Apparentemente non ha né il carisma né il fisique du role, non è alta e nongiovanissima, non spicca per potenza e per tocco, non è perentoria nei colpi e non ha una personalità eclatante, non è un idolo dei fotografi e non ha fidanzati celebri. Ma Ash Barty è la migliore numero 1 del mondo possibile, in questo pazzo pazzo tennis donne 2019, ancor più pazzo da quando Serena Williams si è allineata all’imprevedibilità generale, perdendo sei delle ultime sette finali Slam.
Col suo gioco completo, solido da fondo, potente e insieme vario, col servizio mille-usi, con la risposta e la duttilità a rete da ottima doppista, con le motivazioni di chi è chiamato a riscrivere la storia del tennis australiano dopo le immortali Margaret Smith Court ed Yvonne Goolagong, la piccola 23enne, di appena 166 centimetri, con un po’ di sangue aborigeno nelle vene (da parte di papà), ha legittimato il primato in classifica a fine anno bissando il primo titolo sulla terra rossa del Roland Garros – che è anche il primo Slam – con quello al Masters (le Wta Finals). Interrompendo peraltro dopo cinque sconfitte su cinque confronti il tabù contro l’ucraina Elina Svitolina, campionessa uscente e implacabile nei recuperi.
Tutti la chiamano Ash perché Ashleigh è troppo lungo, tutti pensano di poterla battere e la battono pure, perché la ragazza di Ipswich, che è salita al numero 1 della classifica il 24 giugno, non dà mai l’idea dell’imbattibilità, si concede delle pause, ha bisogno di tessere le sue tele da fondo per ubriacare l’avversaria e trovare le sue soluzioni.
Tutti, anche in Australia, sarebbero pronti a innamorarsi di una star del tennis hollywoodiana, o quantomeno da Baywatch, simbolo della prorompente vitalità nazionale di quelle che fanno bella mostra in spiaggia, ma la Barty, alle prime Finali Wta di Shenzhen si mette in tasca il montepremi più alto di sempre (4.42 milioni di dollari), con cui chiude la stagione toccando i 10 milioni, riporta un’australiana nell’albo d’oro della prova fra le migliori della classifica, dopo il secondo urrà della Goolagong nel ’76, diventando la prima del suo paese di sportivi a sigillare l’anno da regina Wta.
Ashleigh Barty si scatta un selfie con sullo sfondo i tifosi
La vera forza di Ash Barty sta nella testa, nella serenità, nella volontà di esserci, dopo la volontaria fuga di 19 mesi dall’agosto 2014 quando volle sciogliere la pressione delle troppe aspettative dopo le promesse da junior che da professionista riusciva a rispettare soltanto in doppio. Ash è la campionessa della normalità, con un coach-papà come Craig Tyzzer e quella facciata da ragazza della porta accanto che fa anche tenerezza. Finché non la ritrovi di fronte, di là del net.