Certo, viene bene: Adriano Panatta torna al tennis, Adriano Panatta rileva un circolo storico in Veneto (lo Sporting Zambon di Treviso), Adriano Panatta proclama: “Insegnerò il gioco di una volta”. Anzi, di più, molto di più, rilancia ancora una volta la tradizione: “I maestri insegneranno il tennis che dico io: classico, non estremo… vietato il rovescio a due mani”. Viene bene anche solo a riecheggiarli i famosi “Gesti bianchi”, i giocatori che praticavano il servizio-volée, la smorzata, la famosa Veronica di Aaaadriano (la difficilissima volée alta di rovescio). Anche noi, da ragazzi, li abbracciavamo, dalla tribuna, col nostro tifo sconsiderato e selvaggio nella trionfale cavalcata del 1976 del nostro eroe che vinceva Roma, Parigi e la coppa Davis. E li abbiamo sposati, da esteti, anche da adulti, ritrovandoci nella proiezione massima di Panatta, cioè in Roger Federer, ma inchinandoci, col tempo, all’intelligente resilienza di Rafa Nadal. Perché il mito è bello, affascinante, carismatico, coinvolgente, ma non può vivere così tanto del proprio nome. Con tutto l’irresistibile amore e la cieca passione che si possono nutrire per la tecnica di Federer, la personalità e la duttilità tattica del Magnifico che non sono state qualità all’altezza del campione più costruito, l’Extraterrestre Rafa, nato sul rosso e poi capace di imporsi su tutte le superfici e di arrivare ad un solo Slam di distanza dal record di 20 Slam dello svizzero. Vale anche per Panatta, idolo giovanile di noi ex ragazzi degli anni 50 e 60, traino del tennis da sport d’èlite a sport popolare che, da dirigente, ha avuto tante possibilità di cambiare le cose nel nostro tennis, ha svolto più ruoli, ed è poi sempre entrato in rotta di collisione con gli ultimi presidenti della Federtennis italiana, sempre per storiacce. Di cui s’è occupata anche la magistratura.
Per anni – basta rileggere le collezioni dei giornali –, Panatta s’è allontanato dal tennis, offeso dal “sistema” di cui ha fatto parte per anni, mediando Gino Bartali: “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, s’è rivolto, sdegnato, ad altri sport come la motonautica, da cui si è allontanato dopo la tragica scomparsa nel 1990 del mecenate di quello sport, Stefano Casiraghi – consorte di Carolina di Monaco -, per affacciarsi alla politica e poi rientrare pian pianino alle racchette. Che gli hanno dato vittorie, popolarità e denaro. Ha avviato un circolo a Roma insieme al fratello Claudio, ha caratterizzato la straordinaria e ben sponsorizzata passerella itinerante di “Un Campione per Amico”, insieme ad altri formidabili comunicatori come Andrea Lucchetta, Yuri Chechi e “Ciccio” Graziani, si è riaffacciato nelle telecronache e anche in trasmissioni tv -contenitori di sport, sempre come straordinaria bandiera e ambasciatore del tennis. Sempre per criticare il gioco moderno, i giocatori moderni – meno Federer, che viene facile – il sistema di insegnamento, la dirigenza, tutto il moderno, l’attuale, che si distacca dalle racchette di legno dei fantastici anni 60-70 ed è sicuramente meno eccitante del tennis, molto più lento e atletico, di allora.
Per il mito Adriano Panatta, campione inimitabile, invidiato e coccolato da sempre da uomini e donne, perché simpatico e affascinante, bello come quando era l’unico che ha battuto “Ice“ Bjorn Borg sulla terra rossa del Roland Garros, è relativamente facile trovare la vetrina importante. Molto più difficile è vivere il presente e costruire il futuro, come facciamo noi papà degli anni 50 e 60. Noi che, accompagnando passo passo, giorno per giorno, i nostri figli al tennis perché diventino più bravi di noi – obiettivo fin troppo agevole – sappiamo che il rovescio a due mani non si può più bypassare, che il servizio-volée va rilanciato e imparato, come lo slice e la palla corta, ma va anche equilibrato rispetto al monocorde, ripetitivo, noioso, ma solido, gioco da fondocampo. Tant’è la realtà, per via delle attrezzature e dei progressi del tennis nella preparazione atletica e nell’analisi tecno-tattica. Come gli risponderebbe la formichina Nadal, pur intimamente commosso dal talento naturale del rivale storico, Federer. Rafa il grande lavoratore sempre agganciato alla realtà, che, fedele al personaggio, insieme all’allenatore storico, zio Toni, ci ha messo la faccia e ha impiantato una scuola tennis nella sua isola, mentre Roger il bello, per ora, si è impegnato nella Laver Cup delle stelle e nella scuderia di campioncini Team8Global (firmando Zverev e la Gauff).
Scelte diverse, scelte in linea coi due personaggi. Scelte come quelle di Adriano Panatta che, nel tornare nel tennis con un circolo suo, in una zona fertile e ricca come Treviso, citando il Corriere della Sera, parla di: “Un club all’antica per tutte le età, per restarci tutto il giorno…. Le donne, dalla palestra all’estetica, avranno a disposizione un settore dedicato a loro…”. Lasciandoci il dubbio che si tratti di un qualsiasi investimento imprenditoriale. Quanto ci sarebbe piaciuto che il nostro mito giovanile, l’ultimo grande eroe di alto livello del tennis italiano, il grande censore degli usi e costumi del tennis moderno, avesse rilevato il circolo Zambon per farne un centro tecnico per giovanissimi e giovani e anche professionisti da rilanciare. Quanto ci sarebbe piaciuto scoprirlo, alle soglie dei 70 anni, un po’ più formica-Nadal e un po’ meno cicala-Federer.
Vincenzo Martucci
PS Un giorno ci passeremo di sicuro all’ex circolo Zambon. Con umiltà, senza poter sognare di avere le intuizioni di un campione come Adriano Panatta, osserveremo per benino come insegnano i suoi maestri e come imparano i suoi alunni. Sperando di esserci sbagliati, oggi.
*Articolo ripreso da Supertennis.tv*