‘saudade’ tennistica che è anche peggiore di quella brasiliana per la propria terra, anche lei, come l’ex fidanzato, Lleyton Hewitt che si fece lasciare a un passo dalle nozze preferendole l’attrice-cantante Bec Cartwright, non ha saputo resistere al richiamo dell’adrenalina. Quella droga sconvolgente che scorre nelle vene solo in una partita di tennis, solo quando le pulsazioni salgono a mille, come la tensione, la pressione, l’ansia, la voglia che spinge a superare i propri limiti, sconfinando persino nell’odi per l’avversario. Un mix di sensazioni ed eccitazione che la vita comune non dà, non può dare.
Dice la ragazza della porta accanto del tennis: “Non ho la sensazione di voler provare qualcosa, quel che mi muove è la sfida. Ho amici che dicono: ‘Vorrei correre la maratona di New York prima di 50 anni’. Io amo ancora giocare a tennis. Dovunque mi trovi a uno Slam, mentre partecipo al torneo delle Leggende, se qualcuno chiede: ‘Ehi, qualcuno vuole tirare due palle?’, sono la prima a rispondere: ‘Eccomi, hai trovato la partner d’allenamento'”, dice la biondona, che ha preso le gambe e l’agonismo da papà Leo, ex calciatore del Malines e delle allora ‘Furie Rosse’.
“Chissà se sono capace di portare questo mio amore per lo sport al livello dove vorrei. Voglio essere di nuovo forte, questa è la mia maratona, questo è il campo dove voglio dire: Ok, proviamoci”. Quand’era uscita di scena la prima volta, nel 2007, irretita da troppi infortuni e da molte sconfitte, aveva stupito il mondo per quell’addio ad appena 23 anni. Così come aveva meravigliato, tornando alle gare due anni dopo il matrimonio col cestista Usa, Brian Lynch, e la nascita della biondissima Jada.
Una sera d’agosto aveva fatto irruzione nelle case di tutto il mondo col suo sorriso radioso, abbracciando il trofeo degli Us Open, mentre la sua deliziosa bimba scorrazzava per il centrale degli Us Open. Da wild card, appena al terzo torneo della seconda carriera, aveva infilato, strada facendo, clamorosamente, Venus Williams, Li Na, Serena Williams e Caroline Wozniacki. Era appena il suo secondo Major, dopo le deludenti finali di Parigi 2001 e 2003, era il bis dopo New York 2005, ma soprattutto era un segnale importante per tutte le donne che tornano al lavoro dopo una gravidanza, una conferma eclatante dopo l’impresa del 1980 dell’altra star del tennis, Evonne Goolagong Cawley.
Sulla scia di quell’impresa, aveva insistito: aveva confermato il titolo agli Us Open 2010 ed aveva trionfato anche a Melbourne 2011, appropriandosi finalmente in modo legittimo di quell’appellativo ‘Aussie Kim’ che le era stato affibbiato per la sua simpatia dal pubblico locale dopo il fidanzamento con l’eroe nazionale, Hewitt. E, dopo aver pareggiato l’impresa di Margaret Smith Court, come tennista madre che vince tre Slam e torna anche al numero 1 del mondo (peraltro cinque anni dopo la prima ascesa al trono del 2006) e, dopo gli Us Open 2012, si era ritirata ancora. Pareva in via definitiva.
Ma quando anche il terzo figlio è andato all’asilo, insieme al tanto tempo libero, Kim ha scoperto la noia. E, conoscendo bene la risposta a quell’angoscia che la prendeva dalle viscere, ha cominciato a sondare il, terreno in famiglia, chiedendo a Jada se le fosse piaciuta la vita sul Tour, quando l’aveva fatta, poi ha testato sempre più il suo fisico, “ma sempre mantenendo un equilibrio con gli impegni della famiglia e dell’Accademia, senza riuscire in realtà a trovare tutto il tempo di cui avrei avuto bisogno per occuparmi solo del mio corpo come quando giocavo”.
Giorno dopo giorno, mese dopo mese, senza dire niente a nessuno, ma ritrovando il suo famoso sorriso felice, ha riscoperto la soddisfazione di una buona condizione atletica: “Negli ultimi due anni mi sono curata molto di più di me stessa, e negli ultimi tempi mi sono sentita sempre meglio, più forte. Ho smesso di mettere davanti, come prima cosa, gli altri, i bambini, e ho cominciato a dedicare sempre più tempo anche a me stessa. Così, sono tornata a una certa routine di allenamento. Oggi esco di casa prima ancora della colazione; prima, quando loro erano piccoli piccoli avrei finito i fiocchi d’avena nella ciotola di Jada o la frutta che i suoi fratelli lasciavano in giro. Questa era spesso la mia colazione perché ero sempre di fretta per portarli a scuola”.
Allora, Kim ha convocato il preparatore atletico Sam Verslegers, per recuperare forza e flessibilità, e il vecchio coach Carl Maes, per ritrovare il suo tennis. “Vediamo se riesco a mettermi in condizione di giocare a tennis al livello che ho in mente. Amo la sfida, adoro spingere il mio corpo, sono sorpresa, dopo qualche duro allenamento, nel vedere quant’è semplice per me applicarmi ed eseguire. Mi dà molta soddisfazione essere spinta da questa nuova motivazione”.
Ha anche discusso con la Wta della gestione della programmazione dei tornei e della privacy, più che sua personale dei tre bambini che la seguiranno per il mondo, Jada (11 anni), Jack (5) e Blake (2). “Se devi correre una maratona non vuoi avere tutti i media davanti alla faccia. Io posso farcela, ma altra storia sono i ragazzi. Non cambia solo la mia vita. Ne abbiamo parlato in famiglia, con mio marito e la squadra, vediamo come possiamo proteggerli, e insieme garantire la routine. Devo essere sicura che tutto sia organizzato a casa, compresi scuola ed hobbies, per loro, non voglio, si tratta solo di andare via più spesso, niente deve cambiare per loro, e se capirò che questi miei viaggi interferiranno con le loro esistenze, mi fermerò, e aspetterò che tutto torni a posto. La cosa positiva è che non ho un limite di tornei ai quali devo iscrivermi, questo ha reso più facile fare questo passo”.
Da commentatrice tv e da turista-attiva sul Tour, palleggiando con le pro di oggi, vedendo come gestiscono le situazioni in campo, Kim Clijsters non aveva la sensazione di essere così lontana dalle attrici del Wta Tour di oggi. “Ho sempre seguito sensazioni ed emozioni. Chissà quante volte ho sentito giocatrici di ieri e di oggi, e allenatori, che mi dicevano: “Ma che stai facendo? Sei ancora giovane, potresti vedertela con le più forti”. Io mi facevo una risata. Ma penso che alcune di quelle parole mi sono entrate in testa”. La spinta decisiva dev’essere arrivata da Serena Williams: se lei, a 38 anni, gioca ancora stabilmente le finali Slam e cede di fisico, mentre la ‘wonder woman’ belga il fisico che l’ha sempre avuto…
*articolo ripreso da agi.it