L’appuntamento più importante per l’atletica italiana sarà fra 13 mesi. Non datemi dell’ignorante in matematica, so perfettamente che i Giochi Olimpici sono fra 8 mesi e che gli esami di riparazione (leggi Campionati Europei di Parigi) sono fra 9. Io mi riferisco al rinnovo delle cariche federali. Si perché questo appuntamento, più che a quelli agonistici citati, deve assolutamente dare una svolta all’atletica italiana. Quali sono le previsioni? A distanza di oltre un anno mai si erano viste tante offerte di “disponibilità”, che sembrano voler dire: “chiedetemelo ed in massa appoggiatemi “. Stranamente nessuno ha avuto il coraggio di dire “passo” o confessare la propria “disponibilità a non candidarsi”.
Ma veniamo ai fatti, almeno a quelli noti. Ha cominciato ad annunciare la sua disponibilità Alberto Morini, emiliano doc, buona testa pensante, ma mancante del necessario “physique du rôle” e quindi dell’appeal necessario per questo ruolo. Non posso dimenticare che lui è stato il braccio destro, con responsabilità diretta sull’attività tecnica, di una presidenza, quella di Franco Arese, che ha segnato, dopo i due ori ed un bronzo di Atene 2004, la debacleagonistica dell’atletica italiana, battezzata e santificata dalla dichiarazione dell’allora Presidente del CONI, Gianni Petrucci: “che si può fare il presidente anche con il telefono”.
Morini era stato l’ispiratore di quel modello tecnico che vedeva tutti a casa con i propri tecnici sociali. Non va dimenticato che a parte il motto di allora – “allenatevi tutti a casa” – il primo caso positivo del nostro marciatore altoatesino è nato sotto la sua gestione, con la grave colpa di aver lasciato l’atleta solo nell’ultimo mese. Fa sorridere constatare che nessuno di quelli responsabili (ed ignari?) siano mai stati chiamati in causa. Io ero a Londra una settimana prima che il caso esplodesse e so perfettamente che in FIDAL i dubbi già esistevano. Devo dire di più? Una sua candidatura è come se – capisco che è un parallelo molto duro e forzato – Enrich Mielke, il capo della Stasi, si fosse candidato, otto anni dopo la caduta del Muro di Berlino, a presidente della Repubblica Tedesca.
Il successivo annuncio di disponibilità è venuto in terra siciliana da parte del generale Vincenzo Parrinello. Sicuramente titolato, non solo per le stellette appuntate sulla sua divisa in un’ascesa velocissima, ma anche per gli otto anni di vice presidente nell’attuale FIDAL, ma che non so se sono un plus per il suo CV. Non ho mai sentito in questi otto anni un suo dubbio od un suo commento od una sua idea sulla Federazione. Gli ho rivolto delle critiche sulla gestione delle stesse Fiamme Gialle che hanno rappresentato una immagine speculare su quella dei migliori atleti federali: state a casa, fatevi allenare dai vostri tecnici sociali, prendete lo stipendio e maturate la pensione, vivendo anche per anni all’estero, il tutto a spese del contribuente. Ho ricevuto una telefonata di lamentela, molto da quaquaraquà. Tra l’altro lui rischia quel fenomeno dell’abbraccio della morte (ricordate quello dato da Petrucci a Pagnozzi per le elezioni alla presidenza del CONI nel 2013?).
Poi, mentre eravamo a Formia, nella culla dell’atletica italiana voluta da Bruno Zauli, per la premiazione del TotoDoha, si è vociferata sulla possibile candidatura di Roberto Fabbricini, un nome nobile dell’atletica italiana. Forse nessuno come me conosce qualità e limiti, d’altra parte tutti ne abbiamo, di Roberto. Ho fatto merende e lavorato con lui sin dai primi anni Sessanta e lo ho avuto a fianco in moltissime importanti ed entusiasmanti occasioni. Da quanto ho capito da lui stesso, potrebbe essere disponibile se una forte maggioranza glielo chiedesse. Non lo aiuta l’età e la litigiosità dell’atletica italiana. Per uno come lui che non è un cuor di leone, questo non aiuta. Mi preoccupa anche il fatto che sento che molti sarebbero contenti di avere lì un amico per raccogliere qualche briciola cadente.
Poi è arrivato un lungo programma del gruppo “Insieme per l’atletica”, elaborato soprattutto da Dino Ponchio (ma lui dove stava negli ultimi otto anni?). Qualcosa di molto elaborato che potrebbe andar bene per qualsiasi candidato: ma purtroppo loro non ce l’hanno. Di recente è apparso un nome prestigioso come quello di Maurizio Damilano. Sul programma avrei molto da dire. Ha un difetto di fondo: troppo condizionato dal fatto che la FIDAL si trova ora con un’Assemblea di primo grado. Diventa difficile per chiunque voglia candidarsi eliminare talune “concessioni” populistiche e demagogiche lasciate a società e territorio.
La FIDAL ha invece necessità di riacquisire, soprattutto nell’aspetto tecnico, una centralità meno “democratica”. Per non parlare della pletora di campionati di società di tutte le categorie (forse fino ai master) che stanno trasformando l’atletica da sport individuale a sport di squadra, mentre ci sarebbe la necessità di ridisegnare il tutto, compresa una rimodulazione dell’attività delle varie Regioni, forse con un accorpamento di molte di loro, per lo meno a livello agonistico. Non c’è traccia di correzione e rivisitazione di quei due parametri che fanno della FIDAL la Federazione con le risorse più importanti ed il maggior numero di dipendenti a livello mondiale, ma con risultati non corrispondenti alle sue potenzialità.
Infine, solo cronologicamente, è arrivata la candidatura di Stefano Mei. Lui ha il vantaggio di aver accumulato un pacchetto di voti sin dalla precedente candidatura e mi pare che in questi tre anni abbia consolidato e fortificato il tutto. Oggi sarebbe certamente il favorito. Purtroppo nella sua conferenza stampa di presentazione è scivolato su delle bucce di banana quando si è intrattenuto sul nostro marciatore pluri-squalificato e sul suo allenatore. Sul primo ha dimenticato che stava parlando di un atleta che ha sulle spalle, rimanendo ai fatti e non alle chiacchere, un fardello di 12 anni di squalifica. Motivo per cui per uno candidato alla presidenza di una delle più importanti Federazioni della IAAF, sarebbe stato meglio glissare; mentre sul secondo, ottimo tecnico sulla metodologia dell’allenamento, appresa dai maestri che ha avuto nel Settore Tecnico della FIDAL, non capisco chi abbia mai direttamente allenato. Tra l’altro su di lui ha dimenticato di dire che è il maggior esperto in Italia di Doping ed Antidoping. Io poi lo vedrei molto meglio a capo ufficio stampa della FIDAL considerate le sue eccellenti doti comunicative.
Quella di Stefano Mei per me rimane, insieme a Maurizio Damilano, l’opzione favorita, se non altro perché entrambi rappresentano una categoria, quella degli ex-atleti, che molto potrebbe dare all’atletica italiana. Lui, Stefano, con le sue dichiarazioni è spesso divisivo ed indigesto a molti dell’atletica. E se non correggerà questi aspetti in maniera significativa lo vedo di nuovo perdente.
Manca all’appello, se ci dovesse essere, la proposta, almeno quella programmatica, di Massimo Magnani, idee da non sotto valutare, anzi da sposare, anche se non so se porterà ad una candidatura. E Di Giorgio e Grippo? Non va dimenticato che in ballo non c’è solo la presidenza, ma anche un ruolo nuovo di zecca (e remunerato) da Direttore Generale. Per chi è esperto sulle scommesse ippiche ciò potrebbe suggerire una “accoppiata” vincente. Si parla anche di cordate e di somme di 1 + 1, che spesso, almeno per quanto riguarda i voti, non sempre fa 2.
Mi è stato chiesto: ma tu cosa ne pensi? Io rovescerei la piramide ed incomincerei da un altro punto: di cosa ha bisogno l’atletica italiana, e non la FIDAL. Quali sono gli obiettivi del prossimo decennio e a quali modelli conviene riferirsi? Come affrontare il fatto che Roma potrebbe vedersi assegnati (dopo la rinuncia di Minsk appare favorita, soprattutto perché è Roma) i Campionati Europei del 2024? Sarebbero uno strumento importantissimo per il rilancio agonistico e mediatico dell’atletica italiana. Non posso dimenticare che alla fine degli anni Sessanta la FIDAL si vide assegnata l’organizzazione dei Campionati Europei del 1974. Fu il pesante fardello per la nuova FIDAL di Nebiolo, giovane e inesperta. Ma quei Campionati servirono poi alla costruzione di una nuova atletica e di una nuova Federazione. È una storia che si può ripetere?
Getto la palla in fallo? No, affronto il problema dalla base e non dal vertice e cerco di essere provocatore di riflessioni ed idee. Avendo comunque in tasca due candidati: uno fuori della mischia come Eugenio Giani, ex saltatore con l’asta della ASSI Giglio Rosso, oggi presidente del Consiglio Regionale della Toscana, presidente del CONI Toscano, Membro del Consiglio Nazionale del CONI: potrebbe portare una ventata di idee e di nuova gestione. Ed uno interno che conosce i problemi, con il compito di pacificare l’ambiente e di trovare nuove soluzioni per un futuro, anche con un breve mandato. Chi? Gianni Gola: senza stellette e con l’esperienza decennale del passato, errori inclusi, potrebbe fare proprio bene.
L’atletica ha bisogno di nuova linfa vitale e non mi riferisco solo agli atleti ma alla dirigenza. Sono di ritorno da Montecarlo dove ho assistito (per la 35ª volta …) al Gala della IAAF e lì sul palco, per gli italiani, ho visto salire solo un dirigente e quattro donne. Il dirigente? Nebiolo, citato per l’ennesima volta dal Principe Alberto come l’inventore, tra l’altro del Gala (cosa di cui, nel dopo Gala, l’ho ringraziato) e le magnifiche quattro signore: Anna Riccardi, Paola Pigni, Gabriella Dorio ed Emanuela Audisio. Tra l’altro, mette tristezza che a differenza di moltissime Federazioni Europee e di tutto il mondo da noi non si celebri ogni anno il migliore atleta, la migliore manifestazione, il miglior gesto di fair-play e quanto altro. Maschietti cari, oltre a candidarvi imparate anche copiare dagli altri.
*articolo ripreso http://www.sportolimpico.it