A Bologna, dai banchi delle elementari all’ufficio di lavoro, ci si chiede se i rossoblu riusciranno finalmente a battere la Juve e ci si azzuffa sulla superiorità delle V nere, dalla bacheca molto più ricca, o della F scudata, dal pubblico molto più fedele e numeroso. Sostenere che prima di calcio e basket c’è il rugby significa passare per pazzo o derelitto. Come altro definire chi preferisce quel pallone che sembra un’oliva alla sfera di cuoio calciata da Bulgarelli e Baggio o alla palla a spicchi passata tra le mani di Danilovic e Belinelli? Così ha passato infanzia e adolescenza Simone Scafidi, oggi trentenne e dalla più tenera età terza linea del Rugby Reno. Il rugby però ti entra dentro e non lo lasci più. Entrare negli spogliatoi dopo un match sentendosi sfinito ma senza particolari dolori, ritrovarsi due ore dopo pieno di ematomi e lividi, condividere nel terzo tempo una birra con chi te li ha inflitti, alzarsi dal letto il giorno dopo con sforzi inenarrabili. Per non vedere l’ora di rifare tutto il week end successivo. Poi si cresce e col lavoro il tempo è sempre meno. Così Simone, che si trova bene a seguire i bambini, dopo il liceo resta a scuola 5 anni come educatore del campo estivo e aiutando i piccoli dalla mensa agli allenamenti sportivi. Dopo si laurea in Scienze e tecniche dell’attività sportiva, con l’obiettivo di insegnare educazione fisica. Ma la passione incoercibile per vincere una mischia rimane. Come il mito degli All Blacks, quei bestioni dall’altra parte del mondo che vincono sempre, con quella danza tribale di battaglia che sembra esagerata e artefatta ma poi se la senti dal vivo ti salgono i brividi lungo la schiena. Così, quando un amico gli parla del progetto “Engage Rugby New Zealand”, propostogli da Melita Martorana* che ha contatti diretti con la società Grammar Tec di Auckland, Scafidi lascia la metropoli di provincia emiliana per una metropoli vera ai suoi antipodi, firmando un contratto di 11 mesi come giocatore e preparatore atletico.
Alla soglia dei trent’anni un’occasione così non ricapita, si è ripetuto più volte, ma l’impatto con la Nuova Zelanda è stato quasi come placcare Jonah Lomu… Addio tagliatelle e tortellini, benvenuti hamburger e uova fritte. Arrivederci amici di una vita del Rugby Reno, però qui in ogni parco c’è un campo da rugby, mica male! E anche la famiglia che lo ospita in affitto, a 15 km dal centro (come una Casalecchio downunder…), ha una mentalità diversa dalla nostra ma a lui molto congeniale. Il padre di famiglia è Brad, sposato con Vanessa, lavorano nella sicurezza degli impianti elettrici. Hanno due figli, Anika, ragazzina di 13 anni, e Kaia, maschietto 11. I loro nomi rivelano l’origine maori della famiglia. Quando il nostro bolognese atipico ha scoperto che a scuola fanno solo un’ora la settimana di educazione fisica non ci poteva credere, ma poi Kaia ha aggiunto che dopo la scuola gioca in una squadra di rugby e in una di cricket. Qui tutti i ragazzini praticano due o tre sport. Giocano con mani, piedi e mazze, sviluppando le capacità coordinative che dopo i 15 anni non migliorano più. L’elasticità mentale è costantemente sollecitata: vai a scuola, poi nel pomeriggio i compiti, l’allenamento del primo sport e infine del secondo.
Simone sta concludendo il tirocinio come preparatore atletico nelle varie categorie del club, che potrà seguire come osservatore esterno durante i campionati. Da metà gennaio comincerà la sua esperienza da giocatore di First Divison (la quarta serie neozelandese), e da allenatore degli under 12. Dopo un anno tornerà in Italia per portare il suo bagaglio di esperienza umana e professionale. Il momento più emozionante è stato conoscere Kieran Reed, il capitano degli All Blacks. Il rugbista Simone aveva il cuore a mille, ma il preparatore atletico Scafidi si è accorto subito che la struttura del suo idolo fisica è simile alla sua. I tutti neri non sono dei mostri, ma la loro testa e il loro fisico sono abituati a essere sottoposti a molti sforzi, perché hanno sviluppato capacità coordinative, attenzione mentale prolungata ed elasticità psicofisica da quando avevano 5 anni. Partendo come Kaia e moltissimi suoi coetanei. A sentire l’ex terza linea del Rugby Reno, sembra un mondo in cui la pigrizia è bandita, con le palestre aperte 7 giorni su 7, 24 ore su 24, e padri di famiglia quarantenni che le frequentano 6 giorni a settimana. Non si tratta di robot tirati su con disciplina militare, accettano solo molto più di noi la fatica soprattutto mentale. Il modo con cui ce lo spiega è bolognosamente chiaro: ”Prima dei social e degli smartphone se ti interessava una ragazza la andavi a inchiodare di persona, o così o ciao… Per intortarla partivi da zero, dovevi inventartele tutte e a forza di due di picche l’elasticità mentale la sviluppavi. Ora ti studi la tipa a tavolino sui suoi profili, chatti con lei e quando la incontri già la conosci”. Naturalmente anche qui usano molto smartphone e tablet, eppure sono molto più attivi. In Nuova Zelanda e Australia vivono i primi 35-40 anni di vita con più sacrifici e rinunce di noi, pur di diventare grandi sportivi o comunque di avere una vita sportiva molto lunga. Si preferisce rinunciare piuttosto a un’ora di cazzeggio o anche di sonno se qualcosa è stimolante.
Ecco, ora ci è molto più chiaro quello che dicevano i Dominguez e i Troncon durante le prime 3-4 edizioni del Sei Nazioni: “La Francia è forte perché varia molto il proprio gioco, offensivo e imprevedibile, le nazionali britanniche invece sono meno fantasiose ma per 80 minuti vanno avanti senza cali e sai che si fermeranno solo quando l’arbitro fischierà la fine”. Da una parte l’estro latino, dall’altra la disciplina e la costanza anglosassone. Una cultura che non è così facile da comprendere come lo è stato per Simone, che trasuda quasi idolatria per questo modello di vita. Specie per infanzia e adolescenza è difficile dargli torto, ma dopo ci riserviamo qualche perplessità. Perché i primi quarant’anni di vita sono i migliori e sacrificarne lunghi periodi per vivere poi più attivamente fa pensare chi a tavola si autoinfligge le pene dell’inferno davanti al suo pettino di pollo con carote lesse e acqua naturale (a temperatura ambiente, per carità), mentre la moglie si gode un succulento agnello al forno con patate e cicoria saltata, invitando i commensali al brindisi con un bel vino rosso. Il tutto per raccoglierne i frutti durante una vecchiaia in salute, all’insegna di lunghe passeggiate e ricordi pieni di rimpianti…
In realtà, diventa più facile da comprendere quando scopriamo come vengono formati allenatori e giocatori di rugby neozelandesi. Simone ha sempre giocato al massimo in B, le sue conoscenze rugbistiche dirette vanno poco oltre. Invece nella terra dove il rugby è una religione i big scendono spesso dall’Olimpo per far visita ai campi di terza o quarta categoria. I coach di Rugby Academy, che selezionano i giocatori delle franchigie del Super Rugby (disputato dai top club di Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica) vanno spesso agli allenamenti della First Division, per scambiare idee e tattiche con gli allenatori di categoria. A Settembre, a un torneo amichevole delle province di Auckland, Simone aveva riconosciuto l’ex general manager dei Rugby Blues. Perché era lì? Per migliorare il movimento rugbistico anche dal basso. L’allenatore d’elitè scende ai livelli meno nobili per trasmettere le sue conoscenze e avere così uno sviluppo tecnico e una filosofia di gioco più diffusa e condivisa, oltre alla più nota ricerca dei talenti in erba. Il risultato è che gli All Blacks hanno un ricambio continuo (nella storia solo 9 di loro hanno superato le 100 presenze, addirittura solo 3 i 120 caps) e la seconda e terza squadra possono competere con l’Italia e molte altre nazioni. Allo stesso modo, l’Inghilterra ha schierato nella semifinale e nella finale di coppa del Mondo due terze linee, Sam Underhill e Tom Curry, di 23 e 21 anni.
Non di rado, insomma, un giocatore di Super Rugby nella domenica libera fa un salto nella categoria più bassa della sua città per dare due consigli a giocatori e allenatori. Sarebbe un po’ come se Cristiano Ronaldo e Maurizio Sarri andassero agli allenamenti del Racconigi per dare consigli all’allenatore e ai giocatori. Beh, caro Simone, se la metti così allora sì che molti di noi farebbero mille rinunce pur di venire all’allenamento!
*agente sportiva italiana che vive in Nuova Zelanda