L’America è tornata al vertice dell’atletica mondiale e lo ha fatto con arroganza. Non è facile nella disciplina che vanta la maggior universalità con oltre una sessantina di nazioni capaci di portare almeno un loro atleta fra i primi otto nelle 47 gare in programma. Lo ha fatto con le sue nuove leve, i vari Lyles , Coleman e la Mohammad. Una edizione dei Mondiali che ha portato alla ribalta nuove stelle, come l’acquisto del Barhein Nasar nei 400 femminili e rilucidato vecchie glorie come la giamaicana ShellyAnn Fraser nei 100. L’Europa perde colpi rinunciando anche in parte all’ultimo dominio che le era rimasto, il pianeta dei lanci.Ma cresce il resto del mondo, come le isolette dei Caraibi capaci di portare a casa con Grenada l’oro del giavellotto.
Quella di Doha è stata anche la prima edizione disputata all’aria condizionata, ma con prove esterne come Marcia e Maratona snaturate dal clima feroce e pericolose per gli atleti. Sarebbe forse stato meglio cancellarle o disputarle in altra sede. I tanti dollari del qatarini non sono comunque stati capaci di riempire le tribune del piccolo stadio Khalifa (40.000 posti) nei primi sei giorni di gare, uno spettacolo avvilente, una pecca di cui la federazione internazionale non può non tenerne conto nelle scelte future.
L’Italia è tornata nel medagliere dopo quasi un decennio grazie al bronzo di Eleonora Giorgi nella 20 km di marcia. Ma non è questo risultato che strappa la sufficienza per la squadra azzurra. Certo, il vertice è ancora lontanissimo, ma questo si sapeva, però i quattro primati italiani e qualche esclusione dalle finali solo per delle virgole, hanno dimostrato che il clima in squadra è cambiato, che abbiamo imparato a lottare, che possiamo contare su diversi atleti che a questo punto possono solo crescere.
Le nostre punte, Filippo Turtu e Gianmarco Tamberi sono usciti dalla rassegna un poco ridimensionati. Hanno centrato il loro obiettivo, l’ingresso nelle rispettive finali, ma proprio le gare decisive hanno dimostrato dove sono attualmente nella gerarchia mondiale. Recuperati gli infortuni hanno molto lavoro davanti per essere un poco più protagonisti fra un anno ai Giochi Olimpici di Tokyo. Grandi delusioni non ce ne sono state se non quelle previste nei salti in estensione, dove non si capisce perché siano stati schierati ragazzi e ragazze con una media di prestazioni ben al di sotto del livello iridato.
A stupire in casa azzurra sono state le staffette che si sono espresse a un livello complessivo decisamente superiore ai valori individuali dei loro componenti. Come il primato italiano della 4×100 femminile che ha sfiorato la finale con quattro atlete che non hanno trovato una corsia nella gara individuale. Bene anche l’analogo quartetto maschile sempre a primato. Ma la staffetta con il maggior potenziale è parsa la 4×400, la prova che in atletica di norma è il termometro della profondità di un movimento nazionale. Non tanto per la finale conquistata, ma perché con Galvan e Re ci sono due ragazzi, Scotti e Aceti, che possono solo crescere in prestazioni ed esperienza. Risultati che dimostrano come in questo particolare settore si stia lavorando bene.
Ci presenteremo nella prossima stagione con delle certezze. Tortue Tamberi non sono più le uniche bandiere. Davide Re sui 400 è cresciuto enormemente e soprattutto pare essere ad un livello sistematicamente sotto i 45 secondi, cifra che a livello europeo significa podio. E con lui Jeman Crippa, ottavo nei 10.000, capace di cancellare, con 27’10”76, dopo oltre due decenni il primato italiano di Salvatore Antibo. Grazie a lui il nostro mezzofondo si è svegliato da un preoccupante torpore durato troppo tempo. E pensare che con Cova, Mei, Panetta, Antibo e Lambruschini un tempo eravamo ai vertici mondiali…
E con questi ragazzi ci sono anche Luminosa Bogliolo, che anche se ha deluso in semifinale viene da una stagione in cui ci ha riportato i nostri 100 hs a livello internazionale, Marcel Jacobs nei 100 e il giovane pesista Fabbri. Insomma, finalmente si può essere ottimisti.