Marc Márquez, prodigio catalano del Motomondiale, classe 1993, sorride sempre senza fingere mai. L’educazione c’entra, ma è soprattutto merito del carattere. “Sono positivo per natura; anche se qualcosa va storto, cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno” spiega dopo una lunga sosta in mezzo ai tanti fan nel paddock. È proprio l’ottimismo, che i migliori atleti traducono in fiducia in sé, ad averlo trasformato in un pilota di un altro pianeta: quando il “marcziano” si appende alla sua RC213V del Repsol Honda Team, sfida le leggi della fisica (65° di “piega” per lui sono diventati routine) e sperimenta acrobazie mozzafiato. “Il rischio mi serve per trovare il limite e superarlo. Perché il primo avversario di me stesso sono io”. L’ultimo risultato di questa sfida personale? L’ottavo Mondiale vinto a inizio mese in Thailandia (il palma rès: uno nella 125cc, uno nella Moto2 e sei nella MotoGP, inclusi gli ultimi quattro) e una raffica di record polverizzati (come quelli di pilota più giovane della storia a vincere una gara e un titolo nella massima categoria, a 20 anni).
Anche in questa stagione eri il favorito al titolo e non hai tradito le aspettative: la pressione non ti crea proprio nessun problema?
“Sì, certo! Dopo una vita trascorsa a competere, però, ho imparato a gestirla e la considero un’alleata preziosa: tira fuori il meglio di me. Sentire tutti gli occhi puntati addosso, in più, mi ha spinto a prendere coscienza”.
Di cosa?
“Ti racconto un episodio che spiega. Una volta mi sono allontanato dal box in scooter e ho sentito un bambino chiedere al padre: ‘Perché Marc non porta il casco?’. Quella domanda mi ha gelato il sangue: in un attimo ho capito che un ruolo pubblico, qualunque sia, implica dare il buon esempio”.
Sei cresciuto con il mito di Valentino Rossi, oggi in griglia di partenza con te: se potessi duellare con un’altra leggenda, chi sceglieresti?
“Mick Doohan, magari sul circuito di Aragón, uno dei miei favoriti. Il primo ricordo di un Gran Premio è di lui che si prende a sportellate con Álex Crivillé in tv. Anche affiancare Giacomo Agostini sarebbe uno spettacolo: resta il numero uno, nessun altro ha conquistato 15 Mondiali”.
Le scommesse che sarai tu a riuscirci si moltiplicano.
“Al futuro non guardo, mi concentro sul presente. È la mia filosofia di vita: i grandi risultati sono la somma di piccoli successi, che ottieni soltanto attraverso il duro lavoro e la disciplina ferrea. Hai presente la formica?”.
Ecco perché l’hai scelta come simbolo.
“Esatto: è un concentrato di impegno e rigore. Per non parlare della forza incredibile: così piccola, solleva 50 volte il suo peso. Io a 14 anni ero basso e minuto: già allora erano necessari muscoli di ferro, il talento non bastava per tagliare il traguardo davanti a tutti, quindi sono corso ai ripari”.
Cos’hai fatto?
“Ho cominciato ad allenarmi ‘a manetta’. E non ho più smesso: i podi mi ripagano di ogni fatica”.
Chi devi ringraziare per essere diventato una macchina da guerra?
“La lista è lunga, ma i miei genitori stanno in cima. Senza loro di sicuro non sarei qui: pur di permettere di correre a me e mio fratello Álex (23 anni, pilota della Moto2, ndr) si sono sobbarcati sacrifici enormi”.
Che rapporto hai con la famiglia?
“Siamo molto uniti e abitiamo ancora insieme. Entro Natale, però, andrò a vivere da solo”.
Dove?
“Resto a Cervera, dal luogo in cui sono nato e cresciuto non mi sposto, e una camera è riservata ad Álex: è il mio migliore amico. Tra me e lui, chissà il disordine: non ci sarà mamma a sistemare!”.
*testo tratto da Icon Mondadori
** credito foto Dario Aio